BOING S.p.A.
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO AI SENSI DEL D. LGS. 231/2001
INDICE
In data 8 giugno 2001 è stato emanato - in esecuzione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300 - il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” (di seguito “Decreto” o “D. Lgs. 231/2001”), entrato in vigore il 4 luglio successivo, che ha inteso adeguare la normativa italiana in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune Convenzioni internazionali cui l’Italia aveva precedentemente aderito, quali la Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 (sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea), la Convenzione di Bruxelles del 26 maggio 1997 (sulla lotta alla corruzione che coinvolga funzionari della Comunità Europea o degli Stati membri) e la Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 (sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche ed internazionali).
Con il D. Lgs. 231/01 è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento un regime di responsabilità amministrativa – riferibile sostanzialmente alla responsabilità penale – a carico degli enti per alcune fattispecie criminose commesse, nell’interesse o a vantaggio degli stessi, da:
Qualora l’autore dell’illecito rientri tra i soggetti apicali è stabilita una presunzione di responsabilità, in considerazione del fatto che tale persona fisica esprime, rappresenta e realizza la politica gestionale dell’ente. Non vi è, invece, alcuna presunzione di responsabilità a carico dell’ente nel caso in cui l’autore dell’illecito rientri tra i soggetti di cui al punto (ii), poiché in tal caso il fatto illecito del soggetto sottoposto comporta la responsabilità dell’ente solo se risulta che la sua commissione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
La responsabilità dell’ente è aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito, che, pertanto, resta regolata dal diritto penale comune. In ogni caso la responsabilità dell’ente e quella della persona fisica che ha materialmente commesso il resto sono entrambe oggetto di accertamento nel corso del medesimo procedimento innanzi al Giudice penale. Inoltre, la responsabilità dell’ente permane anche nel caso in cui la persona fisica autrice del reato non sia identificata o non risulti punibile.
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La responsabilità introdotta dal D. Lgs. 231/01 sorge soltanto nelle ipotesi in cui la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente: dunque, non soltanto allorchè il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, all’ente, bensì anche nell’ipotesi in cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto illecito trovi ragione nell’interesse dell’ente. Non è, invece, configurabile una responsabilità dell’ente nel caso in cui l’autore del reato o dell’illecito amministrativo abbia agito nell’esclusivo interesse proprio di terzi.
L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nella repressione di alcuni illeciti penali il patrimonio degli enti (e, in definitiva, gli interessi economici dei soci) che abbiano tratto vantaggio dalla commissione del reato o nel cui interesse il reato sia stato commesso. Fino all’entrata in vigore del D. Lgs. 231/01, infatti, il principio della “personalità” della responsabilità penale lasciava gli enti indenni da conseguenze sanzionatorie, diverse dall’eventuale risarcimento del danno, se ed in quanto esistente. Con il Decreto, invece, sono previste sanzioni per quell’ente che non si sia organizzato per evitare fenomeni criminosi al proprio interno, quando dei soggetti funzionalmente riferibili allo stesso abbiano commesso taluno dei reati previsti dal Decreto stesso.
Il D. Lgs. 231/01 ha inteso costruire un modello di responsabilità dell’ente conforme a principi garantistici, ma con funzione preventiva: di fatto, attraverso la previsione di una responsabilità da fatto illecito direttamente in capo alla società, si vuole, infatti, sollecitare quest’ultima ad organizzare le proprie strutture ed attività in modo da assicurare adeguate condizioni di salvaguardia degli interessi penalmente protetti.
Il Decreto si applica in relazione sia a reati commessi in Italia sia a quelli commessi all’estero, purché (i) l’ente abbia nel territorio dello Stato italiano la sede principale (cioè la sede effettiva ove si svolgono le attività amministrative e di direzione) ovvero il luogo in cui viene svolta l’attività in modo continuativo, ovvero (ii) nei confronti dello stesso non proceda direttamente lo Stato del luogo in cui è stato commesso il reato.
Sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi nel tempo, tra gli enti destinatari del Decreto, oltre a quelli specificatamente indicati (“gli enti forniti di personalità giuridica, le società fornite di personalità giuridica e le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica” e con esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici nonché degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) rientrano anche le società di diritto privato che esercitino un pubblico servizio (ad es. attraverso un rapporto concessorio) e società controllate da pubbliche amministrazioni.
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L’accertamento della responsabilità prevista dal D. Lgs. 231/01 espone l’ente a diverse tipologie di sanzioni.
Le sanzioni comminabili all’ente sono sia di tipo pecuniario sia di tipo interdittivo: tra queste ultime le più gravi sono la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione (salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio), l’interdizione dall’esercizio dell’attività, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
Le sanzioni pecuniarie si applicano ogni qual volta l’ente commetta uno degli illeciti previsti dal Decreto. Le sanzioni interdittive, invece, possono essere applicate soltanto in relazione agli illeciti per i quali sono espressamente e specificatamente previste dal Decreto, qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
Le misure interdittive – qualora sussistano gravi indizi di responsabilità dell’ente e vi siano fondati e specifici elementi che rendano concreto il pericolo di un’eventuale commissione di illeciti della stessa indole
Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto di reato (salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato). Quando non è possibile eseguire la confisca sui beni costituenti direttamente il prezzo o il profitto del reato, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto di reato. In via cautelare può essere disposto il sequestro delle cose che, costituendo prezzo o profitto di reato o loro equivalente monetario, sono suscettibili di confisca.
Inoltre, in determinati casi, qualora vengano applicate sanzioni interdittive, può essere disposta la pubblicazione della sentenza di condanna, misura capace di recare un grave impatto sull’immagine dell’ente.
Infine, al verificarsi di specifiche condizioni, il Giudice – in sede di applicazione di una sanzione interdittiva che determinerebbe l’interruzione dell’attività dell’ente – ha la facoltà di nominare un commissario con il compito di vigilare sulla prosecuzione dell’attività stessa, per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata.
Quanto alla tipologia dei reati e degli illeciti amministrativi destinati a comportare il suddetto regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti, il D. Lgs. 231/2001, nel suo testo originario, si riferiva esclusivamente ad una serie di reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (quali, tra l’altro, l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, la malversazione a danno dello Stato, la truffa commessa a danno dello Stato o di altro ente pubblico, la frode informatica ai danni dello Stato, la concussione e la corruzione, ecc.).
Il testo originario è stato integrato da successivi provvedimenti legislativi che hanno progressivamente ampliato il novero degli illeciti la cui commissione può determinare la responsabilità amministrativa degli enti.
In particolare, sono attualmente ricomprese nell’ambito di applicazione del D. Lgs. n. 231/2001 le seguenti famiglie di reato e le fattispecie sottoindicate:
Costituiscono, altresì, presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti i seguenti reati se commessi in modalità transnazionale:
Vi è poi una particolare ipotesi di responsabilità amministrativa dipendente da illecito amministrativo e prevista al di fuori del D.Lgs. 231/2001. Si tratta del caso disciplinato dagli artt. artt. 187-quinquies ss. D L.gs. 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”), che prevedono sanzioni pecuniarie amministrative (oltre alla confisca – anche per equivalente – del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo) a carico dell’ente nel cui interesse o a vantaggio del quale siano stati commessi gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione di mercato previsti dai precedenti artt. 187-bis e 187-ter del medesimo Testo Unico.
1.3.I modelli di organizzazione, gestione e controllo
Secondo l’impostazione generale del Decreto, l’ente risponde se non ha adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di illeciti del tipo di quello realizzato.
Tuttavia, l’art. 6 del D. Lgs. 231/2001, nell’introdurre il regime di responsabilità amministrativa dell’ente, prevede una forma specifica di “esonero” da detta responsabilità qualora l’ente dimostri che:
L’”esonero” dalla responsabilità dell’ente passa attraverso il giudizio di idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli, che il giudice penale è chiamato a formulare in occasione del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito (soggetto apicale o sottoposto).
Pertanto, nella formulazione dei modelli di organizzazione e di gestione l’ente deve porsi come obiettivo l’esito positivo di tale giudizio di idoneità.
In particolare, se il reato è commesso da soggetti apicali, l’ente è responsabile qualora non dimostri:
(i) di avere adottato ma anche efficacemente attuato, prima della commissione del fatto di reato, un modello di organizzazione e gestione idoneo ad impedire reati della specie di quello commesso;
(ii) di avere istituito un organismo dotato di autonomi poteri di iniziative, vigilanza e controllo, il quale abbia effettivamente vigilato sull’osservanza di tale modello;
(iii) che il reato sia stato commesso per fraudolente elusione del modello da parte del soggetto apicale infedele.
Quando, invece, il fatto è commesso da soggetti sottoposti, dovrà essere provato che la commissione dell’illecito sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e di vigilanza da parte dei soggetti apicali; questi obblighi, tuttavia, non possono ritenersi violati se prima della commissione dell’illecito l’ente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
Il D. Lgs. 231/2001 prevede, quindi, che i modelli di organizzazione e gestione debbano rispondere alle seguenti esigenze:
Le caratteristiche essenziali indicate dal Decreto per la costruzione del modello di organizzazione e gestione si riferiscono, a ben vedere, ad un tipico sistema aziendale di gestione dei rischi (“risk management”).
Inoltre, affinché siano efficacemente attuati, i modelli di organizzazione e gestione, relativamente alle fattispecie di illecito considerate dal Decreto, richiedono verifiche periodiche e successive modifiche – laddove necessario – in relazione alle violazioni effettivamente verificatesi e agli eventuali mutamenti dell’organizzazione aziendale o dell’attività d’impresa.
Il D. Lgs. 231/2001 prevede, infine, che i modelli di organizzazione e gestione possano essere adottati, garantendo le esigenze sopra elencate, sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di categoria, comunicati al Ministero della Giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire gli illeciti di cui al Decreto.
Con particolare riferimento ai rischi derivanti dalla commissione di illeciti in tema di sicurezza e salute sul lavoro, l’art. 30 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“Testo Unico Sicurezza”) – come novellato dal D. Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 – ha inoltre previsto una presunzione di conformità ai requisiti attesi per i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007.
BOING SpA (di seguito “BOING” o la “Società”) – nel perseguire la conduzione degli affari e la gestione delle attività aziendali sulla base dei valori di efficienza, correttezza e lealtà – ha posto in essere le attività
necessarie per completare l’adeguamento del proprio modello di organizzazione, gestione e controllo (inteso quale insieme di regole aziendali di carattere generale ed operative, che si estrinsecano - tra l’altro
- nell’assetto organizzativo della Società, nel sistema di attribuzione delle deleghe e dei poteri, nelle linee guida organizzative e nelle prassi operative, nel sistema disciplinare e così via), a quanto previsto dal D. Lgs. 231/2001 (di seguito “Modello”).
Tale iniziativa è stata assunta nella convinzione che l’adozione (e gli eventuali successivi aggiornamenti) del Modello, al di là delle prescrizioni del Decreto - possa costituire un valido strumento di sensibilizzazione nei confronti dei Destinatari - come oltre definiti - affinché adottino, nell’espletamento delle proprie attività lavorative e/o dei propri incarichi o funzioni, dei comportamenti corretti, legittimi e lineari, tali da prevenire il rischio di commissione degli illeciti contemplati dal Decreto stesso.
Il Modello della Società è stato approvato dal Consiglio di Amministrazione di BOING in data 4 novembre 2015 e, da ultimo, aggiornato in data 5 marzo 2020.
Il Modello è destinato a tutti coloro che operano a qualunque titolo per BOING, quale che sia il rapporto
– anche temporaneo - che li lega alla stessa; in particolare esso è vincolante per coloro che: (i) rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o controllo della Società; (ii) sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui al punto (i) che precede (di seguito, complessivamente, “Destinatari”).
Con l’adozione del Modello BOING si è, quindi, posta l’obiettivo di dotarsi di un sistema strutturato ed organico comprendente un complesso di principi generali di comportamento nonché di procedure ed attività di controllo che rispondano alle finalità ed alle prescrizioni richieste dal D. Lgs. 231/2001 sia in termini di prevenzione dei reati e degli illeciti amministrativi dallo stesso richiamati (controlli preventivi) sia in termini di controllo dell’attuazione del Modello e di eventuale irrogazione di sanzioni (controlli ex post).
Tra le principali finalità del Modello – come meglio specificato nel paragrafo 2.7– vi è, quindi, quella di sviluppare la consapevolezza nei Destinatari di poter incorrere – in caso di comportamenti non conformi alle prescrizioni del Codice Etico, del Modello, degli Indirizzi Generali in materia di Anticorruzione e delle procedure ad esso riferibili – in illeciti passibili di conseguenze penalmente rilevanti non solo per i diretti autori degli illeciti bensì anche per la Società.
Il processo di adeguamento del Modello è stato effettuato tenendo conto dei dettami del D. Lgs. 231/2001, delle Linee Guida elaborate sul tema da Confindustria nonché delle specifiche iniziative già attuate dalla Società in materia di controllo interno. In particolare, il processo di adeguamento è stato effettuato con riferimento alle seguenti specifiche tipologie di illeciti previste:
mendaci all’autorità giudiziaria”;
irregolare;
nonché dalle previsioni della Legge 146/2006 rispetto ai “reati transnazionali”.
Le attività di valutazione del sistema dei controlli preventivi hanno considerato le fattispecie di illecito contemplate dal Decreto al momento dell’effettuazione dell’analisi. Inoltre, il processo di adeguamento è stato focalizzato sugli illeciti ritenuti astrattamente rilevanti per la Società, in considerazione della sua organizzazione e della natura delle attività svolte dalla stessa. Infine, alcune tipologie di illecito previste dal Decreto sono state escluse in quanto BOING, tenuto conto dell’attività sociale svolta, ne ha ritenuto estremamente improbabile – se non addirittura impossibile - la commissione1.
Il Modello dovrà essere adeguato in relazione alle eventuali ulteriori disposizioni normative che dovessero essere emanate in futuro dal legislatore nell’ambito di applicazione del D. Lgs. 231/2001. L’attività di aggiornamento del Modello, intesa sia come integrazione sia come modifica, sarà volta a garantire l’adeguatezza e l’idoneità dello stesso considerando la funzione preventiva che il Modello deve mantenere nel tempo rispetto alla commissione degli illeciti indicati nel Decreto.
Il Codice Etico di BOING contiene i principi fondamentali e i valori cui si ispira la Società e a cui si devono orientare le operazioni, i comportamenti e i rapporti, sia interni alla Società sia esterni alla stessa. Il Codice Etico è stato predisposto con l’obiettivo di definire con chiarezza l’insieme dei valori e delle responsabilità che la Società riconosce, accetta e condivide rappresenta una componente fondante del Modello e del complessivo sistema di controllo interno della Società. Nel Codice Etico, adottato da BOING nel febbraio 2014, sono, infatti, espressi un insieme di principi e di valori la cui osservanza è di fondamentale importanza per il regolare funzionamento della Società, l’affidabilità della gestione e l’immagine della stessa. In questa prospettiva, i principi contenuti nel Codice Etico costituiscono il primo presidio su cui si fonda il Modello nonché un utile riferimento interpretativo nella concreta applicazione dello stesso in relazione alle dinamiche aziendali, anche al fine di rendere operante la scriminante di cui all’art. 6 del D. Lgs. 231/2001.
I principi e le disposizioni del Codice Etico sono vincolanti per i Destinatari: esso si applica non solo alle persone legate alla Società da rapporti di lavoro subordinato ma anche a tutti coloro che operano per/con BOING quale che sia il rapporto – anche temporaneo – che li lega alle stesse (compresi gli amministratori e i sindaci).
Il Codice Etico stabilisce, quale principio imprescindibile dell’operato della Società, il rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti e dei principi etici comunemente riconosciuti nella conduzione degli affari, quali onestà, lealtà, correttezza, trasparenza e buona fede. A seguito della sua adozione il Codice Etico è stato adeguatamente diffuso ai Destinatari nei cui confronti, in caso di violazioni delle disposizioni dello stesso, sono applicabili apposite sanzioni (come peraltro indicato nel paragrafo all’uopo dedicato al “sistema sanzionatorio”).
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Negli ultimi anni, a livello internazionale, si è assistito ad un rafforzamento dell’impegno nella lotta alla corruzione, pubblica e privata, da parte di quasi tutti i paesi, in coerenza con le convenzioni internazionali nonché con i trattati internazionali anticorruzione e con le leggi di diritto pubblico e commerciale vigenti in paesi specifici. Anche l’Italia, con la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge
Anticorruzione) è intervenuta in tal senso, rafforzando gli strumenti volti a contrastare i fenomeni corruttivi, ampliando - tra l’altro – come già precedentemente segnalato, il catalogo dei reati presupposto ai sensi del Decreto.
In linea con le best practices via via sviluppatesi per contrastare i fenomeni corruttivi, il Modello si
integra, quindi, con un documento dedicato agli “Indirizzi Generali in materia di anticorruzione”.
Tale documento (quivi Allegato sub D) si prefigge la finalità di proporre un quadro sistematico di riferimento in materia di divieto di pratiche corruttive, fornendo una sintesi delle norme etico- comportamentali cui i Destinatari devono strettamente attenersi al fine di rispettare le disposizioni previste dalla normativa vigente in materia di anticorruzione nonché i principi e i valori contenuti nel Codice Etico, nel Modello e nelle procedure aziendali, prevenendo altresì la commissione di illeciti, anche determinanti l’applicazione del Decreto.
Il documento contiene, in sintesi, una descrizione dei principi generali che – in osservanza di quanto previsto al Capo III (Comportamento negli affari) del Codice Etico e al fine di evitare che vengano posti in essere comportamenti illegittimi o scorretti, comprese le pratiche corruttive di qualsivoglia natura – devono ispirare il comportamento dei Destinatari, in particolare quando questi ultimi operino in particolari “aree di attività a rischio reato” (quali, ad es. nei rapporti con istituzioni e funzionari pubblici, nel processo di acquisto di beni e servizi, nelle attività di vendita di beni e servizi, etc.). Tali principi si integrano, ovviamente, con i principi e i valori espressi nel Codice Etico di BOING, nel Modello e nelle procedure aziendali di tempo in tempo adottate.
Come già evidenziato, BOING ha scelto di dotarsi di un modello di organizzazione e gestione ex D. Lgs. 231/01 (nonché di provvedere al suo progressivo e costante adeguamento) con l’intento di sensibilizzare i Destinatari ad una gestione trasparente e corretta della Società, al rispetto delle norme giuridiche vigenti e dei fondamentali principi di etica negli affari.
Infatti, scopo principale del Modello è la definizione di un sistema strutturato ed organico di procedure/regole di comportamento e di attività di controllo, da svolgersi principalmente in via preventiva, al fine di prevenire – per quanto possibile - la commissione delle diverse tipologie di illecito contemplate dal Decreto.
In particolare, pertanto, il Modello si propone le seguenti finalità:
Nel processo di definizione del Modello, BOING si è ispirata a consolidati principi in materia sia di “corporate governance” sia di controllo interno. Secondo tali principi un sistema di gestione e di controllo dei rischi in linea con le disposizioni di cui al D. Lgs. 231/2001 prevede le seguenti caratteristiche:
sopra, con riguardo alle potenziali modalità attuative degli illeciti;
Il processo di definizione del Modello si, articola in due fasi:
Attraverso tale processo è stato così definito un sistema di organizzazione, gestione e controllo finalizzato a prevenire la commissione delle fattispecie di reato e di illecito amministrativo individuate dal Decreto, nel rispetto di alcuni principi di controllo meglio esplicitati nel paragrafo 2.5 che segue.
In base alle risultanze delle attività di identificazione dei rischi effettuata da BOING, sono state individuate le seguenti “aree di attività a rischio reato”, intese quali aree aziendali interessate a potenziali casistiche di illecito:
Sono state, altresì, analizzate nel dettaglio le attività che pur non costituendo direttamente occasioni di reato, sono state individuate durante il workshop operativo come potenzialmente idonee a consentire la creazione di fondi neri o di altre forme di vantaggio utilizzabili allo scopo di corrompere uno o più soggetti, persuadendoli a commettere un reato nell’interesse o a vantaggio della Società e segnatamente:
Il risultato del processo di mappatura dei rischi e di analisi delle “aree di attività a rischio reato” è raccolto
in appositi documenti conservati presso la Società.
Una volta completata l’attività di identificazione dei rischi e di individuazione delle “aree di attività a rischio reato”, si è quindi proceduto ad effettuare la ricognizione e la valutazione dell’efficacia del sistema di organizzazione, gestione e controllo esistente ed utilizzato all’interno dalla Società e a codificare – ove necessario - in documenti scritti gli standard e le attività di controllo da applicare nei vari processi, al fine di prevenire le condotte illecite individuate dal Decreto .
Le procedure/regole di comportamento riconducibili al Modello si integrano, evidentemente, con i principi espressi nel Codice Etico e negli Indirizzi generali in materia di anticorruzione, con le altre linee guida organizzative, con gli organigrammi aziendali, gli ordini di servizio, il sistema di attribuzione delle deleghe e dei poteri e le procure aziendali e con tutti quegli strumenti organizzativi o di controllo – comunque funzionali al Modello - già utilizzati o operanti nell’ambito della Società, che non si è ritenuto necessario modificare ai fini del D. Lgs. 231/2001.
Le procedure riferibili al Modello, così come le altre norme societarie interne, rispondono a principi generali di controllo interno tesi a garantire una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati e, nello specifico, anche il rispetto delle disposizioni del D. Lgs. 231/01. In linea generale, il sistema di controllo interno della Società, delineato nell’ambito delle procedure aziendali e nelle altre norme societarie interne, deve essere idoneo a:
organizzative e gestionali assegnate;
L’art. 2 della Legge n. 179 del 2017 ha modificato l’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, estendendo anche al
settore privato le disposizioni poste a tutelare il dipendente che segnala illeciti (c.d. whistleblower).
In particolare, il nuovo comma 2-bis della norma in esame prevede che i modelli di organizzazione, gestione e controllo debbano prevedere “uno o più canali che consentano ai soggetti apicali e ai soggetti sottoposti all’altrui direzione, di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte”.
Tali canali dovranno essere idonei a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di
gestione della segnalazione e almeno uno di essi dovrà prevedere la trasmissione della segnalazione “con modalità informatiche”.
Sebbene nella sua versione definitiva il testo di legge non preveda l’obbligatorietà delle segnalazioni, è ormai prassi consolidata nel tempo che l’obbligo di informare il datore di lavoro di eventuali comportamenti contrari al Modello adottato sia considerato come parte del più ampio dovere di diligenza ed obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro.
Anche per tale motivo, già in passato si riteneva che il corretto adempimento all’obbligo di informazione da parte del prestatore di lavoro non potesse dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, come oggi confermato dall’introduzione normativa del divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.
La Società si è dotata di una procedura ad hoc in materia di whistleblowing.
Tale procedura, approvata dal Consiglio di Amministrazione in data 5 marzo 2020, è stata comunicata ai dipendenti ed è disponibile per la consultazione sull’intranet aziendale.
Secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 2 lett. e) e dall’art. 7, comma 4, lett. b) del Decreto, la definizione di un adeguato sistema disciplinare che contrasti e sia idoneo a sanzionare l’eventuale violazione del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili da parte dei soggetti in posizione apicale e/o dei soggetti sottoposti all’altrui direzione e vigilanza, costituisce un elemento indispensabile del Modello stesso e condizione essenziale per garantire la sua efficacia.
Infatti, in termini generali la previsione di sanzioni, debitamente commisurate alla violazione commessa e dotate di “meccanismi di deterrenza”, applicabili in caso di violazione del Modello e delle procedure aziendali, ha lo scopo di contribuire, da un lato, all’efficacia ed effettività del Modello stesso, e, dall’altro, all’efficacia dell’attività di controllo effettuata dall’Organismo di Vigilanza.
La Società ha, quindi, definito che la violazione delle norme del Codice Etico e degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione nonché dei principi contenuti nel Modello e nelle procedure ad esso riferibili comporta, a carico dei Destinatari, l’applicazione di sanzioni. Tali violazioni, infatti, ledono il rapporto di fiducia – improntato in termini di trasparenza, correttezza, integrità e lealtà - instaurato con la Società stessa e possono determinare, quale conseguenza, l’avvio di un procedimento disciplinare a carico dei soggetti interessati e l’irrogazione di sanzioni. Ciò a prescindere dall’instaurazione di un eventuale procedimento penale o amministrativo - nei casi in cui il comportamento integri o meno una ipotesi di illecito - e dall’esito del conseguente giudizio, in quanto Codice Etico, Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, Modello e procedure aziendali ad esso riferibili costituiscono precise norme di comportamento vincolanti per i Destinatari.
In ogni caso, data l’autonomia della violazione del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure interne rispetto a violazioni di legge che comportano la commissione di un reato o di un illecito amministrativo rilevanti ai fini del D. Lgs. 231/01, la valutazione delle condotte poste in essere dai Destinatari effettuata dalla Società, può non coincidere con la valutazione del giudice in sede penale.
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Le sanzioni e il relativo iter di contestazione della violazione si differenziano in relazione alla diversa categoria di Destinatario.
Lavoratori Dipendenti
Come sopra evidenziato, i comportamenti tenuti dai lavoratori dipendenti in violazione dei principi e delle regole comportamentali previsti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali sono considerati inadempimento delle obbligazioni primarie del rapporto di lavoro e, pertanto, hanno rilevanza anche quali illeciti disciplinari.
Con riferimento alle sanzioni irrogabili nei riguardi del personale dipendente, esse rientrano tra quelle
previste dal sistema disciplinare aziendale e/o dal sistema sanzionatorio previsto dalle norme specialistiche contenute, in particolare, nei CCNL e nei Contratti Integrativi Aziendali di tempo in tempo applicabili, nel rispetto delle procedure previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) ed eventuali normative speciali e/o di settore applicabili.
Le infrazioni sono accertate ed i conseguenti procedimenti disciplinari sono avviati dalle direzioni competenti secondo l’assetto organizzativo aziendale, in conformità con la vigente normativa e con le disposizioni contenute nei CCNL e nei Contratti Integrativi Aziendali di tempo in tempo applicabili.
In ogni caso, le sanzioni contemplate dalle previsioni contrattuali vigenti (ad es. per il CCNL per i dipendenti del Terziario: biasimo verbale, biasimo scritta, multa fino all’importo di 4 ore di retribuzione, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a 10 giorni, licenziamento) sono applicate tenendo conto, in particolare, della rilevanza degli obblighi violati nonché degli elementi di seguito elencati:
negligenza, imprudenza o imperizia evidenziata;
Le sanzioni disciplinari potranno essere applicate, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, nel caso in cui, anche in eventuale concorso con altri, si presentino le seguenti condotte:
distruzione o l’alterazione della documentazione prevista dalle procedure aziendali;
Ove le sanzioni disciplinari derivanti da violazioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili siano applicate a dipendenti muniti di procura con potere di rappresentare la Società, l’irrogazione della sanzione può comportare la revoca della suddetta procura.
Secondo quanto previsto dal procedimento disciplinare dello Statuto dei Lavoratori, dal CCNL applicabile, nonché da tutte le altre disposizioni legislative e regolamentari in materia, i lavoratori responsabili di azioni od omissioni contrastanti con le prescrizioni contenute nella Legge 30 novembre 2017 n. 179 (c.d. Legge sul whistleblowing), tenuto conto della gravità e/o reiterazione delle condotte, sono soggetti alle sanzioni ivi previste.
Dirigenti
Il rapporto dirigenziale si caratterizza per la natura eminentemente fiduciaria: pertanto, il rispetto da parte dei dirigenti della Società dei principi e delle disposizioni previste dal Codice Etico, dagli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili e l’obbligo a che gli stessi facciano rispettare tali principi e prescrizioni è elemento essenziale del rapporto di lavoro dirigenziale.
Anche in questo caso, trattandosi di un rapporto di lavoro subordinato, le eventuali infrazioni sono accertate ed i conseguenti procedimenti disciplinari sono avviati dalle direzioni competenti sulla base dell’assetto organizzativo aziendale, secondo quanto previsto per i dirigenti nel CCNL Dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi ed in conformità con la vigente normativa.
In caso di violazione, da parte dei dirigenti, di quanto previsto dal Codice Etico, dagli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili o di adozione, nell’espletamento di attività nelle “aree di attività a rischio reato” di comportamenti non conformi – anche in termini omissivi – alle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili ovvero nell’ipotesi in cui il dirigente consenta di adottare, a soggetti a lui sottoposti gerarchicamente, comportamenti non conformi alle suddette prescrizioni (e, comunque, anche al verificarsi delle ipotesi di violazioni elencate – a titolo esemplificativo e non esaustivo – con riguardo ai dipendenti con qualifica non dirigenziale), la Società provvederà ad applicare nei confronti dei responsabili le sanzioni più idonee rispetto alla gravità della condotta commessa, in conformità alla natura del rapporto dirigenziale come risultante anche dalla normativa vigente e dal CCNL Dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi (a partire dalla censura scritta sino ad arrivare, nei casi più gravi, al licenziamento con o senza preavviso, in particolare, laddove il comportamento posto in essere concretizzi una grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, di quello fiduciario, così da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro).
Ove le sanzioni disciplinari derivanti da violazione del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili siano applicate a dirigenti muniti di procura con potere di rappresentare la Società, l’irrogazione della sanzione può comportare la revoca della suddetta procura.
Anche la violazione delle misure di tutela del segnalante (whistleblower), nonché la condotta di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni (whistleblowing) che si rivelano infondate viene considerata ai fini dell’applicazione della relativa sanzione.
Collaboratori, fornitori e/o soggetti aventi relazioni d’affari con la Società
La Società ritiene che ogni comportamento posto in essere da soggetti esterni alla Società che sia suscettibile di comportare il rischio di commissione di uno degli illeciti cui si riferisce il Decreto, sia da censurare. Pertanto, per quanto riguarda i collaboratori, i fornitori e/o i soggetti aventi relazioni
d’affari con la Società quale che sia il rapporto, anche temporaneo, che li lega alla stessa, l’inosservanza delle norme del Codice Etico (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) e del Modello e delle procedure aziendali allo stesso riferibili, costituisce inadempimento delle obbligazioni contrattuali assunte, con ogni conseguenza di legge, e può quindi comportare – nei casi più gravi - la risoluzione del contratto e/o dell’incarico nonché il risarcimento dei danni eventualmente subiti dalla Società.
Amministratori e sindaci
La Società valuta con estrema attenzione le violazioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili poste in essere da soggetti apicali, in quanto essi rappresentano il vertice della Società e ne manifestano l’immagine verso i dipendenti, gli azionisti, i creditori e il mercato. Pertanto, in caso di violazione, da parte degli amministratori e/o dei sindaci, dei principi e delle disposizioni del Codice Etico degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili ovvero di adozione, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, di provvedimenti che contrastino con tali disposizioni, gli organi sociali competenti provvederanno ad assumere le misure di tutela di volta in volta più opportune, nell’ambito di quelle previste dalla normativa di tempo in tempo vigente, ivi compresa la revoca della delega e/o del mandato conferiti al soggetto interessato.
Indipendentemente dall’applicazione della misura di tutela, è fatta comunque salva la facoltà della Società di avvalersi delle misure previste a suo favore dal Codice Civile (azioni di responsabilità e/o risarcitorie).
Nel caso in cui le violazioni siano poste in essere da un soggetto apicale che rivesta, altresì, la qualifica di lavoratore subordinato, troveranno applicazione anche le azioni disciplinari esercitabili in base al rapporto di lavoro subordinato intercorrente con la Società.
Anche la violazione, da parte di un soggetto apicale, delle misure di tutela del segnalante (whistleblower), nonché la condotta di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni (whistleblowing) che si rivelano infondate viene considerata ai fini dell’applicazione della relativa sanzione.
Organismo di Vigilanza
Con riferimento ai componenti dell’Organismo di Vigilanza, nel caso in cui il rapporto con la Società sia di lavoro subordinato, si applicherà quanto previsto nei paragrafi dedicati ai “lavoratori dipendenti” e/o ai “dirigenti”; nel caso in cui, invece, il rapporto sia di collaborazione/consulenza, varrà quanto indicato nel paragrafo dedicato ai “collaboratori”.
L’art. 6, 1° comma, lett. b) e d) del Decreto, nel ricondurre l’esonero da responsabilità dell’ente all’adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, idoneo a prevenire la commissione degli illeciti considerati da tale normativa, ha previsto l’obbligatoria istituzione di un organismo dell’ente, dotato sia di un autonomo potere di controllo (che consenta di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Modello) sia di un autonomo potere di iniziativa, a garanzia del costante aggiornamento dello stesso.
Il conferimento di questi compiti a tale organismo ed il corretto, puntuale ed efficace svolgimento degli stessi sono, dunque, presupposti indispensabili per l’esonero della responsabilità per l’ente. In ogni caso, anche l’istituzione di tale organismo deve rispettare il principio di effettività: al di là della individuazione formale, l’organismo, infatti, deve essere posto nelle condizioni di assolvere realmente i complessi e delicati compiti che il decreto gli attribuisce.
Ai fini di un’effettiva ed efficace attuazione del Modello, tale organismo di vigilanza e controllo deve avere le caratteristiche che seguono.
qualunque componente dell’ente (e, in particolare, dell’organo dirigente);
* * *
In attuazione di quanto previsto dal D. Lgs. 231/01 ed in relazione alle ridotte dimensioni aziendali e alle attività svolte dalla Società, l’organismo di vigilanza (qui, di seguito, definito “Organismo di Vigilanza”) di BOING assume la veste di organo monocratico, nominato dal Consiglio di Amministrazione secondo le logiche e i criteri infra descritti.
Requisiti
Il soggetto da nominare Organismo di Vigilanza di BOING deve possedere requisiti di onorabilità – analoghi a quelli degli amministratori della Società - e di professionalità adeguati al ruolo da ricoprire e deve essere esente da cause di incompatibilità e motivi di conflitto di interesse con altre funzioni e/o incarichi aziendali tali che possano minarne l’indipendenza e la libertà di azione e di giudizio. La sussistenza e la permanenza di tali requisiti soggettivi devono essere, di volta in volta, accertate dal Consiglio di Amministrazione della Società sia preventivamente rispetto alla nomina sia periodicamente
– almeno una volta all’anno - durante tutto il periodo l’Organismo di Vigilanza resterà in carica. Costituisce, inoltre, causa di ineleggibilità o di revoca per giusta causa la sentenza di condanna (o di patteggiamento) non irrevocabile, con particolare riferimento agli illeciti previsti dal Decreto.
Nomina, durata e revoca
L’Organismo di Vigilanza è nominato dal Consiglio di Amministrazione di BOING e dura in carica fino al termine del mandato del Consiglio di Amministrazione che lo ha nominato ovvero fino a diverso termine deliberato dallo stesso.
Al fine di garantirne la piena autonomia ed indipendenza, l’Organismo di Vigilanza riporta direttamente al Consiglio di Amministrazione della Società.
Il venir meno anche di uno solo dei requisiti di onorabilità, professionalità, assenza di incompatibilità e/o conflitto di interesse di cui al precedente paragrafo, in costanza di mandato, determina la decadenza dell’incarico.
L’eventuale revoca dell’Organismo di Vigilanza è di competenza del Consiglio di Amministrazione di BOING. In caso di revoca o decadenza, il Consiglio di Amministrazione della Società provvede tempestivamente alla sostituzione dell’Organismo di Vigilanza, previo accertamento dei requisiti soggettivi sopra indicati.
Compiti ed attribuzioni
All’Organismo di Vigilanza sono conferiti i seguenti compiti ed attribuzioni:
e alla concreta attività svolta;
Allo scopo di assolvere alle proprie responsabilità, l’Organismo di Vigilanza può, in qualsiasi momento, nell’ambito della propria autonomia e discrezionalità, procedere ad atti di verifica riguardo all’applicazione del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili, avvalendosi anche di consulenti esterni.
In particolare, sono previste:
L’Organismo di Vigilanza, conseguentemente alle verifiche effettuate, alle modifiche normative e/o organizzative di volta in volta intervenute nonché all’accertamento dell’esistenza di nuove aree di attività a rischio ovvero in caso di significative violazioni delle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili, evidenzia alle funzioni aziendali competenti l’opportunità che la Società proceda ai relativi adeguamenti ed aggiornamenti del Modello e/o delle relative procedure.
L’Organismo di Vigilanza verifica, attraverso attività di follow-up, che le eventuali azioni correttive raccomandate vengano intraprese dalle funzioni aziendali competenti.
In presenza di problematiche interpretative e/o di quesiti sul Codice Etico, sugli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, sul Modello e/o sulle procedure aziendali ad esso riferibili, i Destinatari possono rivolgersi all’Organismo di Vigilanza per i chiarimenti opportuni.
Ai fini specifici dell’esecuzione delle attività di vigilanza e controllo assegnate, all’Organismo di Vigilanza
è attribuita annualmente un’adeguata disponibilità finanziaria, di volta in volta aggiornata a seconda
delle specifiche esigenze determinatesi, allo scopo di consentirgli lo svolgimento delle attribuzioni sopra descritte con piena autonomia economica e gestionale.
Flussi informativi verso gli organi sociali
Con riferimento all’attività di reporting nei confronti degli organi sociali, l’Organismo di Vigilanza relaziona, mediante reports scritti e con cadenza almeno semestrale, il Consiglio di Amministrazione - in merito all’attuazione del Modello - nonché il Collegio Sindacale. Allo scadere del proprio incarico, l’Organismo di Vigilanza– laddove lo reputi opportuno – redige per gli organi sociali una relazione di fine mandato.
L’Organismo di Vigilanza può essere consultato in qualsiasi momento dagli organi sopra citati per riferire in merito al funzionamento del Modello o a situazioni specifiche o, in caso di particolari necessità, può informare direttamente e su propria iniziativa gli organi sociali.
Flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza
I Destinatari del Modello sono tenuti a fornire le informazioni richieste dall’Organismo di Vigilanza secondo i contenuti, le modalità e la periodicità di volta in volta definiti dallo stesso. Gli obblighi informativi verso l’Organismo di Vigilanza rappresentano, infatti, un utile strumento a favore di quest’ultimo per svolgere le attività di vigilanza sull’efficacia del Modello e di accertamento ex post delle cause che possono aver consentito il verificarsi di un illecito.
I Destinatari, inoltre, trasmettono senza indugio all’Organismo di Vigilanza le informazioni concernenti i provvedimenti provenienti dalla magistratura, dalla Polizia Giudiziaria o da altra Autorità, dai quali si evinca lo svolgimento di attività di indagine o giudiziaria per una delle fattispecie di illecito rilevanti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 riguardanti la Società e/o i Destinatari.
I Destinatari del Modello, inoltre, qualora vengano a conoscenza di fatti che integrino la commissione di illeciti previsti dal Decreto ovvero al verificarsi di eventi o circostanze rilevanti ai fini dello svolgimento dell’attività di competenza dell’Organismo di Vigilanza, lo informano prontamente.
L’Organismo di Vigilanza valuta le segnalazioni ricevute e si attiva per i necessari adempimenti ed iniziative, motivando per iscritto eventuali decisioni di non procedere ad effettuare indagini interne.
Ogni informazione e segnalazione raccolta dall’Organismo di Vigilanza viene custodita sotto la sua responsabilità, secondo regole, criteri e condizioni di accesso ai dati idonee a garantirne l’integrità e la riservatezza.
Per le finalità informative di cui sopra (nonché per chiarimenti e/o informazioni), l’Organismo di Vigilanza dispone anche del seguente indirizzo specifico di posta elettronica: boingodv@boingtv.it.
L’eventuale violazione degli obblighi informativi verso l’Organismo di Vigilanza posti a carico dei
Destinatari può determinare l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui al paragrafo 2.7 che precede.
In conformità a quanto previsto dal D. Lgs. 231/2001, è preciso impegno di BOING dare ampia divulgazione ai principi e alle disposizioni contenuti nel Modello, anche al fine di dare efficace attuazione allo stesso.
La Società, quindi, definisce uno specifico piano di comunicazione e formazione volto ad assicurare un’ampia divulgazione ai Destinatari dei principi e delle disposizioni contenute nel Codice Etico e nel Modello (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) e delle procedure/regole di comportamento aziendali ad esso riferibili, con modalità idonee a garantirne la conoscenza effettiva da parte degli stessi, avendo cura di operare una necessaria diversificazione di approfondimento a seconda dei ruoli, delle responsabilità e dei compiti attribuiti nonché dell’ambito di attività in cui i singoli Destinatari operano. Tale piano è gestito dalle competenti funzioni aziendali che si coordinano con l’Organismodi Vigilanza..
* * *
Per quanto attiene alla comunicazione, l’adozione (e/o l’aggiornamento) del Modello sono comunicati a tutti i Destinatari. In particolare, la Società ha previsto specifiche modalità di diffusione del Modello e delle procedure/regole di comportamento ad esso riferibili, ai Destinatari interni alla Società (es. lavoratori dipendenti). Il Modello è, inoltre, pubblicato nel sito internet della Società
L’adozione (e gli eventuali successivi aggiornamenti) del Modello) sono comunicati e diffusi anche ai soggetti esterni all’azienda (quali collaboratori, fornitori, etc, comunque rientranti nella definizione di Destinatari). L’impegno formale da parte dei suddetti soggetti al rispetto dei principi del Codice Etico e del Modello (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) sono documentati attraverso la predisposizione di specifiche clausole contrattuali debitamente sottoposte ed accettate dalle controparti.
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L’attività di formazione organizzata dalla Società è finalizzata a promuovere la conoscenza della normativa di cui al Decreto, a fornire un quadro esaustivo della stessa, dei risvolti pratici che da tali norme discendono nonché dei principi e dei contenuti su cui si basa il Modello (così come il Codice Etico e gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) a tutti coloro che sono tenuti a conoscerli, osservarli e rispettarli, contribuendo alla loro attuazione.
I contenuti formativi riguardano, in generale, le disposizioni normative in tema di responsabilità amministrativa degli enti (e, quindi, le conseguenze derivanti alla Società dall’eventuale commissione di illeciti da parte di soggetti che per essa agiscano), le caratteristiche essenziali degli illeciti previsti dal Decreto e, più specificatamente, i principi contenuti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure/regole di comportamento ad esso riferibili nonché le specifiche finalità preventive che il Modello persegue in tale contesto.
I moduli formativi sono articolati in relazione ai ruoli, alle funzioni e alle responsabilità rivestite dai singoli Destinatari e tengono conto, in particolare, del livello di rischio dell’area di attività in cui gli stessi operano.
L’attività di formazione è gestita e monitorata dalla competente funzione aziendale ed è adeguatamente documentata. In particolare, la partecipazione agli incontri formativi in aula è formalizzata attraverso la richiesta della firma di presenza.
L’Organismo di Vigilanza verifica periodicamente, anche attraverso flussi dati ed informazioni forniti periodicamente dalla funzione aziendale di cui sopra, lo stato di attuazione del piano di formazione e, se del caso, può chiedere controlli specifici sul livello di conoscenza e comprensione acquisito dai Destinatari, dei contenuti del Decreto, del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle sue implicazioni operative nell’ambito dell’attività aziendale.
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In coerenza con i principi ed i valori espressi nel Codice Etico e nel Modello, BOING riconosce la rilevanza e la centralità dei temi della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro nello svolgimento delle attività di business e si impegna a perseguire il costante miglioramento delle performances aziendali nel rispetto delle norme in materia di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro.
In tale ottica specifiche iniziative informative e formative sono, inoltre, svolte con specifico riferimento all’attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in generale, dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
In particolare, l’obiettivo di tali attività è quello di rendere i lavoratori (così come intesi dal Testo Unico Sicurezza e sue successive modifiche ed integrazioni) consapevoli:
circostante derivante dalle proprie attività lavorative e comportamenti;
istruzioni operative.
ALLEGATO A - DECRETO LEGISLATIVO 8 GIUGNO 2001, N. 231
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l´articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n.400;
Visti gli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale secondo i principi e criteri direttivi contenuti nell´articolo 11; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell´11 aprile 2001; Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, a norma dell´articolo 14, comma 1, della citata legge 29 settembre 2000, n. 300;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 maggio 2001;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell´industria, del commercio e dell´artigianato e del commercio con l´estero, con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Capo I
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL´ENTE SEZIONE I
Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa Art. 1 Soggetti
Art. 2
Principio di legalità
Art. 3
Successione di leggi
Art. 4
Reati commessi all´estero
Art. 5
Responsabilità dell´ente
Art. 6
Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell´ente
2-ter. L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall'organizzazione sindacale indicata dal medesimo.
2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il
mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. E' onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.
Art. 7
Soggetti sottoposti all´altrui direzione e modelli di organizzazione dell´ente
Art. 8
Autonomia delle responsabilità dell´ente
SEZIONE II
Sanzioni in generale
Art. 9
Sanzioni amministrative
pubblico servizio;
Art. 10
Sanzione amministrativa pecuniaria
Art. 11
Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria
Art. 12
Casi di riduzione della sanzione pecuniaria
Art. 13
Sanzioni interdittive
Criteri di scelta delle sanzioni interdittive
Art. 15
Commissario giudiziale
Art. 16
Sanzioni interdittive applicate in via definitiva
Art. 17
Riparazione delle conseguenze del reato
Art. 18
Pubblicazione della sentenza di condanna
Art. 19 Confisca
Art. 20 Reiterazione
Art. 21
Pluralità di illeciti
Art. 22 Prescrizione
Art. 23
Inosservanza delle sanzioni interdittive
SEZIONE III
Responsabilità amministrativa per reati previsti dal codice penale
Art. 24
Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico.
Art. 24-bis
Delitti informatici e trattamento illecito di dati
Art. 24-ter
Delitti di criminalità organizzata
Art. 25
Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione
321 del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.
Art. 25-bis
Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento.
Art.25-bis.1
Delitti contro l´industria e il commercio
Art. 25-ter Reati societari
sanzioni pecuniarie:
a-bis) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote»;
sanzione pecuniaria da duecento a trecentotrenta quote;
s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote e, nei casi di istigazione di cui al primo comma dell'articolo 2635-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. Si applicano altresì le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2;
Art. 25-quater
Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell´ordine democratico
Art. 25-quater.1
Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
Art. 25-quinquies
Delitti contro la personalità individuale
Art. 25-sexies Abusi di mercato
Art. 25-septies
Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro
Art. 25-octies
Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio
Art. 25-novies
Delitti in materia di violazione del diritto d´autore
Art. 25-decies
Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all´autorità giudiziaria
In relazione alla commissione del delitto di cui all´art. 377-bis del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
Art. 25-undecies Reati ambientali
1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a).
Art. 25-duodecies
Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
1-bis. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
1-ter. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote.
1-quater. Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.
Art. 25-terdecies Razzismo e xenofobia
dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferi ore a un anno.
Art. 25-quaterdecies
Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati
Art. 25-quinquiesdecies Reati tributari
Art. 26 Delitti tentati
Capo II
RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE E VICENDE MODIFICATIVE DELL´ENTE
SEZIONE I
Responsabilità patrimoniale dell´ente
Art. 27
Responsabilità patrimoniale dell´ente
SEZIONE II
Vicende modificative dell´ente
Art. 28
Trasformazione dell´ente
Art. 29
Fusione dell´ente
Art. 30
Scissione dell´ente
Art. 31
Determinazione delle sanzioni nel caso di fusione o scissione
Art. 32
Rilevanza della fusione o della scissione ai fini della reiterazione
Art. 33
Cessione di azienda
Capo III
PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO E DI APPLICAZIONE DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE SEZIONE I
Disposizioni generali
Art. 34
Disposizioni processuali applicabili
Art. 35
Estensione della disciplina relativa all´imputato
SEZIONE II
Soggetti, giurisdizione e competenza
Art. 36
Attribuzioni del giudice penale
Art. 37
Casi di improcedibilità
Art. 38
Riunione e separazione dei procedimenti
Art. 39
Rappresentanza dell´ente
Art. 40
Difensore di ufficio
Art. 41
Contumacia dell´ente
Art. 42
Vicende modificative dell´ente nel corso del processo
Art. 43
Notificazioni all´ente
SEZIONE III
Prove Art. 44
Incompatibilità con l´ufficio di testimone
SEZIONE IV
Misure cautelari
Art. 45
Applicazione delle misure cautelari
Criteri di scelta delle misure
Art. 47
Giudice competente e procedimento di applicazione
Art. 48
Adempimenti esecutivi
Art. 49
Sospensione delle misure cautelari
Art. 50
Revoca e sostituzione delle misure cautelari
Durata massima delle misure cautelari
Art. 52
Impugnazione dei provvedimenti che applicano le misure cautelari
Art. 53
Sequestro preventivo
1-bis. Ove il sequestro, eseguito ai fini della confisca per equivalente prevista dal comma 2 dell'articolo 19, abbia ad oggetto società, aziende ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche se in deposito, il custode amministratore giudiziario ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone all'autorità giudiziaria. In caso di violazione della predetta finalità l'autorità giudiziaria adotta i provvedimenti conseguenti e può nominare un amministratore nell'esercizio dei poteri di azionista. Con la nomina si intendono eseguiti gli adempimenti di cui all'articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
Art. 54
Sequestro conservativo
SEZIONE V
Indagini preliminari e udienza preliminare
Art. 55
Annotazione dell´illecito amministrativo
Art. 56
Termine per l´accertamento dell´illecito amministrativo nelle indagini preliminari
Art. 57
Informazione di garanzia
Art. 58 Archiviazione
Art. 59
Contestazione dell´illecito amministrativo
Art. 60
Decadenza dalla contestazione
Art. 61
Provvedimenti emessi nell´udienza preliminare
SEZIONE VI
Procedimenti speciali
Art. 62
Giudizio abbreviato
Art. 63
Applicazione della sanzione su richiesta
Art. 64
Procedimento per decreto
SEZIONE VII
Giudizio
Art. 65
Termine per provvedere alla riparazione delle conseguenze del reato
Art. 66
Sentenza di esclusione della responsabilità dell´ente
Art. 67
Sentenza di non doversi procedere
Art. 68
Provvedimenti sulle misure cautelari
Art. 69
Sentenza di condanna
Art. 70
Sentenza in caso di vicende modificative dell´ente
SEZIONE VIII
Impugnazioni
Art. 71
Impugnazioni delle sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell´ente
Art. 72
Estensione delle impugnazioni
Art. 73
Revisione delle sentenze
SEZIONE IX
Esecuzione Art. 74 Giudice dell´esecuzione
Art. 75
Esecuzione delle sanzioni pecuniarie (articolo abrogato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)
Art. 76
Pubblicazione della sentenza applicativa della condanna
Art. 77
Esecuzione delle sanzioni interdittive
Art. 78
Conversione delle sanzioni interdittive
Art. 79
Nomina del commissario giudiziale e confisca del profitto
Art. 80
Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)
Art. 81
Certificati dell´anagrafe (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)
Art. 82
Questioni concernenti le iscrizioni e i certificati (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)
Capo IV
DISPOSIZIONI DI ATTUAZIONE E DI COORDINAMENTO
Art. 83 Concorso di sanzioni
Art. 84
Comunicazioni alle autorità di controllo o di vigilanza
Art. 85
Disposizioni regolamentari (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)
ALLEGATO B - REATI PRESUPPOSTO
L’art. 24 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche o frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico”, così recita:
2, lettere c), d) ed e).
L’art. 25 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e
corruzione”2, così recita:
4, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.
tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 320 e 322-bis.
5bis. Se prima della sentenza di primo grado l'ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall'articolo 13, comma 2.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 24 e dall’art. 25 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
2 Recentemente riformato in seguito all’approvazione della Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 316-bis Malversazione a danno dello Stato
Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.
In tale ipotesi di reato rileva che i predetti finanziamenti, sovvenzioni o contributi siano conferiti da un organismo pubblico, ossia un qualsiasi organismo istituito, anche in forma societaria, per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi ovvero il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da componenti dei quali più della metà sia designata dai medesimi soggetti suindicati, nonché, infine, sia dotato di personalità giuridica, e siano qualificati come attribuzioni di denaro a fondo perduto o caratterizzati da un’onerosità ridotta rispetto a quella derivante dalla applicazione delle ordinarie condizioni di mercato.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare parte di fondi agevolati debitamente ricevuti per
uno scopo diverso e non compatibile con quello previsto dal bando agevolativo.
Art. 316-ter Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato
Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a € 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da € 5.164,00 a € 25.822,00. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
In questa fattispecie di reato, contrariamente a quanto visto all’art. 316-bis “Malversazione a danno dello Stato”, a nulla rileva l’uso che venga fatto delle erogazioni, in quanto il reato viene a realizzarsi nel momento dell’indebito ottenimento dei finanziamenti.
Si precisa che:
dovuta.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’ottenere fondi agevolati a seguito di una domanda che
contiene informazioni false o dichiarazioni false, finalizzate a migliorare il punteggio complessivo ottenuto.
Art. 640, comma 2, n.1 Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51,00 a € 1032,00.
La pena è della reclusione ad uno a cinque anni e della multa da € 309,00 a € 1.549,00:
l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità.
2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, per realizzare per sé o per altri un ingiusto profitto, siano posti in essere degli artifici o raggiri tali da indurre in errore e conseguentemente da arrecare un danno allo Stato (oppure ad altro ente pubblico o all’Unione Europea).
Il reato di truffa risulta altresì integrato, qualora siano omesse informazioni che, se conosciute dall’ente, avrebbero indotto quest’ultimo a porre parere negativo alla sua volontà negoziale.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel rendere dichiarazioni parziali e fuorvianti o presentare informazioni fallaci alla Pubblica Amministrazione, con la finalità di ridurre il sacrificio economico che deriva da un adempimento dovuto o da una sanzione.
Art. 640-bis Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche
La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui la truffa sia posta in essere per conseguire in modo indebito erogazioni pubbliche. L’elemento qualificante rispetto al reato precedentemente esaminato è costituito dall’oggetto materiale della frode in quanto per erogazione pubblica va intesa ogni attribuzione economica agevolata erogata da parte dello Stato, di enti pubblici o dell’Unione Europea.
Tale fattispecie può realizzarsi qualora si pongano in essere artifici o raggiri idonei ad indurre in errore il soggetto erogante, come, a titolo esemplificativo, nel caso di trasmissione di dati non corrispondenti al vero oppure predisponendo una documentazione falsa, sempre con l’intento di ottenere l’erogazione di finanziamenti, contributi, mutui agevolati per impieghi predefiniti o di altre erogazioni concessi dallo Stato o da altri Enti Pubblici o dalla Unione Europea.
Si precisa che:
tali da indurre in errore l’organismo pubblico, al fine di conseguire un’indebita erogazione.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’ottenere fondi agevolati a seguito di una domanda che contiene dichiarazioni parziali e fuorvianti o informazioni fallaci, finalizzate a migliorare il punteggio complessivo ottenuto.
Art. 640-ter Frode informatica
Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico, o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51,00 a € 1.032,00.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309,00 a € 1.549,00 se ricorre una delle circostanze previste al numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.
La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è
commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti4.
3 Cass. n. 26351 del 2002
4 Comma inserito dall’art. 9, comma 1, lett. a), D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età, e numero 75.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400. Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Il reato in esame è rilevante ai fini della responsabilità amministrativa degli enti ex art. 24 D. Lgs. 231/2001 solamente nei casi in cui lo stesso sia commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico.
La norma in esame prevede e punisce due tipologie di condotta incriminate: la prima consiste nell’alterazione del funzionamento del sistema informatico o telematico, ossia in una modifica del regolare svolgimento di un processo di elaborazione o di trasmissione di dati; la seconda coincide con l’intervento, senza diritto, con qualsiasi modalità, su dati, informazioni o programmi contenuti nel sistema, e pertanto ogni forma di interferenza diversa dall’alterazione del funzionamento del sistema.
L’oggetto materiale della condotta – ossia la cosa sulla quale ricade l’azione illecita del soggetto agente – può essere costituito dal sistema informatico o telematico appartenente ad un soggetto diverso dall’agente, o dalle informazioni, dai dati o dai programmi pertinenti a tale sistema informatico.
Le condotte descritte devono essere realizzate “senza diritto”. Si tratta di un elemento di illiceità speciale della fattispecie che deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’autore del reato. Quest’ultimo, infatti, al momento dell’azione sul sistema informatico deve essere consapevole e volere conseguire finalità diverse da quelle volute dal legittimo titolare/utilizzatore del sistema o di agire all’insaputa di questi6.
Il terzo comma introduce una circostanza aggravante ad effetto speciale per il caso in cui il reato sia commesso
con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in modo da danneggiare uno o più soggetti.
Art. 317 Concussione
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni7.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;3- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);4- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale, abusando della sua posizione, costringa taluno a procurare a sé o ad altri denaro o altre utilità non dovutegli.
Si precisa che:
55 Comma così modificato dall’art. 9 del D.Lgs. 10 aprile 2018, n.36.
6 In tal senso di è espressa anche Cass. sez. VI, 14 dicembre 1999, n. 3065, secondo la quale: << Il reato di frode informatica ha la medesima struttura e quindi i medesimi elementi costitutivi della truffa dalla quale si differenzia solamente perché l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema>>
7 Articolo modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, la quale ha reintrodotto la punibilità per la figura
dell’incaricato di un pubblico servizio, la quale era stata invece esclusa dalla L. n. 190/2012.
o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. Si ricorda che ai sensi dell’art. 358 c.p., recante la nozione di incaricato di pubblico servizio “agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio”. Per “pubblico servizio” deve intendersi “un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
Art. 318 Corruzione per l’esercizio della funzione
Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé
o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a sei anni9.
Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 309.800.
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale riceva, per sé o per altri, denaro o altri vantaggi per esercitare le proprie funzioni, ovverosia per adempiere correttamente alle proprie mansioni.
Precedentemente alla riforma normativa introdotta dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190, l’art. 318 c.p., rubricato “Corruzione per un atto d’ufficio”, richiedeva un collegamento necessario tra la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità ed uno specifico atto da adottare o già adottato dal pubblico ufficiale corrotto. Ne derivava che in assenza di un atto specificatamente individuato, o quantomeno individuabile, il reato di corruzione per un atto d’ufficio non poteva essere configurato. Rischiavano pertanto di rimanere sprovviste di tutela penale tutte quelle situazioni in cui il privato cittadino assoggettasse più o meno sistematicamente il pubblico ufficiale in una situazione di pressoché totale asservimento ottenuta attraverso l’elargizione di doni e regalie in assenza di un immediato tornaconto, ma con l’intento di assicurarsi futuri favori da parte dell’amministratore. In tali casi, nei quali molto labile era il collegamento tra la dazione o la promessa indebite e l’atto adottato, erano richiesti grandi sforzi interpretativi alla Suprema Corte.
Oggi, con il riferimento al mero “esercizio della funzione”, non è più necessario che la dazione o la promessa di denaro o altra utilità siano corrispettivo di un atto specifico, si configura pertanto una tutela anticipata, in quanto ciò che la norma in esame intende prevenire ed evitare è qualsivoglia condizionamento che possa essere operato da un privato cittadino su un soggetto che, nello svolgimento della propria attività, possa concorrere a condizionare le scelte della Pubblica Amministrazione.
Si precisa che:
o di altra utilità cui la norma incriminatrice in esame faceva riferimento, non venivano considerati rientranti nella nozione di “altra utilità” gli omaggi di cortesia di modesta entità, purché di valore contenuto. Va però rilevato che la Cassazione, con sentenza n. 12192 del 6 settembre 1990, aveva sancito che la lesione al prestigio e all’interesse della Pubblica Amministrazione prescinde dalla proporzionalità o dall’equilibrio fra l’atto d’ufficio e la somma o l’utilità corrisposta. In seguito alla riforma normativa introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n.190, in conformità con quanto già espresso dalla Suprema Corte, è stato eliminato ogni riferimento al concetto di “retribuzione”. Ci si chiede pertanto se in seguito a tale modifica venga meno, ai fini dell’integrazione del reato, il previgente requisito di “proporzionalità” tra utilità data o promessa e atto richiesto;
8 Cass. Pen., sez. VI, 15 febbraio 2011, n.10792.
9 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
Tale ipotesi di reato di “corruzione” – che configura una violazione del principio di correttezza ed imparzialità cui deve comunque conformarsi l’attività della Pubblica Amministrazione – si differenzia dalla concussione, in quanto tra corrotto e corruttore esiste un accordo finalizzato a raggiungere un vantaggio reciproco, mentre nella concussione il privato subisce la condotta del pubblico ufficiale. Si differenzia altresì dal delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, in quanto in tale ultima ipotesi è il pubblico ufficiale a prendere l’iniziativa, sollecitando la promessa o la dazione.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale per rendere più rapido il procedimento istruttorio di una pratica che è stata presentata.
Art. 319 Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio
Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni10.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400.
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;8- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);9- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Il reato si configura nel caso in cui il pubblico ufficiale, dietro corresponsione di denaro o altra utilità, ometta o ritardi un atto dovuto ovvero compia un atto non dovuto anche se apparentemente e formalmente regolare e quindi contrario ai principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione.
In questo caso il Legislatore, a differenza di quanto già visto nel corso dell’analisi dell’art. 318 c.p., ha ritenuto di mantenere inalterato il riferimento al singolo atto contrario ai doveri d’ufficio, che pertanto deve risultare specificamente individuato, o quantomeno individuabile, ai fini dell’integrazione del reato in esame.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale per omettere di segnalare anomalie emerse a seguito di una verifica disposta dalle Autorità di Vigilanza.
Art. 319-bis Circostanze aggravanti
La pena è aumentata se il fatto di cui all’articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a);11- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);12- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
La circostanza aggravante ricorre se il fatto di cui all’articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici
impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla
10 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
11 Cass. Pen., sez. VI, 18 giugno 2010, n. 24656.
quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi.
La norma introduce un’aggravante speciale del reato previsto dall’art. 319 c.p., precedentemente analizzato.
Art. 319-ter Corruzione in atti giudiziari
Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.
Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni12.
Per il primo comma
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;17- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);18- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Per il secondo comma
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;20- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);21- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Il reato di corruzione in atti giudiziari costituisce un’autonoma fattispecie criminosa caratterizzata dal fatto che la condotta incriminata viene posta in essere nell’ambito di un procedimento giudiziario (civile, penale o amministrativo) al fine di avvantaggiare o sfavorire una parte nel procedimento stesso.
Anche in questo caso, ai fini dell’integrazione del reato è necessario che la corruzione sia rivolta ad un pubblico ufficiale, quale si considerano non soltanto i magistrati, ma anche i cancellieri e tutti gli altri funzionari che possano essere coinvolti nell’espletamento del procedimento e siano in qualunque modo in grado di condizionarne le sorti.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un giudice per giungere a sentenza favorevole in un procedimento di contenzioso tributario.
Art. 319-quater Induzione indebita a dare o promettere utilità13
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239. 200
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;25- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);26- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei
12 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
13 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la
pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità costituisce un’ipotesi di reato intermedia tra le fattispecie incriminatrici di concussione e di corruzione, che si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, abusando della propria posizione, induca taluno a procurare a sé o ad altri denaro o altre utilità non dovutegli.
Si precisa che:
Art. 320 Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio
Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un
pubblico servizio.
In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800 (in relazione ai reati di cui agli artt. 318, 321 e 322, comma 1
e 3, c.p.)
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400 (in relazione ai reati di cui agli artt. 319, 319 ter, comma 1, 321 e 322, comma 2 e comma 4, c.p.)
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 (in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 319, aggravato ai sensi dell’art. 319 bis, 319 ter, comma 2, 319 quater e 321 c.p.)
Le disposizioni dell’articolo 319 Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di un pubblico servizio; in seguito alla riforma normativa introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, anche quelle di cui all’articolo 318 Corruzione per l’esercizio della funzione
si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, senza che sia più necessario che la stessa rivesta la qualità di pubblico impiegato, come richiesto precedentemente.
Il reato non rappresenta una figura autonoma di reato, ma mera specificazione dei reati di cui all’art. 318
c.p. e all’art. 319 c.p., descritti precedentemente.
Art. 321 Pene per il corruttore
Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità.
In riferimento all’art. 318 c.p.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800
In riferimento all’art. 319 e 319 ter comma 1 c.p. Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;28- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b); 29- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
In riferimento all’art. 317, 319 bis e 319 ter, comma 2 Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;31- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);32- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Nel reato di corruzione esiste tra corrotto e corruttore un accordo finalizzato a raggiungere un vantaggio reciproco, mentre nella concussione il privato subisce la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio rispetto a cui si trova in una posizione di svantaggio. Per tale motivo, qualora siano integrati i delitti di corruzione propria, impropria o in atti giudiziari la pena è estesa anche al soggetto privato partecipe dell’accordo criminoso.
La norma non introduce una figura autonoma di reato, rispetto ai delitti citati, descritti precedentemente, ma
prevede la cosiddetta “corruzione attiva”, ovvero l’incriminazione del corruttore.
Art. 322 Istigazione alla corruzione
Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti, ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilità nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilità nell’articolo 319, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità di cui all’articolo 319.
Primo e terzo comma
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800
Secondo e quarto comma
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400
Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a; da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b); da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, in presenza di un comportamento finalizzato alla corruzione,
non venga raggiunto tra le parti l’accordo criminoso.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale, senza che questa promessa sia accettata, per omettere di segnalare anomalie emerse a seguito di una verifica disposta dalle Autorità di Vigilanza.
Art. 322-bis Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.
Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano anche:
corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio;
5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.
Le disposizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo comma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:
Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi.
14 Cass. Pen., sez. V, 12 dicembre 2011, n. 6962.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800 (in relazione ai reati di cui agli artt. 318, 321 e 322, comma 1
e 3, c.p.)
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400 (in relazione ai reati di cui agli artt. 319, 319 ter, comma 1,
321 e 322, comma 2 e comma 4, c.p.)
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 (in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 319, aggravato ai sensi dell’art. 319 bis, 319 ter, comma 2 e 321 c.p.)
Come si può desumere dal dettato normativo, in forza dell’articolo 322-bis c.p., la famiglia dei reati in esame rileva anche allorché siano compiuti nei confronti di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio dell’Unione Europea e dei singoli Stati membri.
In base allo stesso articolo, rilevano anche le attività corruttive nei confronti di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio membri della Corte penale internazionale o che operano per conto di altri Stati esteri (diversi da quelli dell’Unione Europea) o organizzazioni pubbliche internazionali, se il fatto sia commesso per procurare a sé o altri un indebito vantaggio nell’ambito di operazioni economiche internazionali.
La norma non introduce una figura autonoma di reato, rispetto ai reati citati, descritti precedentemente, ma prevede l’estensione dell’ambito di applicazione di detti reati anche ai membri delle istituzioni europee o di altre organizzazioni pubbliche internazionali.
Art. 346-bis Traffico di influenze illecite
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi15.
La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità16.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità17 riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.
Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio18.
Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.
Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 309.800
L’art. 346 -bis, introdotto nel 2012 con la L. 190/2012 (Disposizioni per la prevenzione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, la c.d. Legge Severino) e modificato dalla L. 3/2019, punisce chi sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o uno dei soggetti di cui all’art. 322 -bis, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita oppure come prezzo per remunerare il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri
15 Comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.
16 Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale”.
17Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio”.
18Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie”.
di ufficio o per omettere o ritardare un atto del suo ufficio.
La fattispecie criminosa consente l’applicazione della norma “fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli
artt. 318, 319 319 -ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322 -bis” del codice.
Si realizza, dunque, una forma di tutela anticipata dell'interesse alla legalità, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione; in quanto la fattispecie punisce il soggetto che fa da tramite tra corrotto e corruttore mediante la propria influenza anche se l’accordo corruttivo non è ancora andato in porto. Per perfezionarsi, il delitto di traffico di influenze illecite, necessita dunque del solo patto tra il committente ed il mediatore.
L'art. 346-bis c.p. prevede due diverse ipotesi di traffico di influenze illecite: un primo caso è rappresentato dal c.d. traffico di influenze gratuito, nel quale il committente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale al mediatore affinché quest'ultimo remuneri il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o l'omissione o il ritardo di un atto di ufficio.
La seconda ipotesi è costituita dal c.d. traffico di influenze oneroso, laddove il committente remunera il mediatore affinché quest'ultimo realizzi una illecita influenza sul pubblico agente; in questo caso il denaro o il vantaggio patrimoniale dato o promesso dal committente al mediatore serve a remunerarlo per l'influenza che quest'ultimo si impegna a porre in essere sul pubblico agente.
Le relazioni che il mediatore si impegna a far valere debbono essere realmente esistenti e debbono costituire la ragione della dazione o della promessa del vantaggio patrimoniale da parte del committente.
Si precisa che:
L’articolo 24-bis del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti informatici e trattamento illecito dei dati”, così recita:
si applica all’ente la sanzione pecuniaria sino a trecento quote.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
I reati presupposto introdotti dall’art. 24 – bis del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 491-bis Documenti informatici
Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti gli atti pubblici19.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 619.600
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
L’articolo in questione, così come riformato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, estende ai documenti informatici pubblici, che abbiano efficacia probatoria, la punibilità prevista dai reati concernenti la falsità degli atti pubblici di cui al Capo III “Della falsità in atti” del Titolo VII “Dei delitti contro la fede pubblica” del secondo libro del codice penale.
In seguito alla riforma – adottata, per altro, con l’intento di depenalizzare alcuni reati considerati di minore gravità – l’ambito applicativo della fattispecie in esame è stato significativamente circoscritto, escludendo la punibilità di qualsiasi falsità commessa su documenti informatici equiparabili a scritture private e, in ogni caso, non destinati a confluire in un atto pubblico, così come definito dall’art. 2699 c.c.20.
Le norme incriminatrici richiamate dall’art. 491-bis c.p. e rilevanti ai fini della sua applicazione, possono essere suddivise in due categorie a seconda delle qualità del soggetto agente.
Si tratta di reati propri, che possono essere commessi esclusivamente da un soggetto che detenga la qualifica di pubblico ufficiale, da soggetti esercenti un servizio di pubblica necessità o da pubblici impiegati incaricati di pubblico servizio.
Tuttavia anche un privato può essere chiamato a rispondere per la commissione dei delitti di seguito elencati,
qualora abbia concorso con il pubblico ufficiale alla perpetrazione dell’illecito.
“Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione
è da tre a dieci anni”.
“Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale, ovvero rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall’originale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a otto anni.
Se la falsità è commessa dal pubblico ufficiale in un attestato sul contenuto di atti, pubblici o privati,
la pena è della reclusione da uno a tre anni”.
“Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476”.
“Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì
agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente
19 Articolo così modificato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67”.
20 Art. 2699 c.c. Atto pubblico. “L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato”. Rientrano nell’ambito di tale definizione, ad esempio, i rogiti notarili, i verbali d'udienza redatti da un cancelliere del tribunale, le relazioni di notifica predisposte dagli ufficiali giudiziari, i verbali redatti da una commissione di esami, certe attestazioni rilasciate da pubblici uffici.
agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni”.
Si tratta di reati comuni che possono essere commessi da chiunque.
“Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”.
“Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”.
“Chiunque senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli
articoli precedenti, ridotte di un terzo”.
“Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, distrugge, sopprime od occulta un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore veri, soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo le distinzioni in essi contenute”.
Art. 492 c. p. Copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti.
“Agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di atti pubblici e di scritture private sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti”.
Si precisa, inoltre, che:
Art. 615-ter Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico
Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse
21 Articolo così modificato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67”.
22 Art. 21 D. Lgs. 82/2005.
militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si
procede d’ufficio.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui qualcuno si introduca o resti abusivamente all’interno di un
sistema informatico o telematico.
Si precisa che:
Dal punto di vista del concorso di reati, si può pensare ad una duplice imputazione anche per il reato di frode informatica (art. 640-ter c.p.); questo reato, tuttavia, presuppone necessariamente la manipolazione del sistema, elemento che invece non è necessario per la consumazione del reato in esame. Inoltre il reato in esame presuppone che il sistema informatico o telematico su cui si opera l’accesso abusivo sia protetto da misure di sicurezza, caratteristica che invece non ricorre nel reato di frode informatica.
A titolo esemplificativo, integra il reato in esame colui che controlla il telefono cellulare dotato di codice pin o il computer protetto da password di un altro soggetto in assenza del legittimo proprietario/utilizzatore e/o contro la volontà di quest’ultimo.
Art. 615-quater Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164,00.
La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da euro 5.164,00 a euro 10.329,00 se ricorre
taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell’articolo 617-quater.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 464.700
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un soggetto si procuri, riproduca, diffonda, comunichi o consegni ad altri una chiave d’accesso ad un sistema informatico o telematico in modo abusivo, o spieghi ad altri soggetti come raggiungere i predetti scopi, al fine di conseguire un profitto o di arrecare un danno.
Si precisa che:
unitamente al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno.
A titolo esemplificativo, è punita a titolo della fattispecie incriminatrice in esame la condotta di colui che si procuri abusivamente il numero seriale di un apparecchio telefonico cellulare appartenente ad altro soggetto, poiché attraverso la corrispondente modifica del codice di un ulteriore apparecchio (c.d. clonazione) è possibile realizzare una illecita connessione alla rete di telefonia mobile, che costituisce un sistema telematico protetto.
Art. 615-quinquies – Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico
Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 464.700
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
L’ipotesi di reato di cui all’art. 615-quinquies si configura nel caso in cui un soggetto si procuri, produca, riproduca, importi, diffonda, comunichi, consegni o metta a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici atti a danneggiare un sistema informatico o ad alterarne il funzionamento.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, la fattispecie in esame risulta integrata nel caso in cui un soggetto diffonda volontariamente un virus tramite posta elettronica, al fine di danneggiare i sistemi informatici dei destinatari.
Art. 617-quater Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche
Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.
I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.
Tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato può configurarsi secondo due diverse modalità. Ed infatti il delitto in esame si configura o nel caso in cui un soggetto intercetti, interrompa o impedisca, con interruzioni provocate da qualsiasi forma di ingresso nel sistema, le comunicazioni intercorrenti tra soggetti terzi per il tramite di sistemi informatici o telematici, oppure nel caso in cui un soggetto diffonda il contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche fraudolentemente intercettate tramite un mezzo di comunicazione al pubblico.
Si precisa che:
agente agisca consapevolmente e volontariamente, senza necessità che persegua un fine ulteriore.
Il terzo comma della fattispecie in esame prevede delle circostanze aggravanti del delitto in esame, per i casi in cui il fatto sia commesso a danni di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da altra impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, o da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio con abuso di potere, o con abuso della qualità di operatore di sistema, o da chi esercita la professione di investigatore privato.
A titolo esemplificativo, integra il reato in esame l’impiego di un programma di system management capace di permettere ad un soggetto non visibile di monitorare tutto ciò che accade sul computer di un’altra persona, senza che quest’ultima ne sia a conoscenza, consentendo così la visualizzazione di tutte le comunicazioni in partenza o in arrivo su tale sistema, compresi i messaggi di posta elettronica, chat, ecc.
Art. 617-quinquies Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche
Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617- quater.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Questa ipotesi di reato si configura nel caso vengano istallate apparecchiature volte a consentire al soggetto agente o ad altro soggetto di intercettare, interrompere o impedire comunicazioni informatiche o telematiche.
Si precisa che:
dalla legge”;
A titolo esemplificativo, integra il reato in esame l’istallazione di un programma di system management capace di permettere ad un soggetto non visibile di monitorare tutto ciò che accade sul computer di un’altra persona, senza che quest’ultima ne sia a conoscenza, consentendo così la visualizzazione di tutte le comunicazioni in partenza o in arrivo su tale sistema, compresi i messaggi di posta elettronica, chat, ecc.
Art. 635-bis Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Il reato previsto e punito dalla norma in esame si considera integrato allorquando siano distrutti, deteriorati, cancellati o soppressi informazioni, dati o programmi informatici altrui.
Si specifica che:
Art. 635-ter Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere, deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione
delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici, la pena è della reclusione da tre a otto anni.
Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Il reato in esame punisce la commissione di atti diretti al danneggiamento di dati, informazioni e programmi
“pubblici”.
Si precisa che:
Art. 635-quater Danneggiamento di sistemi informatici o telematici
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’articolo 635-bis, ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
La fattispecie di cui all’art. 635-quater risulta integrata laddove sia cagionato il danneggiamento di un sistema informatico mediante la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi; ovvero tramite l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi.
Ai fini della configurabilità del delitto in esame è sufficiente la prova che la condotta abbia alterato, ancorché gravemente, il funzionamento del sistema (tale innovazione è stata introdotta dalla L. 18 marzo 2008, n.48, mentre prima di tale recente riforma era necessaria la dimostrazione della distruzione, del deterioramento, ovvero del fatto che il sistema fosse reso, in tutto o in parte, inservibile).
Si specifica che:
dell’agente danneggiare il sistema informatico.
Art. 635-quinquies Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità
Se il fatto di cui all’articolo 635-quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolarne gravemente il funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.
Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione da tre a otto anni.
Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi; ovvero l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi di cui all’art. 635-quater c.p. siano dirette a cagionare la distruzione, il danneggiamento o l’inutilizzabilità di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.
Si precisa che:
Art. 640-quinquies Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma
23 Per sistema informatico si intende qualsiasi sistema destinato alla elaborazione dei dati e alla loro utilizzazione, mentre il sistema telematico è il sistema derivante dall’integrazione di tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, che consente la trasmissione di dati attraverso la rete telefonica e reti dedicate.
elettronica
Il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 51,00 a euro 1.032,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 619.600
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica violi gli obblighi impostigli dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto o di arrecare un danno.
L’inserimento dell’articolo 640–quinquies, operato dalla L. 18 marzo 2008, n.48, è dovuto alla potenziale maggiore offensività della condotta compiuta dal certificatore ed il ruolo svolto.
Si precisa che:
con lo scopo di conseguire un profitto ingiusto o di arrecare un danno.
Art. 1, comma 11, D.L. 21 settembre 2019, n. 105 Violazione delle norme in materia di Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica
Chiunque, allo scopo di ostacolare o condizionare l'espletamento dei procedimenti di cui al comma 2, lettera b), o al comma 6, lettera a), o delle attività ispettive e di vigilanza previste dal comma 6, lettera c), fornisce informazioni, dati o elementi di fatto non rispondenti al vero, rilevanti per la predisposizione o l'aggiornamento degli elenchi di cui al comma 2, lettera b), o ai fini delle comunicazioni di cui al comma 6, lettera a), o per lo svolgimento delle attività ispettive e di vigilanza di cui al comma 6), lettera c) od omette di comunicare entro i termini prescritti i predetti dati, informazioni o elementi di fatto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e all'ente, responsabile ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, si applica la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Il Decreto Legge 21 settembre 2019, n. 105 ha la finalità di assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, nonché degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, attraverso l’istituzione di un perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e la previsione di misure idonee a garantire i necessari standard di sicurezza rivolti a minimizzare i rischi consentendo, al contempo, la più estesa fruizione dei più avanzati strumenti offerti dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nello specifico, il comma 11 punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni coloro che, allo scopo di ostacolare o condizionare l'espletamento dei procedimenti di cui al comma 2 lett. b) (procedimento di compilazione e aggiornamento degli elenchi delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici) e di cui al comma 6, lett. a) (procedimenti relativi all'affidamento di forniture di beni, sistemi e servizi ICT destinati a essere impiegati sulle reti, sui sistemi informativi) o delle attività ispettive e di vigilanza da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico, di cui al comma 6, lett. c):
L’articolo 24-ter del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti di criminalità organizzata”, così recita:
previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 24 – ter del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 416 Associazione per delinquere
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602, nonché all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,
Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600- quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200.
Per l’ipotesi prevista al sesto comma: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
La fattispecie criminosa in esame è di tipo associativo ed è caratterizzata dall’intento di realizzare uno
specifico e predeterminato programma sociale criminoso.
La norma intende punire chi si riunisce e concorre alla formazione di un’organizzazione stabile allo scopo di
perpetrare più agevolmente dei delitti, senza che abbia rilievo che tali reati vengano poi realmente commessi.
Si precisa che:
Il comma 6 è stato aggiunto dall’art. 4, L. 11 agosto 2003, n. 228 e poi così modificato dal comma 5 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94 e rende indirettamente rilevanti l’art. 600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, l’art. 601 c.p. Tratta di persone, l’art. 601-bis c.p. Traffico di organi prelevati da persona vivente, l’art. 602 c.p. Acquisto e alienazione di schiavi, nonché l’art. 12, comma 3-bis, del D. Lgs. 286/1998 rubricato Disposizioni contro le immigrazioni clandestine24.
24 Art. 12 D. Lgs. 286/1988. Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.
“[omissis] 3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:
l’ingresso o la permanenza illegale;
permanenza illegale;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel favorire, in maniera stabilmente organizzata, l’ingresso illegale nel nostro paese di numerosi ragazzi o ragazze di paesi più poveri, per poi costringerli a lavorare ad orari e condizioni disumani25.
Art. 416-bis Associazioni di tipo mafioso anche straniere26
Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la
reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione
da dodici a diciotto anni.
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti
dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Tale ipotesi di reato è di tipo associativo ed è caratterizzata oltre che dalla realizzazione di delitti anche dalla gestione e dal controllo di settori di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, il perseguimento di profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri e, infine, il turbamento del libero esercizio del voto.
Per la descrizione della condotta associativa si rinvia all’analisi dell’articolo precedente.
Si precisa che:
ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata. [omissis]”.
25 La condotta descritta potrebbe essere configurata, a titolo esemplificativo, anche nell’ipotesi remota del concorso nel reato di un soggetto appaltante insieme all’appaltatore o al sub-appaltatore, riconducibile all’ipotesi di concorso esterno del primo soggetto, ovvero quando l’agente sia consapevole dei metodi e dei fini dell’associazione cui l’appaltatore è associato e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno – rappresentata dalla continuità di rapporto commerciale –, vantaggiosa per la conservazione o per il rafforzamento dell’associazione stessa.
26 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
27 Cfr. Cass. pen. 1990, n. 1785;
e dalla fama dell’organizzazione e a loro volta gli stessi offesi si trovano in una condizione di “assoggettamento e omertà” nei confronti dell’associazione stessa in virtù dell’intimidazione da questa esercitata;
dalle associazioni mafiose, ma sostanzialmente e strutturalmente analoghe.
Art. 416-ter Scambio elettorale politico-mafioso
Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa e’ punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis. La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.
Se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell’accordo di cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell’articolo 416-bis aumentata della metà.
In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua
dai pubblici uffici.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
L’art. 416-ter c.p. così riformulato a seguito della legge n. 43/2019, prevede prima di tutto che chiunque (e quindi si tratta di un reato comune) accetti, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa e’ punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis c.p..
Nello specifico, l’art. 416 ter c.p. è una fattispecie di reato a forma vincolata in cui la condotta punibile consiste nell’accettare, in via diretta e immediata o tramite interposta persona la promessa di procacciare voti da parte di intranei a un’associazione di tipo mafioso anche straniera, o, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà, o fornendo la disponibilità di accontentare gli interessi e le esigenze del sodalizio mafioso.
Il comma terzo dell’art. 416-ter c.p., a sua volta, contempla un’aggravante speciale ad effetto speciale essendo ivi stabilito un aumento della pena pari alla metà per colui che, una volta accettata la promessa di voti, a seguito dell’accordo previsto al comma precedente, risulta essere stato eletto nella consultazione elettorale per cui è stato stipulato siffatto accordo.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 416-ter c.p. dispone ex lege l’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel caso
di condanna per questo illecito penale.
Art. 630 Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione
Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.
Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.
Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.
Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall’articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.
Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.
Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.
I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui il soggetto agente privi il soggetto passivo della libertà personale allo scopo di ottenere, per sé o per altri, come corrispettivo della liberazione, un’utilità non dovuta. Il reato è qualificabile come “complesso” poiché gli elementi costitutivi della fattispecie sono essi stessi fatti che rappresentano autonome figure di reato: sequestro di persona (art. 605 c.p.), nonché rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.).
Si precisa che:
conseguimento di un ingiusto profitto come prezzo della liberazione dell’ostaggio;
Art. 407 comma 2 lett. a) n. 5 c.p.p. Delitti concernenti la fabbricazione e il traffico di armi da guerra e di esplosivi
Salvo quanto previsto all’articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi.
(omissis…)
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
L’articolo 407 c.p.p. è inserito nel titolo VIII del Libro V; è dedicato alla chiusura delle indagini preliminari e fissa i limiti massimi di durata delle stesse: per ciò che qui interessa, esso non può superare i due anni per una serie di reati di particolare gravità, tra cui appunto i delitti in materia di introduzione nello Stato, fabbricazione, detenzione, messa in vendita e porto in luogo pubblico di armi;
Si precisa che:
armi clandestine, più armi comuni da sparo;
Art. 74 DPR 309/1990 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10, escluse le operazioni relative alle sostanze di cui alla categoria III dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell'allegato al regolamento (CE) n. 111/2005, ovvero dall'articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito, per ciò solo, con la reclusione non inferiore a venti anni.
Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone
dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Se l’associazione è armata, la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non può essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
La pena è aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 80.
Se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell’articolo 416 del codice penale.
Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.
Quando in leggi e decreti è richiamato il reato previsto dall’articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogato dall’articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il richiamo si intende riferito al presente articolo.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001).
Tale norma punisce l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Il delitto in esame si pone in rapporto di specialità rispetto al reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., in quanto in questo caso il programma criminoso dell’associazione stessa si focalizza sulla commissione di reati che hanno come oggetto sostanze stupefacenti.
Il programma criminoso dell’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ha come scopo il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, che ai sensi dell’art. 73 DPR 309/1990 può essere operato attraverso la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la raffinazione, la vendita, l’offerta o la messa in vendita, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, il procacciamento per terzi, l’invio, il passaggio o la spedizione in transito, la consegna per qualunque scopo, l’importazione, l’esportazione, l’acquisto, la ricezione o l’illecita detenzione di tali sostanze.
L’articolo 25-bis del Decreto Legislativo 231/01 è stato inserito dall’art. 6 comma 1 D. L. 25 settembre 2001,
Il testo attualmente in vigore, rubricato “Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento”, così recita:
all’articolo 453, e dalla lettera b), in relazione all’articolo 454, ridotte da un terzo alla metà;
di un terzo;
f-bis) per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote»;
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – bis del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 453 Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate
È punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da € 516,00 a € 3.098,00:
superiore;
La stessa pena si applica a chi, legalmente autorizzato alla produzione, fabbrica indebitamente, abusando degli strumenti o dei materiali nella sua disponibilità, quantitativi di monete in eccesso rispetto alle prescrizioni.
La pena è ridotta di un terzo quando le condotte di cui al primo e secondo comma hanno ad oggetto monete non aventi ancora corso legale e il termine iniziale dello stesso è determinato.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La fattispecie incriminatrice in esame prevede e punisce il delitto di falso nummario. Si precisa che:
o introdurre nel territorio dello stato, detenere, spendere o mettere in circolazione monete contraffatte o alterate, non essendo concorso nell’attività di alterazione o contraffazione, ma di concerto con chi ha eseguito la falsificazione;
Art. 454 Alterazione di monete
Chiunque altera monete della qualità indicata nell’articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei numeri 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 103,00 a € 516,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La fattispecie in esame è strettamente collegata alla fattispecie di cui all’articolo precedente, in particolare
quando commessa secondo le modalità previste dal comma 1 numero 2).
In questo caso il reato si realizza attraverso la diminuzione del valore della moneta, ottenuto mediante
l’alterazione della stessa.
Nel periodo storico in cui le monete venivano coniate con metalli preziosi e il loro valore veniva determinato in base al peso, il reato in esame puniva la condotta di chi attraverso la raschiatura della parte metallica,
28 Cass. Pen., sez. I, 24 ottobre 2011, n.41108.
diminuiva il peso, e dunque il valore, della moneta.
Art. 455 Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate
Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli ridotte da un terzo alla metà.
Sanzioni pecuniarie: da € 38.700a € 826.133, 33 (in relazione all’art. 453 c.p. Sanzioni pecuniarie: da € 12.900 a € 516.333, 33 (in relazione all’art. 454 c.p. Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Anche questo reato è strettamente correlato con la fattispecie di cui all’articolo 453 c.p. La condotta incriminata è infatti analoga a quella prevista e punita dall’art. 453 comma 1 numero 3), salvo per il fatto che in questo caso l’autore del reato agisce in assenza di un qualsiasi accordo con il falsario.
Si specifica che:
o non deve avere contraffatto o alterato le monete;
o non deve aver acquistato o ricevuto le monete falsificate dal falsario o da suoi intermediari;
o non deve aver agito di concerto con il falsario o i suoi intermediari;
diverse da quelle previste dagli artt. 453 e 454 c.p.;
Art. 457 Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede
Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in
buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800
La fattispecie in esame punisce la condotta di chi spende o mette in circolazione monete che egli sa essere frutto di falsificazione, pur avendole ricevute in buona fede.
Si precisa che:
alterate o contraffatte;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel ricevere da un cliente banconote false e nel rimetterle in circolazione una volta accertata la falsità, per evitare il danno pecuniario patito dalla ricezione della banconota falsa.
Art. 459 Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati
Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all’acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.
Agli effetti della legge penale si intendono per “valori di bollo" la carta bollata, le marche da bollo, i
francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 826.133.33 (in relazione all’art. 453 c.p.)
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 550.755,55 (in relazione all’art. 455 c.p. con riferimento all’art. 453 c.p.) Sanzioni pecuniarie: da € 8.600 a € 344.222,22 (in relazione all’art. 455 c.p. con riferimento all’art. 454 c.p.) Sanzioni pecuniarie: da € 17.200 a € 206.533,33 (in relazione all’art. 457 e art. 464 co. 2 c.p.)
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui siano contraffatti od alterati valori di bollo, o nel caso in cui qualcuno introduca nello Stato, acquisti, detenga o metta in circolazione valori di bollo contraffatti.
Le modalità di perpetrazione del reato sono analoghe a quelle previste dagli artt. 453, 455 e 457 c.p., salvo per il fatto che in questo caso elemento materiale del reato sono valori di bollo, ossia la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.
Art. 460 Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo
Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 309,00 a € 1.032,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui sia oggetto di contraffazione la carta filigranata utilizzata per la produzione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo. In particolare viene punito sia colui che abbia concorso a falsificare la carta filigranata stessa, sia chiunque la acquisti, la detenga o la alieni.
Art. 461 Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata
Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane, programmi informatici o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 103,00 a € 516,00.
La stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno per ad oggetto ologrammi o altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o l’alterazione.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Il legislatore ha previsto la punibilità anche delle condotte meramente preparatorie rispetto alla commissione dei reati di cui sopra.
Si precisa che:
applicazione soltanto quando non è configurabile un’ipotesi delittuosa diversa.
Art. 464 Uso di valori di bollo contraffatti o alterati
Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nella alterazione, fa uso di valori di bollo
contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a € 516,00.
Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell’articolo 457, ridotta di un
terzo.
Sanzioni pecuniarie: primo comma da € 25.800 a € 464.700 Sanzioni pecuniarie: secondo comma da € 25.800 a € 309.800
La condotta del reato consiste nel fare uso di valori bollati contraffatti o alterati, senza avere contribuito alla contraffazione o all’alterazione. La pena è ridotta nel caso di buona fede, ossia allorquando il soggetto non conosca, nel momento in cui viene in contatto con il valore di bollo, la sua natura di falso.
Art. 473 - Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni
Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 2.500,00 a € 25.000,00.
Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da € 3.500,00 a € 35.000,00 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
L’art. 473 c.p. contempla le ipotesi di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi, nonché di brevetti, disegni e modelli. Il reato è “comune” poiché può essere commesso da chiunque abbia realizzato le condotte descritte.
La norma è posta a tutela della fede pubblica in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, nonché nei brevetti, nei disegni e nei modelli, che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non dell’affidamento del singolo: non è quindi necessario, per integrare il reato, che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto29.
L’integrazione dell’elemento oggettivo richiede invece la specifica attitudine offensiva della condotta, vale a
dire l’effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori.
Non è dunque penalmente rilevante la produzione di un falso grossolano e, in quanto tale, non idoneo a produrre un effettivo rischio di confusione. In tema di prodotti con segni falsi, tuttavia, “perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perché il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche del prodotto e del marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno: tale giudizio va formulato con criteri che consentano una valutazione "ex ante" della riconoscibilità "ictu oculi" della grossolanità della falsificazione”30.
All’uopo, è stato chiarito che:
autorizzato, che risulti idonea ad ingannare i consumatori;
l’eliminazione od aggiunta di elementi costitutivi marginali.
Inoltre, la mera contraffazione delle effigi di marchi risulta di per sé rilevante a prescindere dal loro posizionamento sul prodotto industriale che sono destinate a contrassegnare.
Ai fini dell’interpretazione della norma, si intende per:
29 Cfr. Cass., sez V, 5 novembre 2001 n. 1195.
30 Cass. Pen., sez. II, 03 aprile 2008, n.16821.
L’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del delitto in esame è il dolo generico. Presupposto per il riconoscimento della responsabilità del soggetto agente è che quest’ultimo, oltre alla previsione e volontà dell’azione, sia consapevole dell’esistenza di un titolo di proprietà industriale relativo al marchio o al segno distintivo del prodotto.
L’ultimo capoverso della norma prevede una condizione di punibilità determinata dall’osservanza delle norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla protezione della proprietà industriale. Sulla base di questo dato, unanimemente, la dottrina circoscrive la tutela penale apprestata dall’art. 473 c.p. ai soli marchi registrati33.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare in produzione industriale, consapevolmente, un
modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.
Art. 474 Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da € 3.500,00 a € 35.000,00.
Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La fattispecie incriminatrice in esame punisce due differenti tipologie di condotta. La prima consiste nell’introdurre nel territorio dello Stato prodotti recanti marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati al fine di trarne profitto; la seconda nel detenere ai fini di vendita, nel porre in vendita o mettere altrimenti in circolazione tali prodotti allo scopo di conseguire un profitto.
Il presupposto per il riconoscimento della responsabilità in capo all’autore del reato è l’esclusione del concorso nelle ipotesi delittuose previste dal precedente art. 473 c.p. Infatti, la condotta di cui all’art. 474 c.p., sebbene costituisca una naturale prosecuzione di quella di contraffazione o alterazione del marchio del prodotto industriale, deve risultare svincolata da queste ultime.
La dottrina maggioritaria, come per l’art. 473 c.p., ritiene che il bene giuridico tutelato debba rinvenirsi nella
fiducia che il pubblico indeterminato dei consumatori ripone nella generalità dei segni distintivi delle opere
31 Ai sensi dell’art. 2, comma 2, D. Lgs. 30/2005 sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali. I modelli di utilità sono rappresentati dai nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti.
32 Art. 31, comma 1, D. Lgs. 30/2005. Ai sensi del comma 2 dello stesso articolo per prodotto si intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l'altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo per prodotto complesso si intende un prodotto formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto.
33 MARINUCCI, Falsità in segni distintivi delle opere dell’ingegno e dei prodotti industriali, in Enc.dir., XVI, 1967, pp.653-665.
dell’ingegno o dei prodotti industriali.
Per la nozione di marchio e segno distintivo, valgono le considerazioni fatte in riferimento all’art. 473 c.p.
Si tratta, peraltro, di un reato di pericolo perché la tutela apprestata dal legislatore non si estende alla accertata realizzazione di un danno concreto o dell’inganno, ma viene anticipata al momento in cui si verifica il solo pericolo di cagionare un nocumento alla genuinità e alla correttezza dei rapporti commerciali. Occorre tuttavia che vi sia un pericolo effettivo per il bene giuridico della fede pubblica, infatti, anche in questo caso, non rilevano penalmente le condotte che abbiano quale oggetto materiale un prodotto contraffatto o alterato grossolanamente34.
L’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, cioè dalla volontà cosciente di introdurre, detenere o vendere prodotti con marchio contraffatto all’ulteriore scopo di ricavare un profitto da tale attività illecita.
Anche in questo caso, la tutela penale apprestata dalla norma risulta circoscritta ai soli marchi registrati. Secondo costante giurisprudenza, il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
può concorrere con il delitto di ricettazione, in quanto la fattispecie astratta dell’art. 474 c.p. non contiene
tutti gli elementi costitutivi della ricettazione.
Lo stesso soggetto può quindi commettere entrambi i reati, stante la diversa soggettività giuridica dei due reati. L’art. 474, infatti, è posto a tutela della fede pubblica, mentre l’art. 648 rientra tra i delitti contro il patrimonio, e distinti sono anche gli scopi delle norme: nella ricettazione si vuole evitare la circolazione di prodotti provenienti da delitto, mentre l’altra ipotesi offre una protezione della pubblica fede commerciale.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita, con la consapevolezza di ottenerne un profitto, un bene caratterizzato dalla contraffazione o dall’alterazione di un modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.
L’articolo 25-bis.1 del Decreto Legislativo 231/01, rubricato “Delitti contro l’industria e il commercio”, così recita:
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – bis.1 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
34 Per la definizione di falso grossolano si veda quanto riportato al paragrafo precedente, relativo all’art. 473
c.p.
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 513 Turbata libertà dell’industria o del commercio
Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da € 103,00 a € 1.032,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Tale ipotesi di reato si configura quando un soggetto tenta di impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio mediante l’impiego di violenza sulle cose o di mezzi fraudolenti.
Si precisa che:
delitto;
Notevole importanza assume il rapporto tra la disposizione in esame e la disciplina civilistica sulla concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., posto che, nella prassi, la condotta tipica viene tenuta dal concorrente sleale o da un suo collaboratore o dipendente.
Ai sensi del suddetto articolo, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Secondo la giurisprudenza gli atti di concorrenza sleale non sono tuttavia diretti al turbamento delle attività economiche, ma piuttosto al mero scopo di fare realizzare un utile economico all’agente.
La condotta dell’agente, nel caso di specie, deve essere concretamente idonea a turbare o impedire l’esercizio di un’industria o di un commercio. L’impedimento può essere anche temporaneo o parziale e può verificarsi anche quando l’attività di impresa non sia ancora iniziata ma sia in preparazione. La turbativa, invece, deve riferirsi ad un’attività già iniziata e deve consistere nell’alterazione del suo regolare e libero svolgimento
Art. 513-bis Illecita concorrenza con minaccia o violenza
Chiunque nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di
concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un’attività finanziata in tutto o in parte ed
in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato ricorre nel caso in cui siano compiuti, nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, atti di concorrenza caratterizzati dall’uso di violenza o minaccia.
Si tratta di un’incriminazione che si muove in un’ottica di tutela dell’iniziativa economica lecita da forme di aggressione perpetrate dalla criminalità organizzata che, soprattutto in ambienti “ad alta densità mafiosa”, tende sempre più ad inserirsi nel circuito dell’economia lecita. Tuttavia, la mancanza nella norma di qualsiasi riferimento ai fatti di criminalità organizzata, presuppone, comunque, la rilevanza a livello penale anche delle condotte poste in essere da imprenditori non legati a sodalizi criminali
Si precisa che:
industriale, commerciale o produttiva, e quindi un imprenditore;
Art. 514 Frodi contro le industrie nazionali
Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a € 516,00.
Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.
Il reato è comune, potendo essere commesso da chiunque realizzi le condotte di vendita o messa in circolazione di beni non genuini, contrassegnati da nomi, marchi e altri segni distintivi contraffatti o alterati.
Si tratta, peraltro, di reato d’evento, infatti, affinché l’illecito possa dirsi consumato, è necessario che si accerti “il nocumento all’industria nazionale”, ossia un imponente pregiudizio in tutto il paese per l’intero comparto produttivo colpito.
Tale elemento consente di cogliere la differenza tra la fattispecie dell’art. 514 c.p. e quelle, pure rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, descritte dagli artt. 474 e 517 c.p.; infatti, se il predetto danno all’industria nazionale non si verifica, la condotta ricade nella portata applicativa degli artt. 474 e 517
c.p. a seconda che i contrassegni (marchi ed altri segni distintivi) siano registrati o meno.
Per la nozione di marchio e segno distintivo, valgono le considerazioni fatte in riferimento all’art. 473 c.p.
Quanto ai “nomi”, per essi si intendono tutti gli elementi identificativi del prodotto e della sua provenienza costituiti da una parola o da un insieme di parole e non ricompresi nel concetto di marchio.
L’elemento soggettivo consiste nel dolo generico, ovvero nella previsione e volontà di realizzare la condotta creando il nocumento all’industria nazionale e nella consapevolezza circa la non genuinità dei segni distintivi dei prodotti.
Art. 515 Frode nell’esercizio del commercio
Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 2.065,00.
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a €
103,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui nell’ambito di un’operazione commerciale che comporta uno
scambio di beni, venga consegnata una cosa diversa rispetto a quella oggetto di accordo.
35 Cass. pen., 15 marzo 2005, in Riv. Pen., 2006, p. 353.
Anche tale fattispecie di reato, come in precedenza sottolineato, è posta a tutela del sistema economico
nazionale, ma con riferimento specifico all’onestà e alla correttezza degli scambi.
Si precisa che:
non soltanto è offerto ma messo a completa disposizione del pubblico;
irrilevanti i motivi che spingono l’agente.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita un prodotto con caratteristiche qualitative o di materiale pregiato differente rispetto a quello dichiarato al consumatore.
Art. 516 Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non
genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032,00.
Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 774.500
Si precisa che:
Art. 517 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci
Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Rispetto alla fattispecie disciplinata dall’articolo precedente, quella in commento si differenzia per l’oggetto materiale della condotta costituito dalle opere d’ingegno e dai prodotti industriali recanti nomi, marchi o segni
36 Cass. pen., 15 gennaio 2003, n. 18298, in Cass. pen., 2004, p. 1620.
distintivi idonei a trarre in inganno il compratore su origine, provenienza e qualità dell’opera o del prodotto.
Peraltro, il reato si distingue anche da quello di “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi” di cui all’art. 474 c.p. La norma contiene, in primo luogo, una clausola di sussidiarietà finalizzata ad escludere la configurabilità della fattispecie criminosa in presenza di elementi costitutivi di fattispecie contemplate in altre disposizioni di legge.
Inoltre, mentre l’art. 474 c.p. tutela la fede pubblica contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione o nell’alterazione del marchio o di altri segni distintivi, l’art. 517 c.p. ha lo scopo di assicurare l’onestà degli scambi contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti, sicché trova applicazione anche quando, in assenza di una vera e propria attività di falsificazione, i contrassegni illegittimamente utilizzati risultino equivoci. Inoltre, per la configurabilità della fattispecie, non occorre che il marchio imitato sia registrato o riconosciuto a norma della normativa interna o internazionale.
Si precisa che:
industriale;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita un prodotto con l’indicazione geografica di fabbricazione o produzione (ad esempio “made in italy”) differente da quella reale (ad esempio “made in china”), che invece ha minor valore per il cliente38.
37 Cass. Pen., sez. III, 23 settembre 2010, n. 37818.
38 L’art. 4, comma 49 e 49-bis della L. 350/2003, come modificati dal D. L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 20 novembre 2009, n. 166 prevedono:
“49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis, ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura "made in Italy". Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica.
Art. 517-ter Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
Salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
In via generale, si osserva che l’art. 15 L. 23 luglio 2009, n. 99 ha inserito ex novo la norma in esame nel codice penale e, successivamente, ha inserito la fattispecie in esame nell’elenco di quelle che, se violate, danno origine alla responsabilità amministrativa dell’ente.
L’art. 517-ter c.p. prevede e punisce due diverse tipologie di reato. In particolare il primo comma introduce il delitto di fabbricazione di beni realizzati mediante l’usurpazione di titoli di proprietà industriale, mentre il secondo comma prevede il delitto di commercio di beni realizzati mediante l’usurpazione di titoli di proprietà industriale.
Con riferimento al reato previsto e punito dal primo comma della norma in esame, si precisa che:
dall’utilizzo a livello industriale di prodotti protetti da un titolo di proprietà industriale;
o con la violazione del titolo di proprietà industriale. Per “usurpazione” si intende l’atto di far proprio, senza averne il diritto, un bene appartenente ad altri ed in questo caso l’utilizzo uti dominus del titolo di proprietà industriale altrui; per “violazione” invece devono intendersi tutti i comportamenti contrari
o eccedenti rispetto alle prescrizioni imposte relativamente al titolo di proprietà industriale stesso;
49-bis - Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
L’art. 16, comma 1, 2 3 e 4 del D. L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 20
novembre 2009, n. 166 riporta:
“1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.
Con riferimento al reato previsto e punito dal secondo comma della norma in esame, si precisa che:
penalmente lo sfruttamento economico;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare consapevolmente in produzione industriale, oltre i
limiti previsti dalla licenza, un modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.
Art. 517-quater Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari
Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti
agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano
state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Come osservato per la norma precedente, anche tale disposizione è stata inserita nel codice penale dalla L.
23 luglio 2009, n. 99 e successivamente richiamata quale reato-presupposto della responsabilità
amministrativa dell’ente.
Si precisa che:
di prodotti agroalimentari;
incriminata.
La fattispecie si pone in un’ottica di tutela delle c.d. “indicazioni geografiche”, viste non solo come una garanzia di qualità del prodotto, ma come un elemento di scelta da parte del consumatore, che propende per l’acquisto di un prodotto anche in base alla sua provenienza. Ciò può avvenire sia perché il consumatore ritiene che una data provenienza garantisca una certa qualità, sia per altri motivi economici e sociali (si pensi, a titolo di esempio, alla c.d. “filiera corta”, garanzia di genuinità ma anche di rispetto ambientale e di tutela dei lavoratori di un dato territorio)
I delitti in esame sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
L’articolo 25-ter del Decreto Legislativo 231/01, rubricato “Reati societari”, così recita:
sanzioni pecuniarie3940:
sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
a-bis. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote;
sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;
codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;
la sanzione pecuniaria da duecento a trecentotrenta quote;
sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;
civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;
2627 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;
dall’articolo 2628 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;
la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;
2633 del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;
sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;
s-bis. per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote e, nei casi di istigazione di cui al primo comma dell’articolo 2635-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. Si applicano altresì le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2.
entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.
39 Articolo modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica
amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
40 Ai sensi dell’articolo 39, comma 5 della Legge 262/2005, le sanzioni pecuniarie previste dall'articolo 25-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono raddoppiate; pertanto, per i soggetti cui si applicano le disposizioni previste dalla L. 262/2005, i valori minimi e massimi indicati nell’art. 25-ter devono essere intesi raddoppiati.
41 La disposizione di cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 25-ter del Decreto Legislativo 231/01 è stata abrogata dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – ter del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice civile che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 2621 False comunicazioni sociali44
Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci
o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa
42 L’articolo 2623 del codice civile è abrogato e il relativo reato è stato spostato nel Testo Unico sulla Finanza,
senza che il legislatore abbia attuato un coordinamento tra l’art. 173-bis del TUF e il D. Lgs. 231/01.
Art. 173-bis D. Lgs. 58/98 - (Falso in prospetto). – “1. Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni".
43 Ai sensi dell’articolo 37, comma 34 del D. Lgs. 39/10, l’articolo 2624 del codice civile è abrogato. L’articolo è stato sostituito dall’art. 27 del D. Lgs. 39/10, senza che tuttavia il legislatore coordinasse la nuova norma con l’impianto del D. Lgs. 231/01.
Art. 27 (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) “1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.
44 Articolo recentemente modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro
la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”;
appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a €619.600
La Legge 27 maggio 2015, n. 69 è intervenuta modificando il dettato dell’articolo 2621 c.c., prevedendo che il reato di “false comunicazioni sociali” sia ora punito a titolo di delitto, in luogo della precedente disposizione che prevedeva la punibilità a titolo meramente contravvenzionale.
Si realizza il delitto di false comunicazioni sociali, così come riformato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, qualora un soggetto investito di una carica sociale, ivi compresi il dirigente preposto alla redazione di documenti contabili societari, esponga intenzionalmente nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero ometta fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore sulla situazione della società stessa.
Le pene previste per le ipotesi sopra richiamate, si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel sopravvalutare in maniera significativa e materiale le
rimanenze finali, con la finalità di migliorare sensibilmente il risultato dell’esercizio.
Art. 2621-bis Fatti di lieve entità45
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
Sanzione pecuniaria: da € 25.800 a € 309.800
La Legge 27 maggio 2015, n. 69 introduce all’interno dell’ordinamento l’articolo 2621-bis, il quale individua
delle ipotesi di riduzione di pena per la commissione del reato di cui all’art. 2621 c.c.:
o se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni. La lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa;
o nel caso in cui il reato di falso in bilancio riguardi le società che non sono soggette al fallimento (quelle, nei tre esercizi precedenti o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, abbiano avuto un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila, abbiano realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila e abbiano un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila), è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale)e la pena applicabile dovrà essere ricompresa tra i sei mesi e i tre anni.
In ogni caso, le disposizioni di cui agli articoli 2621 e 2621-bis vanno coordinate con la previsione di al nuovo art. 2621-ter che prevede una ipotesi speciale di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Ai fini della valutazione sulla tenuità del fatto, spetta al Giudice il compito di verificare l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori, in conseguenza dei fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis.
Art. 2622 False comunicazioni sociali delle società quotate46
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
45 Articolo recentemente introdotto dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro
la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
46 Articolo recentemente modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 929.400
L’art. 2622 c.c., così come riformato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, si occupa delle falsità nelle
comunicazioni sociali delle società quotate.
Deve essere rilevato come tale reato, a differenza di quanto avveniva ante riforma, si configura come un reato di pericolo, nel senso che non è più determinante per la non punibilità il fatto che ci sia stato un effettivo danno arrecato ai soci o creditori. Quello che diventa essenziale, e che viene dunque punito, è l’intento comunque di arrecare un danno attraverso false comunicazioni.
La nuova Legge inoltre introduce un sensibile aumento delle pene previste che, nella nuova formulazione, sono ricomprese fra un minimo di tre anni ed un massimo di otto anni.
Per gli altri elementi caratterizzanti la fattispecie incriminatrice del reato si rimanda alle considerazioni già svolte sub art. 2621 c.c.
[Art. 2623 Falso in prospetto47
Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti ai fini della sollecitazione all’investimento o dell’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo ad indurre in errore i suddetti destinatari è punito, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino ad un anno.
Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari del prospetto, la pena è della reclusione da uno a tre anni.]
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2623 co.1 c.c.
richiamato sostanzialmente dall’art. 24 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58)
Sanzioni pecuniarie: da €103.200 a 1.022.340 € (con riferimento all’ormai abrogato art. 2623 co.2 c.c. richiamato sostanzialmente dall’art. 24 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58)
Il reato in oggetto, ora descritto nell’art. 173-bis, comma 1, del D. Lgs. 58/98 (mentre l’art. 2623 c.c. è stato espressamente abrogato), risponde all’esigenza sentita dal legislatore di distinguere il comportamento di chi falsifica i “prospetti” e i “documenti”, da quello che ha per oggetto le comunicazioni sociali, di cui ai precedenti articoli 2621 e 2622 c.c.
Il legislatore non ha attuato un coordinamento tra l’art. 173 bis del TUF e il D. Lgs. 231/01: pertanto al momento dell’approvazione della presente Parte Speciale il reato di falso in prospetto non è rilevante ai fini della redazione del Modello di organizzazione, gestione e controllo48.
Oggetto del delitto in commento sono, infatti, i prospetti richiesti ai fini della sollecitazione dell’investimento (art. 94, D. Lgs. n. 58/98) o dell’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati (art. 113, D. Lgs. n. 58/98), ovvero dei documenti da pubblicare in occasione di offerte pubbliche di acquisto (OPA), o di scambio (OPS), redatti con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, esponendo false informazioni idonee ad indurre in errore o ad occultare dati o notizie.
Soggetto attivo del reato può essere chiunque rediga materialmente i menzionati documenti esponendo false informazioni od occultando dati e notizie con intenzione fraudolenta.
Nel novellato articolo 173-bis del TUF, rispetto alla precedente formulazione dell’art. 2623 c.c., è rimasta la sola formulazione dell’ipotesi delittuosa, che prevede la reclusione da uno a cinque anni.
47 L’articolo 2623 del codice civile è abrogato e il relativo reato è stato spostato nel Testo Unico sulla Finanza,
senza che il legislatore abbia attuato un coordinamento tra l’art. 173-bis del TUF e il D. Lgs. 231/01
Art. 173-bis D. Lgs. 58/98. - (Falso in prospetto). – “1. Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni".
48 Conf. Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.
[Art. 2624 Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione49
I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino a un anno.
Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.]
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2624 co.1 c.c. richiamato sostanzialmente dall’art. 27 co. 1 D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39)
Sanzioni pecuniarie: € 103.200 a € 1.022.340 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2624 co. 2 c.c.
richiamato sostanzialmente dall’art. 27 co. 2 D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39)
Il reato in oggetto è ora descritto nell’art. 27 del D. Lgs. 39/10, mentre l’art. 2624 c.c. è stato espressamente
abrogato.
Il legislatore non ha attuato un coordinamento tra l’art. 27 del D. Lgs. 39/10 e il D. Lgs. 231/01: pertanto allo stato attuale il reato di falso nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione non è rilevante ai fini della redazione del Modello di organizzazione, gestione e controllo50.
Proprio a tal proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che “il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione, già previsto dall’abrogato art. 174 bis D. Lgs. n. 58 del 1998 ed ora configurato dall’art. 27 D. Lgs. n. 39 del 2010, non è richiamato nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti che non menzionano le sopra richiamate disposizioni e conseguentemente non può costituire il fondamento della suddetta responsabilità”51. In motivazione la Corte ha altresì precisato che anche l’analoga fattispecie prevista dall’art. 2624 c.c., norma già inserita nei suddetti cataloghi, non può essere più considerata fonte della menzionata responsabilità atteso che il citato articolo, essendo stato abrogato dal D. Lgs. n. 39 del 2010, non è più idoneo a costituire richiamo normativo.
Ad ogni modo si rileva che la fattispecie di cui al citato art. 27 del D. Lgs n. 39/2010 si concretizza allorquando i responsabili della revisione, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni, con l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni stesse, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle suddette comunicazioni. Non è ancora pienamente appurato se la fattispecie sia applicabile solo per le società cui la revisione è obbligatoria per legge oppure sia
49 Ai sensi dell’articolo 37, comma 34 del D. Lgs. 39/10, l’articolo 2624 del codice civile è abrogato. L’articolo è stato sostituito dall’art. 27 del D. Lgs. 39/10, senza che tuttavia il legislatore coordinasse la nuova norma con l’impianto del D. Lgs. 231/01
Art. 27 (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) “1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.
50 Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.
51 Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.
estensibile alle ipotesi di “revisione volontaria”, cioè la revisione adottata per particolari motivi di trasparenza nei confronti degli azionisti e del mercato.
Soggetti attivi del reato possono essere soltanto i responsabili della società di revisione (reato proprio), ma i componenti degli organi di amministrazione e di controllo della società ed i suoi dipendenti possono essere coinvolti a titolo di concorso nel reato.
È, infatti, ipotizzabile il concorso eventuale, ai sensi dell’art. 110 c.p., degli amministratori, dei sindaci, o di altri soggetti della società revisionata, che abbiano determinato o istigato la condotta illecita del responsabile della società di revisione.
Si prevedono ipotesi aggravate per i casi in cui la condotta abbia cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, il fatto sia stato commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico, o se il fatto sia commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione.
Art. 2625 Impedito controllo
Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci, o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.
Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa.
La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640
Il combinato disposto del comma 1 e del comma 2 della norma in esame introduce un delitto52 proprio degli amministratori, che consiste nell’impedire od ostacolare, mediante occultamento di documenti od altri idonei artifici, lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali.
Si precisa che:
del controllo, ma è rilevante anche il solo ostacolo alle attività di verifica;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel non fornire in maniera completa la documentazione che sarebbe stata necessaria per una compiuta valutazione dei fatti da parte del Collegio Sindacale, con la finalità di non consentire a questi di includere un aspetto rilevante nella propria relazione, quando ciò determini un danno per i soci.
Art. 2626 Indebita restituzione dei conferimenti
Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640
52 Trattasi di illecito sanzionato penalmente nel solo caso del danno ai soci, essendo altrimenti considerato un illecito di carattere amministrativo e pertanto non rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
La fattispecie in esame punisce la condotta degli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono anche simulatamente i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di effettuarli.
La fattispecie assolve una fondamentale tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale a garanzia dei diritti dei creditori e dei terzi. Al delitto in esame, chiamato ad operare in tutte quelle fattispecie nelle quali non è possibile configurare gli estremi delle altre fattispecie specifiche di aggressione all’integrità del capitale sociale e del patrimonio, può essere attribuita una funzione di chiusura del sistema.
Si fa presente che:
Si noti che nella fattispecie la restituzione deve avvenire al di fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale. Pertanto il reato è escluso nel caso di restituzione avvenuta in ossequio della disciplina civilistica (per le società per azioni, regolamentata dall’art. 2306 c.c.) e si ritiene applicabile soltanto nel caso in cui si sia operato in difetto di una delibera assembleare, mentre l’art. 2629 di cui infra si ritiene applicabile ai casi in cui – pur in presenza di una delibera assembleare autorizzativa – la riduzione sia avvenuta in violazione delle disposizioni a tutela dei creditori.
Si può infine osservare come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato, poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci53.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riconoscere un credito per servizi fittiziamente erogati ad una società partecipata soltanto parzialmente, con la finalità di recuperare in tutto o in parte l’impegno finanziario derivante dalla sottoscrizione di un aumento di capitale nella società partecipata.
Art. 2627 Illegale ripartizione degli utili o delle riserve
Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno.
La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione
del bilancio estingue il reato.
53 In tal senso vedi anche STALLA, I reati societari come presupposto della responsabilità amministrativa della società: aspetti comuni e differenze rispetto alla disciplina fondamentale del D. Lgs. 231/01 - Relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura in Roma l’11 marzo 2005 che afferma “In pratica, non sarà sempre agevole – per il pubblico ministero – dimostrare che il reato societario è stato realizzato nell'interesse della società. Va intanto osservato che una prima "scrematura" dei reati societari rilevanti al fine di fondare la responsabilità amministrativa della società è operata dallo stesso legislatore del
Per altri reati ancora, come il falso in prospetto (art. 2623 cod. civ.), l'impedito controllo in danno dei soci (art. 2625 2^ co. cod. civ.) o l'aggiotaggio (art. 2637 cod. civ.), l'interesse della società può invece configurarsi, ancorché questo sia destinato ad assumere, il più delle volte, un ruolo secondario rispetto all'obiettivo – disinformativo o speculativo – personale dell'agente.”
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740
La fattispecie in esame punisce la condotta degli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite.
Si fa presente che:
Si sottolinea che la restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per
l’approvazione del bilancio estingue il reato;
Per le stesse ragioni esposte in corrispondenza della fattispecie di reato precedentemente analizzata, può evidenziarsi come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel distribuire riserve obbligatorie non altrimenti distribuibili, con la finalità di permettere ad alcuni soci di sottoscrivere un aumento di capitale.
Art. 2628 Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali proprie o della società controllante
Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.
Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640
Il reato si perfeziona con l’acquisto o la sottoscrizione di azioni o quote sociali proprie, o emesse dalla società controllante, tali da cagionare una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.
Si precisa che:
o delle riserve non disponibili. In assenza di tale lesione il reato non può essere configurato;
Si fa presente che se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio, relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare azioni proprie con riserve non distribuibili, con la finalità di sostenere il corso del titolo.
Art. 2629 Operazioni in pregiudizio dei creditori
Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340
La fattispecie si realizza con l’effettuazione, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, di
riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, tali da cagionare un danno ai creditori. Si precisa che:
Si sottolinea che il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riconoscere sistematicamente crediti per servizi fittiziamente erogati ad una società partecipata soltanto parzialmente, con la finalità di giungere ad una situazione di perdita significativa, tale da richiedere una riduzione del capitale sociale della stessa.
Art. 2629-bis Omessa comunicazione del conflitto di interessi
L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
La legge 28 dicembre 2005 n. 262 ha introdotto una nuova fattispecie di reato per l’amministratore o il
componente del consiglio di gestione di una delle società o altro soggetto giuridico espressamente individuati
dalla norma, in caso di violazione degli obblighi previsti dall’art. 2391 comma 1 c.c.54. Si precisa che:
54 Art. 2391 c.c.: “1. L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.
55 L’art. 116 del D. Lgs. 58/1998, citato dalla norma in esame, si limita a rinviare alla Consob il compito di stabilire i criteri per individuare gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante. Questi ultimi sono dunque definiti dall'art. 2-bis del regolamento Consob n. 11971/1999.
Art. 2-bis del regolamento Consob n. 11971/1999. Definizione di emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante.
“1. Sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali, contestualmente:
comma, del codice civile.
pubblica di scambio;
57 Ovvero i soggetti posti a vigilanza secondo il disposto del decreto legislativo n. 58 del 1998.
58 Ovvero i soggetti posti a vigilanza secondo il disposto del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private.
59 Il D. Lgs 124/1993, che disciplinava il settore della previdenza complementare, è stato abrogato, a decorrere dal 01 gennaio 2008, dal D. Lgs. 252/2005. Il riferimento, pertanto, risulta ad oggi del tutto privo di significato, in assenza di allineamento dell’art. 2629-bis con la nuova normativa disciplinante la materia.
prima assemblea utile;
Si noti che il nostro ordinamento prevede il reato di “Infedeltà patrimoniale” (art. 2634 c.c.) che già sanziona le ipotesi di conflitto di interessi degli amministratori, direttori generali e liquidatori che, “avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale”. È pertanto da ritenersi che, l’art. 2629-bis si ponga, rispetto all’art. 2634 c.c., in rapporto di specialità, determinato dalla particolare qualifica che deve avere il soggetto attivo ai fini dell’integrazione del reato in esame.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’omettere di comunicare compiutamente la natura e la portata di una determinata operazione per la quale l’amministratore ha un interesse in proprio o per conto di terzi, con la finalità di garantire il soddisfacimento dei propri obiettivi.
Art. 2632 Formazione fittizia del capitale
Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale della società mediante attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640
Il reato punisce la condotta degli amministratori e dei soci conferenti che, anche in parte, formano o aumentano fittiziamente il capitale della società, mediante attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale. Sono altresì considerate la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; sopravvalutazione in modo rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero il patrimonio della società, nel caso di trasformazione.
Si precisa che:
o tramite sottoscrizione reciproca di azioni o quote. In questo caso il requisito della reciprocità non presuppone la contestualità e la connessione delle due operazioni;
o con sopravvalutazione dei conferimenti dei beni in natura o di crediti o del patrimonio della società in caso di trasformazione. Si sottolinea che in tal caso, ai fini dell’integrazione del reato, è necessario che la sopravvalutazione sia rilevante e che la norma tende a penalizzare le valutazioni irragionevoli sia in correlazione alla natura dei beni valutati sia in correlazione ai criteri di valutazione adottati. Nel caso in cui la sopravvalutazione riguardi il patrimonio della società trasformata si prende in considerazione il patrimonio della società nel suo complesso e cioè l’insieme di tutti valori attivi, dopo aver detratto le passività;
Per le stesse ragioni esposte in corrispondenza della fattispecie di reato prevista all’art. 2626 c.c., può evidenziarsi come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel sopravvalutare in maniera rilevante il patrimonio immobiliare in occasione di un aumento di capitale riservato in natura, con la finalità di consolidare il controllo sulla società.
Art. 2633 Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori
I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340
Il reato si perfeziona con la ripartizione di beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o
dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, che cagioni un danno ai creditori.
Si specifica che:
Art. 2635 Corruzione tra privati61
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.
Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
Chi, anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, è punito con le pene ivi previste.
Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.
Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.
Fermo quanto previsto dall’articolo 2641, la misura della confisca per valore equivalente non può essere
inferiore al valore delle utilità date, promesse o offerte.
Sanzioni pecuniarie: da €103.200 a € 929.400
60 Come nel caso dei soci che procedessero alla ripartizione dell’attivo senza aver nominato i liquidatori,
divenendo così loro stessi liquidatori di fatto.
61 Articolo recentemente modificato dal Decreto Legislativo 15 marzo 2017, n. 38, recante “Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato”.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
L’ipotesi di reato in esame è integrata ogni qualvolta un amministratore, un direttore generale, un dirigente preposto alla redazione di documenti contabili, un sindaco o un liquidatore, un altro soggetto che eserciti funzioni direttive od un soggetto sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti menzionati compiono od omettono atti in violazione degli obblighi loro imposti, in seguito ad una dazione o alla promessa di denaro o di altra utilità.
Si specifica che:
ad una compagine sociale o siano esponenti di un’altra forma di ente privato;
Il terzo comma della norma in esame prevede che sia punito per la commissione del delitto in esame anche il corruttore, ovverosia il soggetto che ha provveduto ad effettuare la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità, anche per interposta persona.
Art. 2635-bis Istigazione alla corruzione tra privati.
Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi un’attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 2635, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, che sollecitano per sé o per altri, anche per interposta persona, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata.
Si procede a querela della persona offesa.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 619.600
Sanzioni interdittive: da 3 sino a 24 mesi
Il reato di istigazione alla corruzione tra privati costituisce come ipotesi di reato autonoma condotte che altrimenti integrerebbero il mero tentativo di commissione del reato di corruzione tra privati. Il primo periodo della fattispecie incriminatrice, infatti, prevede che sia punito colui che offre o promette denaro o altra utilità ai soggetti individuati come possibili autori del reato di corruzione tra privati, nel caso in cui l’offerta o la promessa non siano accettate, mentre il secondo periodo punisce l’amministratore, il direttore generale, il dirigente preposto alla redazione di documenti contabili, il sindaco o il liquidatore, l’altro soggetto che eserciti funzioni direttive o il soggetto sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti menzionati che sollecitano la dazione o la promessa di denaro od altra utilità, nel caso in cui il destinatario non raccolga le sollecitazioni.
Si precisa che:
o nell’offrire o promettere denaro o altra utilità ad un possibile autore del reato di corruzione
tra privati, affinché violi i propri doveri verso la società o l’ente privato di appartenenza;
Art. 2636 Illecita influenza sull’assemblea
Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340
La fattispecie in esame, che punisce la condotta di chi, «con atti simulati o fraudolenti», determina la maggioranza in assemblea allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, identifica il bene giuridico protetto nel corretto funzionamento dell’organo assembleare, assicurato dal rispetto del principio maggioritario, attraverso cui si esprime la volontà assembleare e si attua l’interesse sociale. La norma incriminatrice, in sostanza, mira a tutelare la trasparenza e la regolarità del processo formativo della volontà dell’assemblea.
Si precisa che:
assembleare non genuina in conseguenza di atti simulati o fraudolenti;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nella convocazione dell’assemblea dei soci in luoghi e orari anomali e pretestuosi, con la finalità di disincentivare la partecipazione dei soci di minoranza e per tale via consolidare il quorum deliberativo.
62 Cass. Pen., sez. I, 03 marzo 2009, n.17854.
63 Cass. Pen., sez. I, 03 marzo 2009, n.17854.
64 Cass. Pen., sez. V, 19 gennaio 2004, n. 7317.
Art. 2637 Aggiotaggio
Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
La realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie false ovvero si pongano in essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di società o di gruppi societari.
Si precisa che:
operazioni simulate o di altri artifici;
errore il pubblico;
Art. 2638 Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
3bis Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.239.200
La condotta criminosa si realizza attraverso l’esposizione nelle comunicazioni previste dalla legge alle autorità di vigilanza, al fine di ostacolarne le funzioni, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti alla vigilanza, ovvero con l’occultamento con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati, concernenti la situazione medesima o attraverso l’omissione delle comunicazioni dovute.
La figura di reato risponde all’esigenza di coordinare ed armonizzare le fattispecie riguardanti le numerose ipotesi, esistenti nella disciplina previgente, di falsità nelle comunicazioni agli organi di vigilanza, di ostacolo allo svolgimento delle funzioni, di omesse comunicazioni alle autorità medesime.
Si precisa che:
Viene così completata secondo il legislatore la tutela penale dell’informazione societaria, in questo caso nella sua destinazione alle autorità di vigilanza.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel non fornire in maniera completa la documentazione che sarebbe stata necessaria per una compiuta valutazione dei fatti da parte di Consob, con la finalità di ridurre la possibilità di subire una sanzione a carico della società.
L’articolo 25–quater del D. Lgs. 231/01, rubricato “Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico”, così recita:
sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
65 Tali reati prevedono la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 1.084.300 se il delitto presupposto è punito con la reclusione inferiore a 10 anni; se, invece, il delitto presupposto è punito con la reclusione non inferiore a 10 anni o con l’ergastolo, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e € 1.549.000. È, inoltre prevista, in caso di condanna, l’applicazione di sanzioni interdittive per una durata non inferiore a 12 mesi (fino a un massimo di 24 mesi). Tuttavia, se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di uno dei suddetti reati, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quater del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
dell’ordine democratico
Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 270 c.p. Associazioni sovversive
Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.
Tale ipotesi di reato tende a colpire le organizzazioni che si propongono di sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
di condividere lo scopo sovversivo oggetto del programma associativo.
Art. 270-bis Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione
dell’ordine democratico
Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.
Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti
contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Tale ipotesi di reato tende a colpire le organizzazioni che si propongono di compiere atti di violenza finalizzati
al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
di condividere lo scopo eversivo o terroristico oggetto del programma associativo.
Art. 270-ter Assistenza agli associati
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuativamente. Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Tale ipotesi di reato è di tipo “monosoggettivo” e sussidiario a quello descritto all’art. 270-bis in quanto può
66 Cfr. Cass. pen., sez I, 5 novembre 1987
configurarsi solo qualora la condotta dell’agente non integri gli estremi della “partecipazione” al delitto
associativo.
Si precisa che:
Art. 270-quater Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale
Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni.
Fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, e salvo il caso di addestramento, la persona arruolata è punita
con la pena della reclusione da cinque a otto anni67.
Si precisa che:
La fattispecie è stata recentemente modificata dall’art. 1, comma 1, del D.L. 18.2.2015, n. 7, estendendo la punibilità anche alla persona addestrata.
Art. 270-quater.1 Organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo
Fuori dai casi di cui agli articoli 270 bis e 270 quater, chiunque organizza, finanzia o propaganda viaggi in territorio estero finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270 sexies, è punito con la reclusione da cinque a otto anni.
L’articolo in esame è stato aggiunto dall’art. 1, comma 2, D.L. 18.2.2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati. È estremamente probabile tuttavia, che il soggetto
67 Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, D.L. 18.2.2015, n. 7, convertito con modificazioni dalla L. 17.4.2015,
agente faccia parte, o comunque collabori con un’associazione finalizzata al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico;
propaganda di viaggi all’estero finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo;
Si tratta di fattispecie a carattere residuale e svolge una funzione di chiusura: in virtù della clausola di sussidiarietà espressa si applica, infatti, se il fatto non integra il delitto associativo di cui all’art. 270 bis ovvero il reato di arruolamento di cui all’art. 270 quater.
Art. 270-quinquies Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale
Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata, nonché della persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies.
Le pene previste dal presente articolo sono aumentate se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Tale ipotesi di reato si configura nei confronti di chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, addestri o comunque fornisca istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.
Lo scopo dell’introduzione di questo articolo risiede nel tentativo di punire comportamenti ritenuti sufficienti per ritenere sussistenti organizzazioni terroristiche senza la necessità di fornire la dimostrazione della loro effettiva esistenza.
Si precisa che:
La fattispecie è stata recentemente modificata dall’art. 1, comma 3, del D.L. 18.2.2015, n. 7, estendendo la punibilità anche alla persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies. Contestualmente è stata altresì prevista la circostanza aggravante speciale per il caso di commissione del reato attraverso l’ausilio di strumenti informatici o telematici, sempre più diffusamente utilizzati per la formazione di nuovi terroristi.
Art. 270-quinquies.1 Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo
Chiunque, al di fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quater.1, raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270-sexies è punito con la reclusione da sette a quindici anni, indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte.
Chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro indicati al primo comma è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
L’articolo si propone di punire chi raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro che siano destinati ad essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento di condotte con finalità di terrorismo.
A completamento della tutela così apprestata, il secondo comma della norma incrimina le condotte di chi deposita o custodisce i beni o il denaro destinati alla commissione delle azioni con finalità di terrorismo.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
utilità finalizzate al compimento delle condotte terroristiche;
di sostenere economicamente atti di terrorismo.
Quanto invece al rapporto tra la nuova fattispecie e i singoli reati finanziati, il testo della norma lascia impregiudicata la possibilità che il finanziatore possa rispondere a titolo di concorso nelle singole condotte di terrorismo rese possibili dal finanziamento stesso.
Art. 270-quinquies.2 Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro
Chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro, sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270-sexies, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000.
La norma colpisce chi sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
Art. 270-sexies Condotte con finalità di terrorismo
Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.
Si configurano come attuate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o per il contesto, possano arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e siano compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture pubbliche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.
Art. 280 Attentato per finalità terroristiche o di eversione
Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita od all’incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
Se dall’attentato all’incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.
Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.
Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato
alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato all’incolumità, la reclusione di anni trenta.
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.
Tale ipotesi di reato si sostanzia nell’attentare alla vita o all’incolumità fisica di una persona, e si consuma col compimento di atti diretti a porre in pericolo l’altrui vita o incolumità personale. L’attentato deve essere posto in essere per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine dello Stato.
Art. 280-bis Atto di terrorismo con ordini micidiali o esplosivi
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
Ai fini del presente articolo, per dispositivi esplosivi o comunque micidiali si intendono le armi e le
materie ad esse assimilate indicate nell’articolo 585 e idonee a causare importanti danni materiali.
Se il fatto è diretto contro la sede della Presidenza della Repubblica, delle Assemblee legislative, della Corte costituzionale, di organi del Governo o comunque di organi previsti dalla Costituzione o da leggi costituzionali, la pena è aumentata fino alla metà.
Se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica ovvero un grave danno per l’economia nazionale, si applica la reclusione da cinque a dieci anni.
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.
Tale ipotesi di reato si sostanzia nel compiere atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali al fine di perseguire una finalità terroristica. Con tale fattispecie di reato il legislatore ha voluto sanzionare sia il danneggiamento dei beni mobili o immobili altrui, sia le particolari modalità con cui il danneggiamento vuole essere perpetrato, che comportano un gravissimo pericolo per la pubblica incolumità.
Art. 280 ter Atti di terrorismo nucleare
È punito con la reclusione non inferiore ad anni quindici chiunque, con le finalità di terrorismo di cui
all’articolo 270-sexies:
È punito con la reclusione non inferiore ad anni venti chiunque, con le finalità di terrorismo di cui
all’articolo 270-sexies:
Le pene di cui al primo e al secondo comma si applicano altresì quando la condotta ivi descritta abbia ad oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici.
L’articolo 4, comma 1, lett. c), della L. 28 luglio 2016, n. 153 ha introdotto tra i reati contro la personalità
interna dello stato la nuova figura di atti di terrorismo nucleare.
L’incriminazione recepisce sostanzialmente i contenuti dell’art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione degli atti di terrorismo nucleare (New York, 14 settembre 2005). In base al primo comma dell’articolo è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni chi alternativamente procura a sé o ad altri materia radioattiva oppure crea o viene altrimenti in possesso di un ordigno nucleare.
Il secondo comma disciplina uno stadio dell’offesa più avanzato, reprimendo con la severa sanzione della reclusione non inferiore a venti anni la condotta di chi utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare oppure utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o determinando il concreto pericolo che rilasci materia radioattiva.
Le disposizioni dei due commi citati devono essere lette correlativamente all’art. 3 della legge che detta una
serie di definizioni attinenti alla sfera nucleare. Così:
Il terzo comma dell’articolo estende le pene dei primi due commi all’eventualità che la condotta abbia ad
oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici.
Art. 289-bis Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione
Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico sequestra una persona è
punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.
Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.
Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.
Il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà è punito con la reclusione da due a otto anni; se il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da otto a diciotto anni.
Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.
Tale ipotesi di reato si sostanzia nella privazione della libertà personale di un soggetto al fine di incutere terrore nella collettività con azioni dirette non contro le singole persone, ma contro quello che esse rappresentano. Costituisce circostanza aggravante l’aver procurato la morte, voluta o non voluta, del sequestrato mentre costituisce situazione attenuante, l’essersi dissociato dal vincolo associativo e dalle convinzioni terroristiche ed eversive del gruppo. favorendo il rilascio della vittima.
Art. 302 Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo
Chiunque istiga taluno a commettere uno dei delitti, non colposi, preveduti dai capi primo e secondo di questo titolo, per i quali la legge stabilisce (la pena di morte o) l’ergastolo o la reclusione, è punito, se la istigazione non è accolta, ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a otto anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si
riferisce l’istigazione.
Tale ipotesi di reato consiste nell’istigare qualcuno a commettere uno dei reati contro la personalità interna
ed internazionale dello Stato disciplinati dagli articoli precedentemente analizzati.
Art. 304 c.p. Cospirazione politica mediante accordo
Quando più persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che partecipano all’accordo sono puniti, se il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a sei anni.
Per i promotori la pena è aumentata.
Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si
riferisce l’accordo.
Il delitto in esame derogando al principio stabilito dall’art.115, secondo cui il mero accordo a commettere un reato non costituisce reato, salvo che la legge disponga diversamente, stabilisce la punibilità degli atti preparatori, in quanto eleva a reato un comportamento che incarna una forma di potenziale pericolo per le istituzioni.
L’esigenza è quella di evitare la riunione degli intenti criminosi, il loro reciproco rafforzamento e le conseguenze che ne deriverebbero.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
Art. 305 c.p. Cospirazione politica mediante associazione
Quando tre o più persone si associano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che promuovono, costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.
Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da due a otto anni. I capi dell’associazione soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Le pene sono aumentate se l’associazione tende a commettere due o più dei delitti sopra indicati.
Il presente reato si differenzia dal precedente art. 304 c.p. in quanto è caratterizzato dalla presenza permanente di un’organizzazione associativa, e non da un mero accordo finalizzato al compimento di una delle condotte criminose contemplate all’art. 302 c.p.
Art. 306 c.p. Banda armata: formazione e partecipazione
Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici anni.
Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni. I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
L’attività sottoposta a pena detentiva è quella di promozione, costituzione e organizzazione di bande armate. In assenza di una definizione normativa si considera “Banda armata” un gruppo di soggetti tra cui intercorre un vincolo di permanente collegamento al fine specifico di commettere reati con in supporto di armi; che siano organizzati in modo idoneo alla scopo e soggetti al comando di uno o più capi.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
Art. 307 c.p. Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all’associazione o alla banda indicate nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.
La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuatamente.
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Agli effetti della legge penale, si intendono per i "prossimi congiunti" gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole.
Il delitto in esame si differenzia dal concorso nei reati di cui agli artt. 305 e 306 relativamente al destinatario dell’aiuto. Infatti gli articoli richiamati si applicano qualora l’aiuto è prestato al singolo nell’interesse dell’intera associazione o banda. Se invece tale aiuto è rivolto al singolo associato o membro della banda o comunque ad una pluralità di soggetti singolarmente intesi trova applicazione la disposizione in esame.
È causa personale di esenzione dalla pena l’aver commesso il fatto in favore di un prossimo congiunto
costituisce una causa personale di esenzione da pena.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
Art. 1 L. n. 342/1976 Impossessamento, dirottamento e distruzione di un aereo
Chiunque con violenza o minaccia commette un fatto diretto all’impossessamento di un aereo e chiunque con violenza, minaccia o frode commette un fatto diretto al dirottamento o alla distruzione di un aereo è punito con la reclusione da 7 a 21 anni.
La pena è aumentata se l’autore consegue l’intento.
La pena non può essere inferiore a 12 anni di reclusione se dal fatto derivano lesioni personali ai passeggeri ovvero ai membri dell’equipaggio.
Si applica la pena della reclusione da 24 a 30 anni se dal fatto deriva la morte di una o più persone.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
s’impossessi di un aereo con il fine di dirottarlo o distruggerlo;
Art. 2, L.n. 342/1976 Danneggiamento delle installazioni a terra
Chiunque al fine di dirottare o distruggere un aereo danneggia le installazioni a terra relative alla
navigazione aerea o ne altera le modalità di uso è punito con le pene indicate nell’articolo precedente.
Si precisa che:
ponga in essere i comportamenti incriminati;
Art. 3, L.n. 422/1989 Sanzioni
Chiunque, con violenza o minaccia, si impossessa di una nave o di una installazione fissa ovvero esercita il controllo su di essa è punito con la reclusione da otto a ventiquattro anni.
Alla stessa pena soggiace, se il fatto è tale da porre in pericolo la sicurezza della navigazione di una nave ovvero la sicurezza di una installazione fissa, chiunque:
Chiunque minaccia di commettere uno dei fatti previsti nelle lettere a), b), e d) del comma 2 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Chiunque, nel commettere uno dei fatti previsti dai commi 1 e 2, cagiona la morte di una persona è
punito con l’ergastolo.
Chiunque nel commettere uno dei fatti previsti dai commi 1 e 2, cagiona a ciascuno lesioni personali è punito ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale ma le pene sono aumentate.
Quando per le modalità dell’azione e per la tenuità del danno o il fatto è lieve entità, le pene indicate nei commi 1 e 2 sono ridotte da un terzo a due terzi.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando il fatto è previsto come più grave reato da altra disposizione di legge.
[Art. 5, D. Lgs. n. 625/1979 Pentimento operoso
Fuori del caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo 56 del codice penale, non è punibile il colpevole di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico che volontariamente impedisce l’evento e fornisce elementi di prova determinanti per la esatta ricostruzione del fatto e per la individuazione degli eventuali concorrenti.
Rientrante tra le attenuanti comuni, di cui all’art. 62, n. 6 seconda parte c.p., il pentimento operoso si realizza quando colui che delinque si sia adoperato, prima della realizzazione dell’evento, in modo spontaneo ed efficace per evitare il realizzarsi del reato di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico che si era inizialmente proposto di compiere.
Tale attenuante presuppone non solo la volontarietà ma anche la spontaneità del comportamento riparatore in quanto deve essere determinato da motivi interni e non da ragioni meramente opportunistiche.]68
[Art. 1 D. L. 15 dicembre 1979, n. 625 convertito, con modificazioni, nella L. 6 febbraio 1980,
Per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, punibili con pena diversa dall’ergastolo, la pena è aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato
[omissis]
Tale norma prevede, come circostanza aggravante applicabile a qualsiasi reato il fatto che il reato
stesso sia stato “commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”.
Parte della Dottrina estende l’ambito applicativo dell’art. 25-quater del D. Lgs. 231/2001 anche ai tutti i reati commessi in presenza della circostanza aggravante in esame. Ne consegue che qualsiasi delitto previsto dal codice penale o dalle leggi speciali, anche diverso da quelli espressamente diretti a punire il terrorismo, potrebbe diventare, purché commesso con dette finalità, uno di quelli suscettibili di costituire, a norma dell’art. 25-quater, presupposto per l’affermazione della responsabilità dell’ente.
Tale posizione non sembra tuttavia condivisibile giacché, oltre a comportare l’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente oltre i confini della determinatezza, pare in contrasto con il dato letterale dell’art. 25- quater. La norma citata richiama, infatti, i delitti “aventi” finalità di terrorismo e non “commessi” con finalità terroristiche. Sembra dunque necessario che le finalità terroristiche siano elemento costitutivo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, e che non sia sufficiente ai sensi del D. Lgs. 231/2001 che un qualsiasi reato sia commesso con tale intenzione]69.
Art. 2 Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, New York, 9 dicembre 1999
nell’allegato;
tale trattato, la dichiarazione prevista nel presente articolo.
Tale contributo deve essere deliberato e deve:
Perché una condotta possa rientrare in una delle suddette fattispecie non è necessario che i fondi siano effettivamente utilizzati per compiere i reati summenzionati, risultando già di per sé sufficiente la mera destinazione a tale scopo.
Anche il semplice tentativo di finanziamento di atti terroristici è considerato reato ai sensi del quarto
comma della norma in esame.
Si considera colpevole di reato anche chi partecipi come complice, chi organizzi o diriga altre persone al fine di commettere un reato o contribuisca al compimento di uno o più reati con un gruppo di persone che agiscono con una finalità comune, qualora tali condotte riguardino la commissione di reati con finalità di terrorismo, di cui sopra.
L’articolo 25-quater1 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”,
così recita:
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.084.300
Sanzioni interdittive: da 12 mesi a 24 mesi (nel caso si tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato
l’accreditamento).
Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quater1 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 583-bis Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice
di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal
genitore o dal tutore, rispettivamente:
Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.
Tale ipotesi di reato è di tipo “comune” in quanto può essere compiuto da chiunque ponga in essere i
comportamenti incriminati sopra descritti. Si precisa che:
L’articolo 25 – quinquies del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti contro la personalità individuale”, così recita:
codice penale si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quinquies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 600 Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù
Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Tale ipotesi di reato è posta a tutela della personalità individuale, ed in particolare della dignità della persona
e della personalità umana, intesa come libertà di agire e volere secondo scelte proprie dell’individuo.
Si precisa che:
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel favorire l’ingresso illegale nel nostro paese di ragazzi o ragazze
70 La condizione analoga alla schiavitù è quella di fatto, con connotati volta a volta diversi, ma fondamentalmente identici nell’ambito dei rapporti interpersonali, nei quali un individuo ha un potere pieno e incontrollato sull’altro, assoggettato appunto al suo dominio; si ricomprende, pertanto, la servitù per debiti; la servitù per la lavorazione della terra; le istituzioni o pratiche in virtù delle quali una donna è promessa o data in matrimonio dietro un corrispettivo, senza che abbia la facoltà di rifiutare, nonché le istituzioni o le pratiche per le quali il marito, la famiglia ed il clan hanno il diritto di cedere la donna ad un terzo, a titolo oneroso o altrimenti; le istituzioni o le pratiche in forza delle quali un fanciullo o un adolescente minore degli anni diciotto è consegnato dai suoi genitori o da uno di loro sia dal suo tutore, ad un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro di detto fanciullo o adolescente.
di paesi più poveri, per poi costringerli a lavorare ad orari e condizioni disumani71.
71 La condotta descritta potrebbe essere configurata, a titolo esemplificativo, anche nell’ipotesi remota del concorso nel reato di un soggetto appaltante insieme all’appaltatore o al sub-appaltatore, riconducibile all’ipotesi di dolo eventuale del primo soggetto, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema delle condizioni lavorative cui sono sottoposte i lavoratori presso terzi appaltatori, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità che possano esistere situazioni di evidente irregolarità o di possibile sfruttamento dei lavoratori presso i terzi o presso eventuali subappaltatori.
Art. 600-bis Prostituzione minorile
È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.000 a euro 150.000 chiunque:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000.73
La fattispecie incriminatrice in esame è volta a tutelare il minore da ogni forma di sfruttamento e di violenza sessuale, nonché a salvaguardare il corretto sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale dello stesso.
Si precisa che:
comportamenti incriminati sopra descritti;
o favorire la prostituzione: il favoreggiamento si configura quando il soggetto agente con il
proprio comportamento rende possibile o agevola l’esercizio della prostituzione;
Art. 600-ter Pornografia minorile
È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:
Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per
73 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300 Sanzioni interdittive: se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001
74 Definizione di Padovani.
75 Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento e allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582,00 a euro 51.645,00.76
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549,00 a euro 5.164,00.77
Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro
1.500 a euro 6.000.
Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.
Tale fattispecie incriminatrice è volta a punire lo sfruttamento di minori a fini pornografici, tramite l’incriminazione di una pluralità di condotte, relative alla produzione o allo scambio di materiale pedopornografico.
Si precisa che:
comportamenti incriminati sopra descritti;
76 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
77 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
o offrire o cedere, anche gratuitamente, materiale pornografico prodotto attraverso lo sfruttamento sessuale dei minori: “cedere” implica che il prodotto esce dalla sfera di disponibilità di un soggetto e passa in quella di un’altra persona;
Art. 600-quater Detenzione di materiale pornografico
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549,00.
La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300 Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
Tale ipotesi di reato punisce gli utenti o utilizzatori finali di materiale pedopornografico. Si precisa che:
disponibilità del materiale pornografico;
Art. 600-quater.1 Pornografia virtuale
Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.
Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
Tale ipotesi di reato è di “pericolo astratto”, perché la produzione e la diffusione di siffatto materiale sono tali da incentivare quei comportamenti devianti, in grado, a loro volta, di originare ulteriori condotte lesive del bene giuridico finale dell’integrità psicofisica del minore.
Si precisa che:
Art. 600-quinquies Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile
Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493,00 a euro 154.937,00.
Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Tale ipotesi di reato punisce coloro che sfruttano la pratica del turismo sessuale, nei casi in cui questo abbia da oggetto minori.
Si precisa che:
fine di permette la fruizione e fruire di attività di prostituzione a danno di minori;
Art. 601 Tratta di persone
È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.
Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età.
La pena per il comandante o l’ufficiale della nave nazionale o straniera, che commette alcuno dei fatti previsti dal primo o dal secondo comma o vi concorre, è aumentata fino a un terzo.
Il componente dell’equipaggio di nave nazionale o straniera destinata, prima della partenza o in corso di navigazione, alla tratta è punito, ancorché non sia stato compiuto alcun fatto previsto dal primo o dal secondo comma o di commercio di schiavi, con la reclusione da tre a dieci anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. 4.3.2014, n. 24, in attuazione della direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e poi modificato con l’aggiunta dei commi 3 e 4 dall’art. 2, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21.
Anche in questo caso, come per il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù, il reato in esame è volto a reprimere comportamenti lesivi della personalità individuale e della dignità umana. Sono infatti punite dalla norma in esame le condotte volte a limitare la libertà di circolazione dei soggetti, operate con l’uso della forza, sia fisica che morale.
Si precisa che:
o nel reclutamento, nell’introduzione nel territorio dello Stato, nel trasferimento anche al di fuori di esso, nel trasporto, nella cessione dell’autorità sulla persona, nell’ospitalità ad una o più persone che si trovino nelle condizioni di cui all’art. 600;
Se le condotte di tratta di persona sono commesse su un soggetto minore, anche al di fuori delle modalità sopra descritte, si applicano le pene previste dal comma 1.
Art. 602 Acquisto e alienazione di schiavi
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all’articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Si precisa che:
Art. 603-bis Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000
Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)
Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stato modificato con l’entrata in vigore della Legge 19 ottobre 2016 n. 199 nominata “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”.
Si precisa che:
riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria ed alle ferie;
compiere una delle condotte previste dal comma 1 della norma in esame;
Art. 609 – undecies Adescamento di minorenni
Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300
Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.
Il reato è stato introdotto all’interno del codice penale dall’art. 4, L. 1 ottobre 2012, n. 172, in attuazione della
Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.
Il reato di adescamento di minori è finalizzato ad anticipare la soglia di punibilità ai comportamenti strumentali alla commissione di altri e più gravi reati. Il Legislatore, preso atto della maggior tutela richiesta per beni giuridici protetti, attraverso la fattispecie incriminatrice in esame fa sì che siano punibili anche coloro che pur non essendo riusciti ad attentare all’integrità fisica e morale di un minore, abbiano posto in essere una condotta finalizzata all’approccio con l’intenzione di compiere successivamente altro più grave reato.
Si precisa che:
o per “adescamento”, come specificato dalla norma, deve intendersi il compimento qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore e, dunque, ad abbassarne le difese, che sia compiuto attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione;
L’articolo 25–sexies del D. Lgs. 231/01 (rubricato “Abusi di mercato”) così recita:
è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.
Il Legislatore che ha novellato la parte V, titolo I–bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, attraverso le disposizioni di cui all’articolo 187-quinquies e rovesciando l’usuale schema di richiamo delle fattispecie di illecito operato fino ad allora dal legislatore in sede di ampliamento dell’ambito di responsabilità amministrativa degli enti, ha introdotto due illeciti amministrativi (speculari alle fattispecie di reato sopra richiamate) di abuso di informazioni privilegiate o manipolazione del mercato previsti rispettivamente dagli articoli 187–bis e 187–ter del TUF.
L’articolo 187-quinquies (rubricato “Responsabilità dell’ente”) così recita:
irrogata per gli illeciti di cui al presente capo commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – sexies del D. Lgs. 231/01 e gli illeciti amministrativi presupposto
introdotti dall’art. 187 – quinquies del D. Lgs. 58/98 sono i seguenti:
Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnati da una sintetica illustrazione del reato e dell’illecito amministrativo e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 184 TUF Abuso di informazioni privilegiate78
3-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro 103.291,00 e dell’arresto fino a tre anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove
questo sia di rilevante entità).
Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente è di
rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.
La fattispecie è caratterizzata dall’esigenza di tutela del mercato e punisce chi, in ragione del proprio ruolo e in possesso di informazioni privilegiate di cui all’art. 181 D. Lgs. 58/98, dolosamente compie attività in proprio o per conto di terzi sugli strumenti finanziari, utilizzando le informazioni medesime; comunica ad
78 Ai sensi dell’art. 39, co. 1, della legge. n. 262 del 28.12.2005, le pene previste nel presente Titolo sono raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.
altri dette informazioni o raccomanda altri affinché essi compiano le attività di acquisto, vendita o altre operazioni.
Per potersi parlare di “informazione privilegiata” si deve trattare di un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari.
Rientrano nel novero delle informazioni privilegiate non solo i fatti accaduti nella sfera di attività degli emittenti ma tutte le informazioni di carattere preciso concernenti gli stessi emittenti o gli strumenti finanziari, capaci di influenzare, se rese pubbliche, sensibilmente il prezzo di tali strumenti.
Un’informazione si ritiene di carattere preciso se:
circostanze o dell’evento di cui al punto precedente sui prezzi degli strumenti finanziari.
Per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari si intende un’informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento.
Si precisa che:
finanziari come definiti dall’art. 180 del D. Lgs. 58/199879;
79In base alla norma citata si considerano “ "strumenti finanziari": 1) gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea nonché qualsiasi altro strumento ammesso o per il quale è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato di un Paese dell'Unione europea; 2) gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, per i quali l'ammissione è stata richiesta o autorizzata dall'emittente”.
Si ritiene pertanto riportare il testo dell’art. 1 comma 2 del citato decreto:
“Per "strumenti finanziari" si intendono:
coscienza e volontà del soggetto agente di porre in essere la condotta tipica.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare azioni dell’emittente qualche giorno prima della pubblicazione del progetto di bilancio, sulla base delle informazioni privilegiate cui si ha accesso in ragione del proprio ruolo presso l’emittente.
Art. 185 TUF Manipolazione del mercato80
2-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numeri 2), 2-bis) e 2-ter), limitatamente agli strumenti finanziari il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario di cui ai numeri 2) e 2-bis) ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore, o relative alle aste su una piattaforma d’asta autorizzata come un mercato
regolamentato di quote di emissioni, la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro
centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni[1046].
2-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche:
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove
questo sia di rilevante entità)
Nel caso della manipolazione di mercato, la realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie
esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;
80 Ai sensi dell’art. 39, co. 1, della legge. n. 262 del 28.12.2005, le pene previste nel presente Titolo sono
raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.
false ovvero si pongano in essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari quotati.
Si precisa che:
alterare il corso normale dei prezzi”;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel diffondere, in ragione del proprio ruolo apicale presso l’emittente, un’indicazione sufficientemente precisa dell’ottenimento di un importante prestito bancario in un momento di grave tensione finanziaria, quando invece si è soltanto in fase di istruttoria, con la finalità di permettere un pronto recupero al corso del titolo.
Art. 187-bis TUF Abuso di informazioni privilegiate
Sanzione amministrativa pecuniaria per il soggetto agente: da € 20.000 a € 3.000.000 (aumentabili fino al triplo o fino al maggior importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito) Sanzioni pecuniarie per l’ente: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove questo sia di rilevante entità)
Art. 187-ter TUF Manipolazione del mercato
Sanzioni amministrative pecuniarie: da € 20.000 a € 5.000.000 per il soggetto agente (aumentabili fino al
triplo o fino al maggior importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito)
Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove
questo sia di rilevante entità)
Si precisa che, a differenza del corrispondente reato di cui all’art. 185 TUF, è rilevante la diffusione tramite mezzi di informazione (compreso Internet) di informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. Non è invece prevista la condotta tipicamente dolosa dell’intento ingannatorio derivante dal porre “in essere operazioni simulate o altri artifizi”, caratteristico del corrispondente reato, mentre si noti che le notizie possono essere anche semplicemente fuorvianti.
A differenza di quanto previsto dall’art 185 TUF, per l’integrazione dell’illecito amministrativo in esame non occorre che le notizie diffuse siano di idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, risultando sufficiente la loro falsità.
Si noti infine che l’elenco dei comportamenti di cui all’articolo non è definitivo, ma potrà essere integrato da
Consob.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel diffondere nell’apposita sezione del sito internet dell’emittente un comunicato stampa difforme rispetto a quello diffuso al mercato per il tramite dei canali istituzionali, senza intervenire per la correzione del primo comunicato, di natura in tal senso fuorviante.
L’articolo 25 – septies del D. Lgs. 231/01, come modificato dall’art. 300 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, così recita:
81 Art. 55. Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente
Si ricorda che l’articolo 29, comma 1 recita:
“Art. 29. Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi
Per completezza, si precisa che l’art. 31, comma 6, elenca una serie di attività maggiormente a rischio, nelle quali è obbligatoria in ogni caso l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva. In particolare si citano i casi di aziende industriali di cui all’art. 2 del D.lgs 17 agosto 1999, n. 334 e successive modifiche ed integrazioni (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto; delle centrali termoelettriche; degli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del Dlgs 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni (Attuazione delle direttive EURATOM 80 / 836, 84 / 467, 84 / 466, 89 / 618, 90 / 641 e 92 / 3 in materia di radiazioni ionizzanti); delle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; delle aziende estrattive con oltre 50 lavoratori; delle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
L’articolo 268 del Decreto classifica gli agenti biologici e in particolare le lettere c) e d) classificano gli agenti del gruppo 3 (agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche) o del gruppo 4 (agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche).
I rischi da atmosfere esplosive sono disciplinati dal Titolo XI del D. Lgs. 81/08.
I rischi da esposizione a sostanze pericolose dei tipi cancerogeni e mutageni sono disciplinati dal Titolo IX, Capo II del D. Lgs. 81/08.
I rischi da esposizione alle attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto sono disciplinati dal Titolo IX, Capo III del D. Lgs. 81/08.
Le attività disciplinate dal Titolo IV, caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno, sono quelle relative ai cantieri temporanei e mobili.
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – septies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 589 Omicidio colposo
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 589 c.p. commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e
sicurezza sul lavoro, da € 64.400 a € 774.500.
Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 589 c.p. commesso con violazione dell’art. 55, comma 2 del Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro la sanzione pecuniaria è prevista nella misura fissa di € 1.549.000. Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi.
Il reato si consuma nel momento in cui si verifica la morte ed è un reato comune, che può essere commesso da chiunque.
L’elemento oggettivo consiste in una condotta che si sostanzia nel cagionare la morte di taluno a causa di un qualunque comportamento colposo, vale a dire contrario alle regole cautelari imposte dall’ordinamento giuridico.
È circostanza aggravante del reato comune l’aver violato le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro; similarmente si ricorda che la responsabilità dell’ente è possibile soltanto se il reato si consuma in violazione delle norme anti-infortunistiche e a tutela dell’igiene e della salute sul lavoro.
A seguito della Legge n. 3/2018 viene inserita quale ulteriore circostanza aggravante l’aver commesso il fatto nell’esercizio abusivo di una professione per la quale sia richiesta una abilitazione speciale dello Stato o un’arte sanitaria.
Il tema è stato oggetto di numerosi interventi normativi. Innanzitutto, l'art. 3, 1° co., D.L. 13.9.2012, n. 158, convertito in L. 8.11.2012, n. 189, ha escluso espressamente la responsabilità per colpa lieve dell'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attenesse a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, fermo restando l'obbligo di risarcimento civilistico ex art. 2043
c.c. Tale disposizione è stata successivamente abrogata dall'art. 6, L. 8.3.2017, n. 24, che ha contestualmente
introdotto nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, sulla responsabilità del sanitario per omicidio e lesioni personali colpose. La riforma del 2017 ha nuovamente escluso qualsiasi rilevanza alla distinzione tra colpa grave e colpa lieve nella responsabilità medico-chirurgica ed ha istituito un sistema di riconoscimento formale delle linee guida e delle buone pratiche mediche che assumono rilevanza nella valutazione della responsabilità colposa.
Art. 590 Lesioni personali colpose
Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.
Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pensa della reclusione non può superare gli anni cinque.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 590 comma 3 commesso con violazione delle norme sulla tutela della
salute e sicurezza sul lavoro da € 25.800 a € 387.250
Sanzioni interdittive: da 3 a 6 mesi
Nel caso di specie l’interesse tutelato è l’incolumità fisica della persona. La condotta consiste in un qualsiasi comportamento colposo dal quale deriva una lesione personale di natura grave o gravissima, a norma dell’articolo 583 del codice civile.
La lesione è grave quando dal fatto deriva:
La lesione è gravissima quando dal fatto deriva:
Inoltre, nell’art. 25-septies, lo specifico richiamo al comma 3 dell’art. 590 c.p., il quale individua una circostanza aggravante ad effetto speciale soltanto nella violazione delle norme “per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e non anche in quelle sulla tutela dell’igiene e della salute del lavoro, potrebbe far sorgere il dubbio in ossequio al principio di stretta legalità di cui all’art. 2 del D. Lgs. 231/01, che non sia ravvisabile la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alla fattispecie di lesioni colpose gravi o gravissime derivanti da malattia professionale.
Tuttavia, a favore di un’interpretazione estensiva, che ricomprenda nelle lesioni colpose gravi o gravissime anche le malattie professionali, si può richiamare quella giurisprudenza che in tema di infortuni sul lavoro tende a far coincidere il concetto infortunio-malattia, nonché il riferimento testuale dell’art. 25-septies alle norme “a tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”, che induce a ritenere che il legislatore abbia inteso, con
riguardo alle lesioni colpose gravi o gravissime, estendere la responsabilità degli enti alle malattie professionali.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel causare una mutilazione che renda inservibile un braccio di una persona, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza di norme concernenti la disciplina della circolazione stradale, causando un sinistro in corrispondenza del passaggio pedonale, a causa dell’alta velocità.
L’art. 25-octies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio”, introdotto all’interno dell’ambito applicativo della responsabilità amministrativa degli enti dal D. Lgs. 231/2007 e recentemente modificato ed integrato dalla L. 186/2014, così recita:
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – octies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 648 Ricettazione
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis). (3)
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.
Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e
€ 1.549.000.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato si realizza non solo nel momento dell’acquisto, della ricezione o dell’occultamento del denaro o di beni ma anche nel momento dell’intromissione. Infatti, la fattispecie criminosa in questione punisce penalmente anche il soggetto che in qualsiasi modo interviene, anche come semplice intermediario nel negozio di acquisto di cose provenienti dal delitto, o a qualsiasi titolo interviene nel loro occultamento. Inoltre, il reato di ricettazione si configura anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Si precisa che:
o nascondere e/o occultare il bene dopo averlo avuto a disposizione;
o mettere in relazione il soggetto che ha commesso il reato presupposto e colui che esegue la condotta tipica della ricettazione;
Con l’art.8 del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, rubricato “Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione”, è stata introdotta l’aggravante specifica di cui al secondo periodo del primo comma, nel caso in cui oggetto del reato sia provento di rapina o di estorsione aggravate ai sensi dell’art. 628, comma 3, c.p.82 o si tratti di componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare dei beni o delle materie prime che provengono da un furto83, con conseguente vantaggio economico derivante dal minor costo sostenuto.
82 Art. 628 c.p. Rapina. “[omissis]
La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098:
3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
3-ter) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena
fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro; 3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne;
3-sexies) se il fatto è commesso in presenza di un minore”.
83 Al fine della configurabilità del reato è sufficiente che si abbia la certezza dell’esistenza del delitto da cui proviene il bene, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti; secondo una parte della dottrina è configurabile anche il dolo eventuale, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema della provenienza forse illegittima del bene, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità di
Art. 648-bis Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.
Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e
€ 1.549. 000.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato “comune” tutela il “patrimonio” e “l’ordine economico” attraverso la punibilità di
comportamenti atti a sfruttare capitali illegittimamente acquisiti mettendoli in circolazione sul mercato. Si precisa che:
beni o di altre utilità derivanti dalla commissione di altri reati.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’accettare in pagamento denaro che provenga da una attività
illecita84, così ostacolando la provenienza delittuosa.
Art. 648-ter Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’articolo 648. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
una sua provenienza delittuosa; se invece è rimproverabile una mera negligenza, si applicherebbe il reato di
cui all’art. 712 c.p. – Acquisto di cose di sospetta provenienza.
84 Al fine della configurabilità del reato è sufficiente che si abbia la certezza dell’esistenza del delitto da cui proviene il denaro, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti; secondo una parte della dottrina è configurabile anche il dolo eventuale, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema della provenienza forse illegittima del denaro, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità di una sua provenienza delittuosa.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.
Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della
reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e
€ 1.549.000.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
Tale ipotesi di reato tutela il “patrimonio” e “l’ordine economico” attraverso la punibilità di comportamenti
atti a turbare la libera concorrenza nel mercato. Si precisa che:
utilità provenienti da delitto;
dalla norma incriminatrice;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare nel processo produttivo i beni o le materie prime
che provengono da un furto.
Art. 648-ter.1 Autoriciclaggio (85)
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.
Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della
reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e
€ 1.549.000.
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
La Legge n. 186 del 15 dicembre 2014 ha introdotto nel sistema penale il delitto di autoriciclaggio, accogliendo quindi le raccomandazioni internazionali (ed in particolare dalla Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione e la Convenzione Onu, ratificate in Italia con la legge 28 giugno 2012 n. 110 e con la legge 16 marzo 2006 n. 146) che già prevedevano l’autoriciclaggio come ipotesi delittuosa autonoma.
Va evidenziato che:
85 La fattispecie incriminatrice in esame è stata introdotta all’interno dell’ordinamento penale italiano dall’art.
3, comma 3, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;
Un esempio interessante in cui potrà trovare applicazione la nuova fattispecie incriminatrice è l’ipotesi di chi presenta una dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. n. 74/2000. In questo caso, il denaro proveniente da tale delitto è l’imposta risparmiata per effetto della condotta evasiva. Se il contribuente che ha commesso il reato (delitto non colposo) impiega tali proventi nell’ambito di attività imprenditoriali o di attività finanziarie, oltre al reato di dichiarazione infedele sarà integrato anche quello di autoriciclaggio.
L’art. 25-novies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Delitti in materia di violazione del diritto d’autore”, così recita:
Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:
dell’illecito;
concessi;
I reati presupposto introdotti dall’art 25-novies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
Tali fattispecie di reato sono previste dal Titolo II, Capo III, Sezione II – dedicata alle “Difese e sanzioni penali”
Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 171 commi 1 lett. a-bis) e 3
Salvo quanto disposto dall’art. 171-bis e dall’articolo 171-ter è punito con la multa da euro 51 a euro
2.065 chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma:
(…omissis)
a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante
connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;
(…omissis)
La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a euro 516 se i reati di cui sopra sono commessi sopra un’opera altrui non destinata alla pubblicazione, ovvero con usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera medesima, qualora ne risulti offesa all’onore od alla reputazione dell’autore.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La disposizione è volta a tutelare il diritto d’autore da abusive riproduzioni ed esecuzioni delle opere protette.
Il comma 1 lett. a-bis) dell’art. 171 è prevalentemente diretto alla tutela del diritto patrimoniale d’autore,
inteso come diritto allo sfruttamento esclusivo a fini commerciali dell’opera dell’ingegno.
Si precisa che:
La previsione di cui al comma 3 dell’art. 171 è posta a tutela dei diritti morali e personali dell’autore, ma non introduce un’ipotesi autonoma di reato bensì una circostanza aggravante di tutte le fattispecie previste al comma 1.
Ai fini del riconoscimento della responsabilità amministrativa dell’ente, la circostanza aggravante in questione, configurabile nei casi in cui la condotta sia realizzata su di “un’opera altrui non destinata alla pubblicazione”, ovvero “con usurpazione della paternità dell’opera” oppure “con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera medesima” e soltanto se dalla stessa derivi “offesa all’onore e alla reputazione dell’autore”, rileva solo se innestata sulla condotta prevista e punita dal comma 1 lett. a-bis).
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita di tipo omissivo nell’immettere tramite peer-to-peer ovvero caricare su un sito web opere dell’ingegno altrui, per esempio un articolo oppure un’opera cinematografica, senza averne diritto.
Art. 171-bis
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Le fattispecie incriminatrici sono state descritte dal legislatore in maniera analitica al fine di adeguare perennemente l’apparato normativo alla rapida evoluzione tecnologica. In tal modo, è stata apprestata una forma di tutela diffusa da condotte illecite che hanno come oggetto software o il contenuto di banche dati illegittimamente riprodotti su supporti non contrassegnati dalla SIAE.
Per quanto concerne il reato introdotto dal primo comma della norma in esame, si precisa che:
distribuzione, dalla vendita, dalla detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale, o dalla
concessione in locazione di programmi contenuti su supporti non contenenti il contrassegno della SIAE86;
o la mera detenzione di un programma contenuto su un supporto non contrassegnato non costituisce condotta illecita ai sensi della norma in esame. Ai fini della configurabilità del reato è infatti richiesto che la detenzione avvenga per scopo commerciale o imprenditoriale87;
Con riferimento al reato introdotto dal secondo comma della norma in esame si specifica che:
86 La normativa sul diritto d’autore, al fine di tutelare gli autori e gli editori di opere dell’ingegno, ha previsto che, allo scopo di garantirne e tutelarne l’originalità, tutti i supporti materiali contenenti opere dell’ingegno siano contrassegnati dal marchio della Società italiana degli autori e degli editori (SIAE). La disciplina di tale obbligo è contenuta nell’art. 181-bis della L. 633/1941, sotto riportato.
Art. 181-bis. “1. Ai sensi dell'articolo 181 e agli effetti di cui agli articoli 171-bis e 171-ter, la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) appone un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni supporto contenente suoni, voci p immagini in movimento, che reca la fissazione di opere o di parti di opere tra quelle indicate nell'articolo 1, primo comma, destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro. Analogo sistema tecnico per il controllo delle riproduzioni di cui all'articolo 68 potrà essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate.
(…omissis)”
87 . “È da escludere la responsabilità penale del legale rappresentante di uno studio associato che detiene software privi del marchio Siae. Per configurare il reato di cui all'art. 171 bis l. n. 633/41 non è sufficiente il fine di trarre profitto dall'uso del software-pirata; la detenzione di programmi senza licenza da parte del professionista non integra la fattispecie criminosa perché manca lo scopo commerciale o imprenditoriale sanzionato dalla norma incriminatrice” (Cass. Pen., sez. III, 28 ottobre 2010, n.42429).
88 Per maggiori informazioni sul contrassegno SIAE si veda supra.
deve infatti realizzare la condotta criminosa allo scopo di trarne un profitto.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riprodurre illecitamente software al fine di vendita, ma anche nel riprodurre ed utilizzare software illecitamente oppure oltre i limiti della licenza all’interno della propria organizzazione al fine di ottenere un vantaggio economico, per esempio dovuto all’immediato risparmio sul relativo costo di acquisto del software.
Art. 171-ter
f-bis) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure. Fra le misure tecnologiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti dell’autorità amministrativa o giurisdizionale;
radiotelevisiva per l’esercizio dell’attività produttiva o commerciale.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
Come per l’ipotesi di reato precedentemente analizzata, anche la descrizione delle condotte tipiche nell’art. 171-ter appare molto dettagliata e variegata: i comportamenti sanzionati concernono sia ipotesi di duplicazione e riproduzione di opere tutelate dal diritto d’autore, sia la diffusione, in senso lato, dell’opera stessa.
Le numerose condotte sanzionate si inseriscono nell’ottica di una pretesa “panpenalizzazione” che il
legislatore degli ultimi anni ha perseguito nei confronti della tutela del diritto di autore.
Per l’individuazione dell’elemento oggettivo della fattispecie in esame appare opportuno rimandare direttamente al testo normativo, che essendo molto dettagliato e variegato è già di per sé idoneo a far comprendere le numerose condotte incriminate.
La lunga disposizione tende alla tutela di una serie numerosa di opere dell’ingegno, atte a costituire volta per volta oggetto del reato in esame: opere destinate al circuito radiotelevisivo e cinematografico, incorporate in supporti di qualsiasi tipo contenenti fonogrammi e videogrammi di opere musicali, ma anche opere letterarie, scientifiche o didattiche.
A restringere l’ambito di applicabilità della disposizione, però, vi sono due requisiti: il primo è che le condotte siano poste in essere per fare un uso non personale dell’opera dell’ingegno, e il secondo è che la condotta dell’agente sia sorretta dal dolo specifico, costituito dallo scopo di lucro necessario per integrare il fatto tipico.
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel trasmettere abusivamente a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, o nel trasmettere a mezzo della radio, o nel far ascoltare in pubblico un’opera cinematografica o musicale altrui, al fine di ottenere un vantaggio economico, per esempio dovuto all’immediato risparmio derivante dall’utilizzo di opere destinate alla proiezione o utilizzo domestico.
Art. 171-septies
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La disposizione estende le pene previste dall’art. 171-ter ai produttori e agli importatori che non comunicano alla SIAE, entro trenta giorni dalla data di importazione o di immissione in commercio sul territorio nazionale, i dati necessari all’univoca identificazione dei supporti non soggetti al contrassegno di cui all’art. 181- bis lett. a) l. n. 633 del 1941, e a chiunque dichiari falsamente l’assolvimento dei predetti obblighi.
La disposizione in esame è posta a tutela delle funzioni di controllo della SIAE, in un’ottica di tutela anticipata
del diritto d’autore.
La norma in esame introduce due diverse ipotesi di reato.
Con riferimento al reato introdotto dalla lettera a) si precisa che:
territorio dello Stato supporti non soggetti all’obbligo di contrassegno SIAE89;
89 Per maggiori informazioni sul contrassegno SIAE si veda supra il paragrafo relativo all’art. 171-bis della L. 633/1941.
coscienza e volontà di non effettuare una comunicazione dovuta.
Con riferimento al reato previsto e punito dalla lettera b) della norma in esame si specifica che:
Art. 171-octies
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
La norma in commento prevede l’applicazione di sanzioni penali nei confronti di chiunque, a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza, per uso pubblico e privato, apparecchi atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato.
Si specifica che:
di visualizzare un programma televisivo criptato o di visualizzare canali a pagamento o limitati a determinati utenti;
Giova rilevare che la tutela penale dei programmi ad accesso condizionato è ripartita tra la disposizione in esame e le norme contenute nelle lettere f) e f-bis) dell’art. 171-ter. Gli eventuali problemi di coordinamento si risolvono sulla base del diverso scopo perseguito tramite la realizzazione delle condotte – fine di lucro nell’art. 171-ter e fine fraudolento nell’art. 171-octies.
(art. 25-decies)
L’art. 25 – decies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni
mendaci all’autorità giudiziaria” così recita:
la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
Il reato in commento costituiva già un presupposto per la responsabilità della persona giuridica grazie al rinvio operato dall’art. 10 della L. n. 146 del 2006, ma la rilevanza ai fini del D. Lgs. 231/01 risultava limitata ai casi il cui la condotta fosse stata realizzata in più di uno Stato o con l’implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività illecite in più Stati.
Con il recente intervento normativo, invece, tale fattispecie delittuosa implica la responsabilità dell’ente
indipendentemente dal requisito della transnazionalità.
I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – decies sono i seguenti:
all’autorità giudiziaria
Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 377-bis Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci
all’autorità giudiziaria
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti all’autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500
Si precisa che:
denaro o l’altra utilità vengono offerti e promessi;
essere non è riconducibile ad un’altra più grave figura criminosa;
A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel chiamare l’imputato, prima dell’esame testimoniale, con una telefonata nella quale questi sia minacciato di subire gravi lesioni personali se, durante la deposizione, dichiari quanto a sua conoscenza.
L’art. 25-undecies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Reati ambientali” così recita:
pecuniarie:
1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a)90.
all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a duecentocinquanta quote;
duecentocinquanta quote;
90 Il comma 1 ed il comma 1-bis dell’art. 25-undecies sono stati modificati dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68
“Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente” entrata in vigore il 29 maggio 2015.
seguenti sanzioni pecuniarie:
all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
dall’articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
I reati presupposto introdotti dall’art 25-undecies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:
C;
salute e l’incolumità pubblica;
- Cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive;
all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento doloso;
all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento colposo;
Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
La Legge 22 maggio 2015, n. 68 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” inserisce nel Codice Penale un nuovo titolo (il Titolo VI-bis) dedicato ai delitti contro l’ambiente, all’interno del quale sono previste nuove fattispecie di reato, talune delle quali confluiscono nel novero dei reati presupposto di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/01.
Art. 452-bis c.p. Inquinamento ambientale92
È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Sanzione pecuniaria: da € 64.500 a € 929.400
Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi
L’art. 452-bis c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del delitto di “inquinamento ambientale”.
La definizione di inquinamento data dall’art. 452-bis va parametrata su quella di cui all’articolo 5 del Codice dell’Ambiente (D. Lgs. 152/2006), che definisce l’inquinamento ambientale come “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”
Si specifica che:
o la “compromissione” si distingue dal “deterioramento” per la proiezione dinamica degli effetti, nel senso di una situazione tendenzialmente irrimediabile (compromessa appunto) che può perciò teoricamente ricomprendere condotte causali al tempo stesso minori o maggiori di un’azione di danneggiamento, ma che rispetto a questo abbiano un maggior contenuto di pregiudizio futuro;
91 Articolo abrogato dal D. Lgs. n. 21/2018 e sostituito dall’art. 452 quaterdecies c.p. Attività organizzate per
il traffico illecito di rifiuti.
92 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
93 Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, Settore Penale, Rel. N. III/04/2015;
Art. 452-quater c.p. Disastro ambientale94
Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è
punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Sanzione pecuniaria: da € 103.200 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi
L’art. 452-quater c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del delitto di “disastro ambientale”.
Si specifica che:
conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
434 c.p.
Art. 452-quinquies c.p. Delitti colposi contro l’ambiente96
Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale
o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.
Sanzione pecuniaria: da € 51.600 a € 774.500
Il nuovo art. 452-quinquies c.p. introduce nell’ordinamento giuridico le ipotesi in cui l’inquinamento e/o
disastro siano commessi per colpa, prevedendo una riduzione di pena sino ad un massimo di due terzi.
Il secondo comma dell’art. 452-quinquies, aggiunto dal Senato nella penultima lettura e contemplante una ulteriore diminuzione di un terzo della pena per il delitto colposo di pericolo ovvero quando dai comportamenti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater derivi il pericolo di inquinamento ambientale e disastro ambientale.
In generale, la norma sembra rispondere all’esigenza di ricomprendere analiticamente ogni condotta
potenzialmente inquinante o disastrosa, sulla scorta della Direttiva Europea sulla protezione penale
94 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente. 95 Nella formulazione della fattispecie hanno assunto un ruolo importante – come del resto enunciato in sede di lavori parlamentari – i rilievi contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 327 del 30 luglio 2008. La Corte, in tale occasione, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il principio di determinatezza della formulazione dell’art. 434 c.p. (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), la Corte ha ritenuto necessaria la compresenza di due elementi distinti, il primo dei quali attinente alla natura straordinaria dell’evento di disastro e, il secondo, al pericolo per la pubblica incolumità che da esso deve derivare.
96 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
dell’ambiente (Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008) nella misura in cui essa richiede agli Stati
l’incriminazione di quelle condotte da considerarsi “pericolose”.
Art. 452-sexies c.p. Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività97
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, ì trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività.
La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:
Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla
metà.
Sanzione pecuniaria: da € 64.500 a € 929.400
L’art. 452-sexies c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro
ordinamento giuridico del delitto di “traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività”.
Si precisa che:
Art. 452-octies c.p. Circostanze aggravanti98
Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.
Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate.
Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
Sanzione pecuniaria: da € 77.400 a € 1.549.000
Il nuovo art. 452-octies c.p. dispone: che sono aumentate le pene previste dall’art. 416 c.p. quando l’associazione è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei reati ambientali previsti dalla novella. La nuova disposizione prevede inoltre un aumento delle pene previste dall’art. 416 bis
c.p. nei casi in cui l’associazione di tipo mafioso è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal titolo VI-bis c.p. ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale. Infine, si prevedono ulteriori aumenti di pena (da un terzo alla metà) se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientali.
97 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
98 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.
L’introduzione delle circostanze aggravanti ambientali applicabili al reato di associazione a delinquere è chiaramente ispirata – in ottica politico criminale – all’intenzione di contrastare il fenomeno di quelle organizzazioni che generano profitti attraverso la criminalità ambientale.
Art. 452 quaterdecies c.p. Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti
Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 77.400 a € 774.500 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 103.200 a € 1.239.200
Sanzioni interdittive: violazione commi 1 e 2, da tre mesi a sei mesi
Interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, nel caso in cui l’ente o una sua unità organizzativa vengano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui al presente articolo
L'art. 3, D.Lgs. 1.3.2018, n. 21, in attuazione della delega contenuta all'art. 1, 85° co., lett. q, L. 23.6.2017, n. 103 sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale (su cui si rinvia al commento all'art. 3 bis), ha inserito, all'art. 452 quaterdecies, nel titolo di recente istituzione dedicato ai delitti contro l'ambiente, il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, già previsto all'art. 260, D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, che è stato contestualmente abrogato ma a cui si rimanda ai fini della descrizione del reato in parola.
La scelta di introdurre nel codice penale il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti è stata spiegata nella relazione governativa in ragione della autonomia della fattispecie e dei suoi elementi costitutivi rispetto alla disciplina amministrativa dei rifiuti contenuta nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, nonché dell'applicazione a tale delitto di molte delle norme contenute nel nuovo Titolo VI bis, in tema di ravvedimento operoso, confisca, sanzioni accessorie e ablatorie, oltre che dell'attribuzione della competenza per il delitto alla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo.
Non vi è correlazione diretta – al di là dell’utilizzo di similare terminologia – con il reato di cui all’art. 259.
Occorre precisare che:
quantitativi di rifiuti” oggetto delle attività. È stato affermato che l’espressione “ingenti quantitativi” fosse eccessivamente vaga e pertanto inidonea a circoscrivere la condotta incriminata, tuttavia la Suprema Corte ha affermato che lo scopo del legislatore fosse evitare irrigidimenti aprioristici e consentire al giudice nella sua valutazione “di tenere conto di una serie di variabili concrete quali la tipologia di rifiuti, la sua qualità e le situazioni specifiche di riferimento” (Cass. Sez. III, 308/2007);si tratta di un reato a dolo specifico, in quanto il soggetto attivo deve agire allo scopo di conseguire un profitto ingiusto, che non deve avere necessariamente natura patrimoniale, ben potendo consistere in un risparmio o in un vantaggio di altra natura.
Art. 727-bis c.p. Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a € 4.000,00, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l’ammenda fino a € 4.000,00, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 387.250
L’art. 727-bis del codice penale introduce nell’ordinamento giuridico la contravvenzione di “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”.
Si specifica che:
99 L’art. 30, co. 1 lett. b) incrimina con l’arresto da due a otto mesi o con l’ammenda da 774 a 2.065 euro chi “abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell’elenco di cui all’art. 2”.
100 L’art. 30, co. 1 lett. c) incrimina con l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da a 1.032 a 6.197
euro chi “abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo”.
essere le condotte di cattura e detenzione di esemplari di specie animali selvatiche protette o di distruzione, prelievo o detenzione di esemplari di specie vegetali selvatiche protette.
Art. 733-bis c.p. Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto
Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a € 3.000 euro.
Sanzioni pecuniarie: da € 38.700 a € 387.250
L’art. 733-bis c.p., novellato dal D. Lgs. 121/2011 introduce nel nostro ordinamento giuridico il reato di
distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto.
Si precisa che:
deterioramento;
irreversibilmente inidoneo ad ospitare le specie animali e vegetali di cui era proprio;
Il reato di danneggiamento di habitat sembra poter concorrere con quello di distruzione o deturpamento di bellezze naturali (art. 734 c.p.), avente diverso bene tutelato, sebbene tali bellezze naturali siano rilevanti nei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità.
Deve essere inoltre sottolineato che pur mancando nell’art. 733-bis c.p. la formula “luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità”, propria dell’art. 734 c.p., tutti i luoghi indicati nella prima fattispecie risultano comunque soggetti a vincolo ambientale, con conseguente necessità, per chi intenda modificarne lo stato, di munirsi di previa autorizzazione.
La nuova fattispecie interferisce con le fattispecie penali previste dall’art. 30 della L. 394/1991 (legge quadro sulle aree protette), poste a tutela dei parchi nazionali, delle riserve naturali, sia nazionali che regionali, delle aree marine protette e, secondo la giurisprudenza, anche delle zone umide, delle zone di protezione speciale, delle zone speciali di conservazione e delle altre aree naturali protette”.
L’art. 30 della L. 394/1991, al comma 1, primo periodo, prevede la sanzione penale dell’arresto fino a dodici mesi e dell’ammenda da € 103 a € 25.822 per le violazioni delle misure di salvaguardia e del preventivo rilascio del nulla osta per la realizzazione di interventi nelle aree protette; al secondo periodo prevede la sanzione dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda da € 103 a € 12.911 per la violazione del divieto a svolgere determinate attività potenzialmente offensive del patrimonio protetto, tra cui, a titolo esemplificativo la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale.
Tali fattispecie soccombono rispetto al nuovo reato di cui all’art. 733-bis c.p., il quale costituisce figura speciale, riferita a fatti dannosi e più specifici (distruzione e compromissione) rispetto a violazioni più
generiche delle misure di salvaguardia ovvero attestanti pericoli.
Anche dal punto di vista sanzionatorio la nuova fattispecie di reato è punita più severamente rispetto alle
fattispecie dell’art. 30 della L. 394/1991.
Art. 1 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio di esemplari di specie dell’allegato A
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 38.700 a € 387.250
La legge 7 febbraio 1992, n. 150101 disciplina i reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione internazionale sul commercio delle specie animali e vegetali in via d’estinzione firmata a Washington il 3 marzo 1973; la stessa legge prevede una serie di norme per la commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di mammiferi o rettili che possano costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica.
La Convenzione di Washington (identificata con l’acronimo C.I.T.E.S. - Convention on International Trade of Endangered Species) regolamenta il commercio, in termini di esportazione, riesportazione, importazione, transito, trasbordo o detenzione a qualunque scopo, di talune specie di animali e piante minacciate di estinzione, nei 130 Paesi che hanno aderito a tale Accordo.
L’Unione Europea ha recepito tale Convenzione con il Regolamento CE n.338/97 cui sono seguite, negli anni,
101 Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
significative modifiche volte a definire sempre più nel dettaglio le specie da proteggere, attraverso la loro classificazione in allegati diversificati.
Si specifica che:
o esportazione, importazione, riesportazione, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non valido;
licenza o in un certificato;
o trasporto o transito senza licenza o certificato;
appartenenti alle specie elencate nell’allegato A del Reg. CE 338/97102;
Le sanzioni previste sono quelle dell’arresto e dell’ammenda, applicabili congiuntamente in caso di recidiva; in questo ultimo caso, se il reato viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza.
Art. 2 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio degli esemplari di specie dell’allegato B ed allegato C
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: commi 1 e 2, da € 25.800 a € 387.250
Si specifica che:
o esportazione, importazione, riesportazione, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non valido;
licenza o in un certificato;
o trasporto o transito senza licenza o certificato;
verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Le sanzioni previste sono quelle, in alternativa, dell’arresto o dell’ammenda, applicabili congiuntamente in caso di recidiva; in questo ultimo caso, se il reato viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza.
Art. 3-bis L. 7 febbraio 1992, n. 150
(omissis)
L’articolo 3-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150 equipara le falsità o le alterazioni di certificati, licenze, notifiche di importazione, dichiarazioni, comunicazioni di informazioni al fine di acquisizione di una licenza o di un certificato, di uso dei certificati o licenze falsi o alterati agli illeciti previsti dal Libro II, Titolo VII, Capo III del codice penale, in materia di falsità in atti; assumono pertanto particolare rilevanza l’art. 482 c.p. (Falsità materiale commessa dal privato) l’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), l’art. 484 c.p. (Falsità in registri e notificazioni), l’art. 489 c.p. (Uso di atto falso), e l’art. 490 c.p. (Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri).
Per meglio circoscrivere l’ambito applicativo della norma in esame occorre far riferimento al testo dell’art. 16 Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro Commercio104.
Art. 6 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Divieto di detenzione di esemplari costituenti pericolo per la
salute e l’incolumità pubblica
(omissis)
(omissis)
104 Art. 16 Reg. (CE) n. 338/97. Sanzioni.
“1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti adeguati per garantire che siano irrogate sanzioni almeno per
le seguenti violazioni del presente regolamento:
(omissis)
(omissis)
(omissis)”.
Sanzioni pecuniarie: comma 4, da € 25.800 a € 387.250
L’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150 prevede, fatto salvo quanto stabilito dalle vigenti disposizioni in tema di caccia (Legge 157/92), il divieto di detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica e di esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e la pubblica incolumità.
I criteri da applicare nell’individuazione delle specie di cui al comma 1 dell’art. 6 e l’elenco di tali esemplari sono attualmente disciplinati dal Decreto Ministero dell’Ambiente 19 aprile 1996, come integrato dal Decreto Ministero dell’Ambiente 26 aprile 2001; la giurisprudenza ha sottolineato che si considera specie selvatica sia l’animale di origine selvatica che quello proveniente da nascita in cattività limitata, però, alla prima generazione; similarmente la giurisprudenza ha evidenziato che la detenzione di animali pericolosi non è consentita a prescindere da ogni valutazione sulla concreta nocività dell’animale e sulle sicure modalità della sua custodia.
La sanzione alternativa in caso di violazione è l’arresto o l’ammenda.
Art. 137 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale
(omissis)
reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma. (omissis)
a tre anni. (omissis)
autorizzazione da parte dell’autorità competente.
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13 da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11 da € 51.600 a € 464.700 Sanzioni interdittive: violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11 da tre mesi a sei mesi
L’art. 137 del D. Lgs. 152/2006 disciplina le sanzioni penali con riferimento agli scarichi di acque reflue industriali. La norma, infatti, introduce diversi tipi di illecito di natura contravvenzionale, tutti caratterizzati dal costituire violazioni di diverse prescrizioni normative in materia di smaltimento di acque reflue industriali.
Preliminarmente all’analisi dei singoli reati, occorre fornire alcune definizioni comuni a tutte le fattispecie
disciplinate dalla norma in esame:
Per quanto riguarda l’illecito previsto dal combinato disposto del comma 1 e 2 della norma in esame, si precisa
che:
già rilevanza penale ai sensi dell’art. 29-quattordecies del Codice dell’Ambiente.
Con riferimento all’ipotesi di reato prevista e punita dal terzo comma della norma in esame, si specifica che:
105 L’articolo 114 disciplina le dighe.
106 Tabella 5. Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in rete fognaria, o in tabella 4 per lo scarico sul suolo
1 Arsenico 2 Cadmio 3 Cromo totale 4 Cromo esavalente 5 Mercurio 6 Nichel 7 Piombo 8 Rame 9 Selenio 10 Zinco 11 Fenoli 12 Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti 13 Solventi organici aromatici 14 Solventi organici azotati 15 Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati) 16 Pesticidi fosforiti 17 Composti organici dello stagno 18 Sostanze classificate contemporaneamente "cancerogene" (R45) e "pericolose per l'ambiente acquatico" (R50 e 51/53) ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche.
107 Tabella 3/A - Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi; si riferisce ai specifici limiti di emissione nelle acque reflue industriali, per ciascun ciclo produttivo.
108 L’Allegato 5 si riferisce ai limiti di emissione degli scarichi idrici; in particolare sono rilevanti i paragrafi
dedicati agli scarichi di acque reflue industriali
senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni richieste dalle autorità
competenti ai sensi degli articoli 107, comma 1109 e 108, comma 4110;
industriali contenenti le sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5;
Per quanto concerne il reato di cui al comma 5 dell’art. 137, si precisa che:
Il comma 6 dell’art. 137 prevede che la stessa sanzione di cui al comma 5 sia applicata nel caso di condotta posta in essere dal gestore di impianti di depurazione delle acque reflue urbane.
Per quanto concerne la contravvenzione introdotta dal comma 11 della norma in esame:
dei divieti di scarico sul suolo previsti dall’art. 103112 e nelle acque sotterranee disposto dall’art.
109 Art. 107 (scarichi in reti fognarie):
(omissis)
110 Art. 108 (scarichi di sostanze pericolose): (omissis)
111 Tabella 4 - Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo.
112 Art. 103 (scarichi sul suolo): 1. È vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione:
Infine, con riferimento all’ipotesi di reato di cui al comma 13 dell’art. 137, occorre specificare che:
113 Art. 104 (scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) : 1. È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.
Art. 256 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
tratta di rifiuti non pericolosi;
tratta di rifiuti pericolosi.
miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 1 lettera a) e 6, primo periodo, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 1 lettera b), 3, primo periodo, e 5 da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 3, secondo periodo, da € 51.600 a € 464.700
N.B. Le indicate sanzioni pecuniarie sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dal comma 4.
Sanzioni interdittive: violazione del comma 3, secondo periodo, da tre mesi a sei mesi
Per gestione dei rifiuti si intende “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario” (art. 183, comma 1, lett. n)).
La norma in esame introduce diverse ipotesi di reato, tutte connotate da condotte configurabili come attività illecite di gestione dei rifiuti.
114 L’articolo 210 è stato abrogato dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205
Con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui al primo comma, si specifica che:
particolare in violazione degli artt. 208115, 209116, 211117, 212118, 214119, 215120 e 216121. È altresì
rilevante l’autorizzazione di cui all’art. 213122, poiché l’autorizzazione integrata ambientale
115 Articolo 208. Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
“1. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto.
[omissis]
[omissis]
[omissis]
17-bis. L'autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell'amministrazione competente al rilascio della stessa, al Catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189 attraverso il Catasto telematico e secondo gli standard concordati con ISPRA che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, dei seguenti elementi identificativi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica:
[omissis]”
116 Articolo 209. Rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale.
“1. Nel rispetto delle normative comunitarie, in sede di espletamento delle procedure previste per il rinnovo delle autorizzazioni all'esercizio di un impianto ovvero per il rinnovo dell'iscrizione all'Albo di cui all'articolo 212, le imprese che risultino registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit , che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE o certificati Uni En Iso 14001, possono sostituire tali autorizzazioni con autocertificazione resa alle autorità competenti, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
[omissis]
117 Articolo 211. Autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione.
“1. I termini di cui agli articoli 208 e 210 sono ridotti alla metà per l'autorizzazione alla realizzazione ed all'esercizio di impianti di ricerca e di sperimentazione qualora siano rispettate le seguenti condizioni:
[omissis]
118 Articolo 212. Albo nazionale gestori ambientali.
[omissis]
Detti soggetti non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e sono iscritti in un'apposita sezione dell'Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell'Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con la comunicazione l'interessato attesta sotto la sua responsabilità, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 241 del 1990: a) la sede dell'impresa, l'attività o le attività dai quali sono prodotti i rifiuti; b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti; c) gli estremi identificativi e l'idoneità tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di effettuazione del trasporto medesimo; d) l'avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro rideterminabile ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406. L'iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l'impresa è tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all'iscrizione. Le iscrizioni di cui al presente comma, effettuate entro il 14 aprile 2008 ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, dovranno essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
[omissis]
[omissis]”
119 Articolo 214 Caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate
“1. Le procedure semplificate di cui al presente capo devono garantire in ogni caso un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci ai sensi e nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 177, comma 4.
[omissis]
[omissis]
[omissis]”
120 Articolo 215 Autosmaltimento
“1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'articolo 214, commi 1, 2 e 3, e siano tenute in considerazione le migliori tecniche disponibili, le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente.
[omissis]
di rifiuti pericolosi e la discarica di rifiuti.”
121 Articolo 216 Operazioni di recupero
“1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'articolo 214, commi 1, 2 e 3, l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente. Nelle ipotesi di rifiuti elettrici ed elettronici di cui all'articolo 227, comma 1, lettera a), di veicoli fuori uso di cui all'articolo 227, comma 1, lettera c), e di impianti di coincenerimento, l'avvio delle attività è subordinato all'effettuazione di una visita preventiva, da parte della provincia competente per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della predetta comunicazione.
[omissis]
sostituisce le autorizzazioni di cui agli articoli precedenti e la comunicazione di cui all’art. 216. Si noti che la giurisprudenza ha precisato che la disposizione trova applicazione nel caso in cui il trasgressore operi nell’ambito della tipologia di rifiuto per la quale aveva ricevuto l’autorizzazione, poiché il trattamento di un rifiuto diverso da quello autorizzato equivale a trattamento di rifiuto senza autorizzazione e configura le ipotesi di reato di cui all’articolo 256, primo, secondo e terzo comma. Sono altresì rilevanti la natura personale del titolo abilitativo123, la sua validità124 e il suo ambito di efficacia125;
risultando sufficiente ai fini dell’integrazione anche un singolo episodio di gestione non autorizzata.
fissano i limiti di emissione in relazione alle attività di recupero degli stessi, l'autorizzazione di cui all'art. 269 in caso di modifica sostanziale dell'impianto, 7. Le disposizioni semplificate del presente art. non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione:
[omissis]”
122 Articolo 213. Autorizzazioni integrate ambientali.
“1. Le autorizzazioni integrate ambientali rilasciate ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59,
sostituiscono ad ogni effetto, secondo le modalità ivi previste:
123 Per esempio necessità di un nuovo titolo per trasformazione da società di persone a società di capitali
124 Configurabilità di reato in caso di attività svolta con autorizzazione scaduta.
125 Esercizio dell’attività in luogo diverso da quello autorizzato
126 Si riporta di seguito la classificazione dei rifiuti pericolosi operata dall’all. I alla parte IV del D. Lgs.
152/2006:
Per quanto concerne il reato previsto e punito dal terzo comma della norma in esame, si specifica che:
la discarica sia destinata al deposito di rifiuti pericolosi127;
Con riferimento al reato di cui al comma 4, si precisa che:
esempio a un prodotto di lisciviazione avente una delle caratteristiche sopra elencate.”
127 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
Con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 5, si precisa che:
In riferimento al sesto comma della norma in esame, si specifica che:
128 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
129 Art. 187 D. Lgs. 152/2006:
“1. È vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi
con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.
130 Art. 183 lett. bb) D. Lgs. 152/2006:
“1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva, esula da quella di gestione dei rifiuti, costituendone un’operazione preliminare e preparatoria. Il D.P.R. 254/03, tuttavia, nel disciplinare la gestione dei rifiuti sanitari, stabilisce, tra l’altro, disposizioni particolari per il deposito temporaneo di essi e proprio la violazione di tali norme implica la commissione del reato in esame;
Art. 257 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Bonifica dei siti
€ 26.000,00.
Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 1, da € 25.800 a € 387.250
Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 2, da € 38.700 a € 387.250
La norma in esame introduce il reato di omessa bonifica di sito inquinato. Si precisa che:
configurazione del reato è, anche in questo caso, la colpa;
provocato da sostanze pericolose.
Art. 258 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari
(omissis)
trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da € 260,00 a € 1.550,00. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui al comma 4 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonché nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 190, comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193 da parte dei soggetti obbligati.
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: violazione secondo periodo, da € 38.700 a € 387.250
Il secondo periodo del quarto comma dell’art. 258 si applica nell’ipotesi in cui un’impresa non aderisca su base volontaria al sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) ed incrimina la condotta di colui che, nel provvedere alla compilazione di un certificato di analisi di rifiuti131, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e di colui che fa uso di un certificato falso durante il trasporto.
Vengono individuate due distinte fattispecie di reato, la prima ricollegabile ai delitti di falsità ideologica in atti, giacché consistente nella predisposizione di un certificato formalmente valido, ma contenente informazioni non veritiere, e la seconda allo schema del delitto di uso di atto falso. Tali fattispecie si pongono in rapporto di specialità per materia rispetto ai delitti previsti e puniti dagli artt. 483 e 489 c.p., e sono entrambe punite con la pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.132.
La norma in esame circoscrive l’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice ai casi in cui il certificato di analisi dei rifiuti abbia ad oggetto rifiuti non pericolosi133.
131 Il certificato di analisi dei rifiuti è un documento contenente la caratterizzazione analitica del rifiuto prima che venga trasportato e smaltito/recuperato. È obbligatorio solo in alcuni casi tassativi:
132 Art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.
133 La Suprema Corte ha recentemente evidenziato che “deve rilevarsi che il testo del D. Lgs. 3 aprile 2006,
c.p. in caso di trasporto di rifiuti pericolosi".
Il nuovo reato introdotto da questa disposizione, pertanto, riguarda il trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato dalla copia cartacea della scheda Sistri, e non quello non accompagnato dal formulario di cui all'art. 193 o con un formulario con dati incompleti o inesatti.” (Cass. Sez. III, n. 29973/11).
Sembra pertanto potersi evincere dalle motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione che attualmente vi sia
un vuoto normativo e che la falsità ideologica in certificato di analisi di rifiuti e l’uso di certificato di analisi
Deve evidenziarsi tuttavia che il secondo periodo del comma 5 della norma in esame prevede che, nel caso in cui le indicazioni di cui al comma 4 siano formalmente incomplete o inesatte ma contengano tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, non si integra il delitto di cui al comma 4 secondo periodo, ma il responsabile è soggetto esclusivamente a sanzione amministrativa e pertanto la condotta non è rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Art. 259 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Traffico illecito di rifiuti
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: da € 38.700 a € 387.250
In seguito all’abrogazione del Reg. (CEE) 259/1993, operata dal Reg. (CE) 1013/2006, non è facile chiarire l’effettiva portata della norma in esame.
In teoria, dovrebbe ritenersi che, in seguito all’abrogazione, il Reg. (CEE) 259/1993 non possa più costituire riferimento normativo e che pertanto l’art. 259, che a tale regolamento in toto rimanda, sia destinato a rimanere lettera morta. Tuttavia, il recente inserimento della norma in esame nell’elenco dei reati presupposto per l’applicazione del D. Lgs. 231/01, può far pensare che il mancato adeguamento del testo dell’art. 259 alla intervenuta riforma di diritto comunitario sia dovuto esclusivamente ad una svista del Legislatore nostrano e non ad un abbandono da parte di quest’ultimo dell’intento persecutorio nei confronti di chi infranga la normativa sulle spedizioni di rifiuti.
Purtroppo non si registrano a tutt’oggi interventi giurisprudenziali in grado di dirimere in alcun modo la questione. Allo scopo di garantire una miglior tutela della Società, si sceglie pertanto di analizzare la norma in esame alla luce del disposto del Reg. (CE) 1013/2006 abrogativo del Reg. (CEE) 259/1993 e attualmente vigente in materia di spedizioni di rifiuti.
Per chiarire la portata della norma in esame e per meglio circoscrivere la condotta incriminata occorre fare riferimento alla definizione di “spedizione illegale” contenuta nell’art. 2, n. 35) del Regolamento (CE) 1013/06135, che a far data dal 12 luglio 2007 sostituisce la definizione di “traffico illecito di rifiuti” di cui all’art. 26 del Regolamento 259/1993 abrogato.
Ai fini del citato regolamento si intende per "spedizione illegale" “qualsiasi spedizione di rifiuti effettuata:
dichiarazioni o frodi; o
falso non siano perseguibili a norma né dell’art. 258 né dell’art. 260-bis qualora commessi in riferimento a
rifiuti pericolosi nell’ambito di un’impresa non iscritta al SISTRI.
134 Il Regolamento citato è stato abrogato dall’art. 61 del Regolamento 1013/2006, e la nozione cui si fa riferimento è quella definita spedizione illegale prevista dall’art. 2, punto 35 del Reg. 1013/06.
135 Il Regolamento (CE) 1013/06 si applica, in base all’art. 1, alle spedizioni di rifiuti:
136 Articoli inerenti a divieti di esportazione o importazione e in particolare:
Art.34. Divieto di esportazione ad eccezione delle esportazioni dirette ai paesi EFTA; Art.36. Divieto di esportazione verso paesi ai quali non si applica la decisione OCSE; Art.39. Divieto di esportazioni verso l'Antartico; Art.40. Divieto di esportazioni verso i paesi o territori d'oltremare; Art.41. Divieto di importazioni di rifiuti destinati allo smaltimento ad eccezione di quelle provenienti da paesi aderenti alla convenzione di
che:
cui all’allegato VII”.
La contravvenzione di traffico illecito di rifiuti punisce la condotta di chi effettua una spedizione di rifiuti ricompresa nell’elenco delle ipotesi descritte come spedizione illegale o chi effettui una spedizione di rifiuti del tipo di quelli elencati nell’Allegato III138 al Reg. 1013/2007, in violazione delle norme previste per le spedizioni di rifiuti destinati unicamente al recupero.
Si richiede ai fini dell’integrazione del reato di traffico illecito, anche alla luce dell’impiego del termine “traffico”, che l’attività di spedizione illegale sia posta in essere in modo organizzato e continuativo.
Anche in questo caso si prevede un’ipotesi aggravata qualora l’attività di traffico abbia ad oggetto rifiuti
pericolosi139.
Art. 260-bis D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti
(omissis)
amministrativa pecuniaria da € 260,00 ad € 1.550,00.
(omissis)
Sanzioni pecuniarie: commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8 primo periodo da € 38.700 a € 387.250
Sanzioni pecuniarie: comma 8 secondo periodo da € 51.600 a € 464.700
L’art. 260-bis è stato introdotto all’interno del Codice dell’ambiente dall’art. 36 del D. Lgs. 205/2010 di
attuazione della direttiva 2008/98/CEE, che ha introdotto nel nostro ordinamento il sistema di tracciabilità
Basilea o da paesi con i quali è in vigore un accordo o da altri territori in situazione di crisi o in caso di guerra; Art.43. Divieto di importazioni di rifiuti destinati al recupero ad eccezione di quelle provenienti da paesi cui si applica la decisione OCSE, da paesi aderenti alla convenzione di Basilea o da paesi con i quali è in vigore un accordo o da altri territori in situazione di crisi o in caso di guerra.
137 Relativo ai rifiuti destinati alle analisi di laboratorio.
138 Nella sostanza l’Allegato III al Reg. 1013/2007 ha sostituito l’elencazione di cui all’Allegato II al Reg. 259/1993 e precisamente: Rifiuti contenenti metalli provenienti dalla fusione e raffinazione di metalli, Rifiuti di vetro in forma non dispersibile, Rifiuti ceramici in forma non dispersibile, Rifiuti contenenti prevalentemente composti inorganici, che possono a loro volta contenere metalli e composti organici, Rifiuti derivati da operazioni di conciatura e dall'utilizzo del cuoio.
139 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
dei rifiuti (SISTRI) di cui all’art. 183-bis e ss. D. Lgs. 152/2006.
Il sesto comma e il terzo periodo del settimo comma della norma in esame introducono fattispecie criminose analoghe in tutto e per tutto a quelle di cui all’art. 258 comma 4 D. Lgs. 152/2006, da cui si differenziano esclusivamente per ambito applicativo. Ed in effetti mentre i reati previsti dal secondo periodo del quarto comma dell’art. 258 si applicano nell’ipotesi in cui un’impresa non aderisca su base volontaria al sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), gli illeciti previsti dal comma 6 e dal terzo periodo del comma 7 dell’art. 260- bis ricorrono invece proprio nei casi in cui vige il sistema di controllo dei rifiuti.
Le condotte incriminate cui ci si riferisce sono quelle di colui che, nel provvedere alla compilazione di un certificato di analisi di rifiuti140, utilizzato nell’ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e di colui che inserisce di un certificato falso nei dati da fornire per la tracciabilità dei rifiuti stessi, e quella di colui che, nel corso delle operazioni di trasporto fa uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati.
Anche in questo caso le prime due tipologie di condotta sono riconducibili ai delitti di falsità ideologica in atti, giacché consistenti nella predisposizione di un certificato formalmente valido, ma contenente informazioni non veritiere, mentre l’ultima ipotesi rientra nello schema del delitto di uso di atto falso. In tutte e tre le ipotesi citate il responsabile è soggetto alla pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.141.
Deve evidenziarsi tuttavia che il comma 9 della norma in esame prevede che, nel caso in cui l’utilizzo di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni durante le operazioni di trasporto non pregiudichi la tracciabilità dei rifiuti stessi, non si integra il delitto di cui al comma 7 terzo periodo, ma il responsabile è soggetto esclusivamente a sanzione amministrativa e pertanto in tal caso la condotta non è rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Il combinato disposto del primo e secondo periodo del settimo comma, introduce invece il delitto di omesso accompagnamento del trasporto dei rifiuti pericolosi142 con la copia cartacea della scheda SISTRI “area movimentazione” e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti.
Il delitto in questione è integrato solo allorquando il trasporto in assenza della documentazione prevista riguardi rifiuti pericolosi143. Qualora manchi il requisito della pericolosità del rifiuto si applica una sanzione amministrativa e l’illecito non è in tal caso rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001 non rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Ai fini dell’integrazione del reato occorre inoltre che l’assenza di documentazione pregiudichi la tracciabilità
dei rifiuti, in caso contrario la condotta darà luogo a illecito amministrativo, come previsto dal comma 9.
Il soggetto attivo è soggetto alla pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.
Il comma 8 della norma in esame punisce la condotta del trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti
con una copia cartacea della scheda SISTRI “area movimentazione” fraudolentemente alterata.
Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso soltanto dal soggetto incaricato del trasporto.
Ai fini dell’integrazione del delitto in esame si richiede inoltre che la copia cartacea della scheda SISTRI sia
stata alterata in modo fraudolento.
La pena prevista per questo tipo di reato varia a seconda che il soggetto agente ricopra o meno la qualifica di pubblico ufficiale. In caso affermativo il pubblico ufficiale soggiace alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni, in caso contrario si applica al privato la stessa pena ridotta di un terzo, come previsto dal combinato disposto degli artt. 477 e 482 c.p. richiamati dalla norma144.
140 Per la definizione di certificato di analisi dei rifiuti si veda il commento all’art. 258, supra.
141 Art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.
142 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
143 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
144 Art. 477 Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative. “Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Il secondo periodo del comma 8 prevede un’ipotesi aggravata per il caso in cui i rifiuti oggetto del trasporto
siano pericolosi145.
Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125, come modificato
dal D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11, ha disposto (con l’art. 11, comma 3-bis) che "fino al 31 dicembre 2015 al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati nonché l’applicazione delle altre semplificazioni e le opportune modifiche normative continuano ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi di cui agli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, nonché le relative sanzioni. Durante detto periodo, le sanzioni relative al SISTRI di cui agli articoli 260-bis, commi da 3 a 9, e 260-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, non si applicano. Le sanzioni relative al SISTRI di cui all’articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si applicano a decorrere dal 1 aprile 2015".
Art. 279 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sanzioni
(omissis)
(omissis)
(omissis).
Sanzioni pecuniarie: comma 5, da € 25.800 a € 387.250
Preliminarmente all’analisi delle fattispecie criminose previste e punite dalla norma in esame, occorre chiarire che la normativa sulla prevenzione e limitazione di emissioni in atmosfera di impianti e attività, di cui al Titolo I della Parte V del D. Lgs. 152/2006, a cui la norma in esame è riconducibile, “si applica agli impianti, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal titolo II, ed alle attività che producono emissioni in atmosfera e stabilisce i valori di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni ed i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite” (art. 267 comma 1).
Per emissione, ai fini dell’applicazione della normativa in esame, si intende “qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico146” (art. 268, comma 1, lett. b))
Per impianto, ai fini dell’applicazione della normativa in esame, si intende “il dispositivo o il sistema o l’insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo produttivo più ampio” (art. 268, comma 1, lett. l)).
Presupposto degli illeciti introdotti dall’art. 279 è dunque l’esistenza di un impianto che dia luogo ad una concreta attività di produzione delle emissioni, non essendo sufficiente la sola potenziale idoneità a produrre emissioni atmosferiche.
La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 279 comma 2 sanziona “chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola
Art. 482 Falsità materiale commessa dal privato. “Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell'esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”.
145 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra
146 Inquinamento atmosferico è definito “ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente” (art. 268 comma 1 lett. a))
i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I147, II148, III149 o V150 alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente”.
Si specifica tuttavia che ai sensi del D. Lgs. 231/2001 è rilevante solamente l’ipotesi aggravata prevista dal quinto comma della norma in esame. Occorre dunque, perché si configuri la responsabilità amministrativa della società, che il superamento dei valori limite di emissione determini anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.
Si precisa che:
o l’obbligo di procedere al ripristino funzionale dell’impianto nel più breve tempo possibile e di sospendere l’esercizio dell’impianto se l’anomalia o il guasto può determinare un pericolo per la salute umana;
controlli di competenza del gestore entro 24 ore dall’accertamento.
configurazione del reato è la colpa.
Art. 3 L. del 28 dicembre 1993, n. 549 - Misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente Cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive
147 ALLEGATO I. Valori di emissione e prescrizioni.
148 ALLEGATO II. Grandi impianti di combustione.
149 ALLEGATO III. Emissioni di composti organici volatili.
150 ALLEGATO V. Polveri e sostanze organiche liquide.
regolamento (CE) n. 3093/94, comporta la sostituzione dei termini indicati nella presente legge ed il contestuale adeguamento ai nuovi termini.
La legge n. 549/93 introduce nel nostro ordinamento misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente. Il reato introdotto dal comma 6 della norma in esame ha come obiettivo sanzionare penalmente i comportamenti in contrasto con il programma di cessazione e riduzione dell’impiego di sostanze lesive previsto dalla norma.
Occorre innanzitutto precisare che si considerano sostanze lesive per l’ozono stratosferico, ai sensi del
presente articolo, le sostanze elencate nelle tabelle A151 e B152 allegate alla l. 549/1993.
In particolare le violazioni penalmente rilevanti ai sensi della norma in esame sono l’autorizzazione di impianti che prevedono l’utilizzo delle sostanze elencate nella tabella A (fatto salvo quanto previsto dal Reg. (CE) n. 2037/00153) e la produzione, utilizzazione, commercializzazione, importazione ed esportazione delle sostanze elencate nelle tabelle A e B (fatte salve le sostanze, le lavorazioni e le produzioni non comprese nel campo di applicazione del Reg. (CE) n. 2037/00).
Il reato è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda fino al triplo del valore delle sostanze lesive.
Art. 8 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa
all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento doloso:
Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 51.600 a € 464.700
Sanzioni interdittive: violazione commi 1 e 2, da tre mesi a sei mesi
Interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, nel caso in cui l’ente o una sua unità organizzativa vengano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui al presente articolo.
La norma in esame sanziona penalmente la violazione del divieto di versare in mare sostanze inquinanti, quali idrocarburi e altre sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa154, o causare lo sversamento di dette
151 La tabella A, elencante le sostanze lesive dell’ozono stratosferico, comprende CFC, Halons, tricloroetano e
tetracloruro di carbonio.
152 La Tabella B, elencante le sostanze sottoposte al regime di controllo previste dalla legge, comprende cloruro di metile, bromuro di metile, HCFC e HBFC.
153 Regolamento in materia di dismissione dei refrigeranti HCFC, che ha abrogato il Reg. (CE) 3093/94 originariamente citato dalla norma.
sostanze.
A norma dell’art. 3 del D. Lgs. 202/07, il divieto citato, previsto dall’art. 4 del medesimo decreto, si applica
al di fuori dei casi consentiti155:
Soggiacciono a tale divieto le navi battenti qualsiasi bandiera, ad eccezione delle navi militari da guerra o ausiliarie e delle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali.
L’art. 8 introduce un reato proprio che può essere commesso esclusivamente dal Comandante di una nave, eventualmente in concorso con altri soggetti espressamente individuati (membri dell’equipaggio, proprietario della nave, armatore).
La contravvenzione al divieto di sversamento è punita a titolo di dolo, occorre pertanto che il soggetto attivo agisca con piena consapevolezza e volontà di rilasciare in mare sostanze che egli sa essere inquinanti.
Si sottolinea che la contravvenzione prevista dalla norma in esame si applica soltanto nei casi in cui non risulti integrato un reato di maggiore gravità.
Il secondo comma della norma in esame prevede un’ipotesi aggravata per i casi in cui dallo sversamento
consegua un danno ambientale di rilevante entità.
Art. 9 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa
all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento colposo:
Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni interdittive: violazione comma 2, da tre mesi a sei mesi
La norma in esame sanziona penalmente la violazione del divieto di sversamento previsto dall’art. 4 D. Lgs.
202/07 che sia posta in essere a titolo colposo.
La condotta incriminata è la stessa sanzionata dall’art. 8 D. Lgs. 202/07 all’analisi del quale si rinvia per la
definizione dell’elemento oggettivo del reato.
Ciò che muta, in questo caso è l’elemento psicologico sottostante alla condotta del soggetto agente richiesto ai fini dell’integrazione dell’illecito penale. Non occorre in questo caso che vi siano consapevolezza e volontà
155 Art. 5 D. Lgs del 6 novembre 2007, n. 202. Deroghe: “1. Lo scarico di sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), in una delle aree di cui all'articolo 3, comma 1, è consentito se effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'allegato I, norme 15, 34, 4.1 o 4.3 o all'allegato II, norme 13, 3.1 o 3.3 della Convenzione Marpol 73/78.
di rilasciare sostanze inquinanti, essendo sufficiente che lo sversamento si verifichi a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Anche in questo caso la contravvenzione prevista dalla norma in esame si applica soltanto nei casi in cui non risulti integrato un reato di maggiore gravità.
Al secondo comma è prevista un’ipotesi aggravata per i casi in cui dallo sversamento consegua un danno
ambientale di rilevante entità.
L’art. 25-duodecies del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, così recita:
25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di
150.000 euro.
1-bis. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
1-ter. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote.
1-quater. Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano
le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.
La norma è stata inserita all’interno del D. Lgs. 231/2001 in seguito all’adozione del D. Lgs. 16 luglio 2012,
I reati presupposto introdotti dall’art. 25–duodecies sono i seguenti:
Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.
Art. 22 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato
(omissis)
12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà:
cui al terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale. (omissis)
L’art. 2 (“Disposizioni sanzionatorie”) del D. Lgs. 109/2012 introduce nel D. Lgs. 231/01 l’art. 25 duodecies (“Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”): in tal modo, il datore di lavoro che impieghi immigrati irregolari verrà punito ai sensi della disciplina penale, mentre l’ente sarà autonomamente soggetto (nell’ipotesi di cui al comma 12 bis) ad una sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, con un massimale di € 150.000.
Sanzione pecuniaria: da 100 a 200 quote, entro il limite di € 150.000
L’art. 22 del D. Lgs. 286/1998 disciplina le modalità con cui può instaurarsi un rapporto di lavoro
subordinato a tempo determinato o indeterminato che coinvolga prestatori di lavoro stranieri156.
156 Art. 22 D Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 - Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato
“1. In ogni provincia è istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato.
5-bis. Il nulla osta al lavoro è rifiutato se il datore di lavoro risulti condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per:
«Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari», da condividere con altre amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avviene in base a convenzione tra le amministrazioni interessate. Le stesse informazioni sono trasmesse, in via telematica, a cura delle questure, all'ufficio finanziario competente che provvede all'attribuzione del codice fiscale.
La norma in esame impone determinati requisiti e iter procedurali che devono essere rispettati ai fini della legittimità del rapporto di lavoro. In particolare vengono delineate le modalità di rilascio del permesso di soggiorno concesso per motivi lavorativi e gli obblighi a cui il datore di lavoro ed il lavoratore sono tenuti ad adempiere.
Il comma 12 della norma in esame introduce una fattispecie delittuosa volta a sanzionare il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze un cittadino straniero irregolarmente presente sul territorio dello Stato.
Si precisa che:
12-ter. Con la sentenza di condanna il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria del pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente.
12-quater. Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6.
autonome di Trento e di Bolzano ai sensi degli statuti e delle relative norme di attuazione”.
157 Cass. Pen., sez I, 18 maggio 2011, n. 25615.
158 Cass. Pen., sez. I, 3 aprile 2012, n. 19201 (nel caso di specie è stato ritenuto colpevole del reato in esame il gestore di fatto di un esercizio commerciale, formalmente intestato ad altri, che occupava alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario in posizione irregolare).
non coincide strettamente con quello di “imprenditore”, ma ricomprende chiunque assuma o occupi alle proprie dipendenze una persona per svolgere attività lavorativa subordinata e, quindi, sia il soggetto che materialmente provvede all’assunzione sia il soggetto nel cui interesse e sotto la cui direzione si svolga la prestazione lavorativa;
La fattispecie delittuosa in esame, ai sensi di quanto previsto dall’art. 25-duodecies del D. Lgs. 231/2001, può dar luogo alla responsabilità amministrativa dell’ente solamente nei casi in cui la stessa sia integrata in una delle ipotesi aggravate previste dal comma 12-bis della norma stessa. Ovverosia nei soli casi in cui:
Cass. Pen., sez I, 18 maggio 2011, n. 25615.
Trib. Nocera Inferiore, 03 ottobre 2011, n. 1414.
159 Cass. Pen., sez. fer., 04 settembre 2008, n. 38079.
160 Articolo 45 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 39 del TCE).
“1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata.
Art. 12, co. 3, co. 3-bis, co. 3-ter, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Trasporto di stranieri nel territorio dello Stato
3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.
3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto.
Sanzione pecuniaria: da 400 quote (€ 103.200) a 1000 quote (€ 1.549.000)
Sanzione interdittiva: da 12 a 24 mesi
Art. 12, co. 5, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Favoreggiamento della permanenza illegale nel territorio dello Stato
Sanzione pecuniaria: da 100 quote (€25.800) a 200 quote (€309.800)
Sanzione interdittiva: da 12 a 24 mesi
Con l’entrata in vigore dell’art. 30, comma 4, della L. 161/2017161, all’unico comma dell’art. 12, sono stati aggiunti tre ulteriori commi (1-bis, 1-ter e 1-quater), volti a sanzionare alcune condotte di immigrazione clandestina.
In particolare, viene prevista una sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote per gli enti, nel cui interesse o vantaggio venga promosso, diretto, organizzato, finanziato o effettuato il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, ovvero compiuti altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato italiano o di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente (art. 12 commi, 3, 3-bis, 3-ter, D. Lgs. 286/1998).
La responsabilità dell’ente, così come quella della persona fisica, sorge, tuttavia, solo laddove si verifichi, alternativamente, uno degli ulteriori presupposti di gravità previsti dall’art. 12 comma 3 del D. Lgs. 286/1998: il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; il fatto è commesso da tre o più persone in
161 La legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”, pubblicata in G.U. serie generale n. 258 del 4 novembre 2017, ha modificato l’art. 25-duodecies (“Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”), sanzionando nuove condotte di immigrazione clandestina ed introducendo ulteriori sanzioni interdittive per l’ente.
concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
La sanzione pecuniaria per l’ente sarà, invece, compresa tra 100 e 200 quote, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, se viene favorita la permanenza di clandestini nel territorio dello Stato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività sopra descritte (art. 12, co. 5, D. Lgs. 286/1998).
In entrambi casi è prevista, anche, l’applicazione delle sanzioni interdittive elencate dall’art. 9, co., 2 del D. Lgs. 231/2001 per una durata non inferiore a un anno. Si tratta: dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e dell’eventuale revoca di quelli già concessi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi.
L’art. 25-terdecies162 del D. Lgs. 231/01, rubricato “Razzismo e xenofobia” così recita:
legislativo 1 marzo 2018 n. 21), si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote.
Il reato presupposto introdotto dall’art. 25-terdecies del D. Lgs. 231/01 è il seguente:
Il delitto in commento punisce i partecipanti di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i
propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Il primo comma dell’articolo 25-terdecies prevede che, in caso di commissione dei reati di cui sopra, all’ente sia irrogata la sanzione pecuniaria da 200 (€ 51.600) a 800 quote. (€ 1.239.000). Alla sanzione pecuniaria, si aggiungono poi le sanzioni interdittive, ossia:
dell’illecito,
concessi,
All’ultimo comma, la nuova disposizione prevede, come ipotesi aggravata, che laddove l’ente o la sua organizzazione siano stabilmente utilizzati allo scopo, unico o prevalente, di consentire o agevolare la commissione dei delitti di cui sopra si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
604 bis. Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa
162 La legge 25 ottobre 2017, n. 163, recante “Delega al governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2016 - 2017”, pubblicata in G.U. serie generale n. 259 del 6 novembre 2017, ha inserito, all’interno del D. Lgs. 231/2001, il nuovo art. 25- terdecies, rubricato “Razzismo e xenofobia”. Il predetto articolo è stato, altresì, modificato dal D. Lgs. n. 21/2018.
fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
L'art. 2, D. Lgs. 1.3.2018, n. 21, in attuazione della delega contenuta all'art. 1, 85° co., lett. q, L. 23.6.2017,
L’art. 25-quaterdecies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Razzismo e xenofobia” così recita:
Per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote (€ 129.000)
Per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote (€ 402.704)
le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2163, per una durata non inferiore a un anno”. I reati presupposto introdotti sono i seguenti:
Art. 1 L. 13 dicembre 1989, n. 401, Frode in competizioni sportive
163a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa.
L’interesse giuridico tutelato è quello della certezza, della regolarità delle competizioni sportive e la genuinità dei loro risultati.
Per quanto riguarda la condotta, questa può consistere nell’offrire o promettere denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti alla competizione ovvero nel compiere altri atti fraudolenti, sempre finalizzati all’alterazione del regolare esito della competizione.
Discorso differente deve essere fatto invece per l’ipotesi contemplata dal comma 2, individuabile quale
autonoma fattispecie, nonostante l’equiparazione quod poenam.
Questa differenza strutturale si ripercuote sulla individuazione dei soggetti attivi. Pertanto, mentre al 1° comma il soggetto attivo è “chiunque”, al 2° comma soggetto attivo è il “partecipante alla competizione”: nel primo caso il reato è di tipo comune, nel secondo di tipo proprio.
Art. 4 L. 13 dicembre 1989, n. 401, Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa