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Modello Organizzativo

BOING S.p.A.


MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO AI SENSI DEL D. LGS. 231/2001


 INDICE


1.       Il D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231


1.1        La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni 


1.2        La tipologia dei reati e degli illeciti amministrativi


1.3.   I modelli di organizzazione, gestione e controllo


2.           Il modello di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. 231/2001 di BOING SpA


2.1        Caratteri generali del Modello


2.2        Il Codice Etico della Società e gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione


2.3        Il processo di adeguamento del Modello: finalità e metodologia


2.4        Le “aree di attività a rischio reato”


2.5        Le procedure riferibili al Modello


2.6        Whistleblowing


2.7        Il sistema sanzionatorio


2.8        L’Organismo di Vigilanza


2.9        Informazione e formazione


ALLEGATO A - DECRETO LEGISLATIVO 8 GIUGNO 2001, N. 231


ALLEGATO B - REATI PRESUPPOSTO


1.1        Reati contro la Pubblica Amministrazione (artt. 24 e 25)


1.2        Delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24-bis)


1.3        Delitti di criminalità organizzata (art. 24-ter)


1.4        Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (art. 25-bis)


1.5        Delitti contro l’industria e il commercio (art. 25-bis.1)


1.6        Reati societari (art. 25-ter)


1.7        Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25-quater)


1.8        Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1)


1.9        Delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies)


1.10          Abusi di mercato


1.11          Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25-septies)


1.12          Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (art. 25-octies)


1.13          Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (art. 25-novies)


1.14          Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 25-decies)


1.15          Reati ambientali (art. 25-undecies)


1.16          Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 –duodecies)


1.17          Razzismo e xenofobia (art. 25-terdecies)


1.18          Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (art. 25- quaterdecies)


1.19          Reati tributari


1.20          Reati transnazionali (art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146)


ALLEGATO C – ANALISI PRELIMINARE


ALLEGATO D


1.    Il D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231


 



  • La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni


In data 8 giugno 2001 è stato emanato - in esecuzione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300 - il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” (di seguito “Decreto” o “D. Lgs. 231/2001”), entrato in vigore il 4 luglio successivo, che ha inteso adeguare la normativa italiana in materia di responsabilità delle persone giuridiche ad alcune Convenzioni internazionali cui l’Italia aveva precedentemente aderito, quali la Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 (sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea), la Convenzione di Bruxelles del 26 maggio 1997 (sulla lotta alla corruzione che coinvolga funzionari della Comunità Europea o degli Stati membri) e la Convenzione OCSE del 17 dicembre 1997 (sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche ed internazionali).


Con il D. Lgs. 231/01 è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento un regime di responsabilità amministrativa – riferibile sostanzialmente alla responsabilità penale – a carico degli enti per alcune fattispecie criminose commesse, nell’interesse o a vantaggio degli stessi, da:



  • persone fisiche che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione degli enti stessi o di una loro unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo degli enti medesimi (c.d. soggetti “apicali”);

  • persone fisiche sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra


Qualora l’autore dell’illecito rientri tra i soggetti apicali è stabilita una presunzione di responsabilità, in considerazione del fatto che tale persona fisica esprime, rappresenta e realizza la politica gestionale dell’ente. Non vi è, invece, alcuna presunzione di responsabilità a carico dell’ente nel caso in cui l’autore dell’illecito rientri tra i soggetti di cui al punto (ii), poiché in tal caso il fatto illecito del soggetto sottoposto comporta la responsabilità dell’ente solo se risulta che la sua commissione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.


La responsabilità dell’ente è aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito, che, pertanto, resta regolata dal diritto penale comune. In ogni caso la responsabilità dell’ente e quella della persona fisica che ha materialmente commesso il resto sono entrambe oggetto di accertamento nel corso del medesimo procedimento innanzi al Giudice penale. Inoltre, la responsabilità dell’ente permane anche nel caso in cui la persona fisica autrice del reato non sia identificata o non risulti punibile.


* * *


La responsabilità introdotta dal D. Lgs. 231/01 sorge soltanto nelle ipotesi in cui la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente: dunque, non soltanto allorchè il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, all’ente, bensì anche nell’ipotesi in cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto illecito trovi ragione nell’interesse dell’ente. Non è, invece, configurabile una responsabilità dell’ente nel caso in cui l’autore del reato o dell’illecito amministrativo abbia agito nell’esclusivo interesse proprio di terzi.


L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nella repressione di alcuni illeciti penali il patrimonio degli enti (e, in definitiva, gli interessi economici dei soci) che abbiano tratto vantaggio dalla commissione del reato o nel cui interesse il reato sia stato commesso. Fino all’entrata in vigore del D. Lgs. 231/01, infatti, il principio della “personalità” della responsabilità penale lasciava gli enti indenni da conseguenze sanzionatorie, diverse dall’eventuale risarcimento del danno, se ed in quanto esistente. Con il Decreto, invece, sono previste sanzioni per quell’ente che non si sia organizzato per evitare fenomeni criminosi al proprio interno, quando dei soggetti funzionalmente riferibili allo stesso abbiano commesso taluno dei reati previsti dal Decreto stesso.


Il D. Lgs. 231/01 ha inteso costruire un modello di responsabilità dell’ente conforme a principi garantistici, ma con funzione preventiva: di fatto, attraverso la previsione di una responsabilità da fatto illecito direttamente in capo alla società, si vuole, infatti, sollecitare quest’ultima ad organizzare le proprie strutture ed attività in modo da assicurare adeguate condizioni di salvaguardia degli interessi penalmente protetti.


Il Decreto si applica in relazione sia a reati commessi in Italia sia a quelli commessi all’estero, purché (i) l’ente abbia nel territorio dello Stato italiano la sede principale (cioè la sede effettiva ove si svolgono le attività amministrative e di direzione) ovvero il luogo in cui viene svolta l’attività in modo continuativo, ovvero (ii) nei confronti dello stesso non proceda direttamente lo Stato del luogo in cui è stato commesso il reato.


Sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi nel tempo, tra gli enti destinatari del Decreto, oltre a quelli specificatamente indicati (“gli enti forniti di personalità giuridica, le società fornite di personalità giuridica e le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica” e con esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici nonché degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) rientrano anche le società di diritto privato che esercitino un pubblico servizio (ad es. attraverso un rapporto concessorio) e società controllate da pubbliche amministrazioni.


* * *


L’accertamento della responsabilità prevista dal D. Lgs. 231/01 espone l’ente a diverse tipologie di sanzioni.


Le sanzioni comminabili all’ente sono sia di tipo pecuniario sia di tipo interdittivo: tra queste ultime le più gravi sono la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione (salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio), l’interdizione dall’esercizio dell’attività, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi.


Le sanzioni pecuniarie si applicano ogni qual volta l’ente commetta uno degli illeciti previsti dal Decreto. Le sanzioni interdittive, invece, possono essere applicate soltanto in relazione agli illeciti per i quali sono espressamente e specificatamente previste dal Decreto, qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni:



  • l’ente abbia tratto dall’illecito un profitto di rilevante entità e l’illecito sia stato commesso da soggetti in posizione apicale, ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione e vigilanza, quando la commissione dell’illecito sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; (ii) in caso di reiterazione degli


Le misure interdittive – qualora sussistano gravi indizi di responsabilità dell’ente e vi siano fondati e specifici elementi che rendano concreto il pericolo di un’eventuale commissione di illeciti della stessa indole



  • possono essere applicate, su richiesta del Pubblico Ministero, anche in via cautelare, già nella fase delle


Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto di reato (salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato). Quando non è possibile eseguire la confisca sui beni costituenti direttamente il prezzo o il profitto del reato, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto di reato. In via cautelare può essere disposto il sequestro delle cose che, costituendo prezzo o profitto di reato o loro equivalente monetario, sono suscettibili di confisca.


Inoltre, in determinati casi, qualora vengano applicate sanzioni interdittive, può essere disposta la pubblicazione della sentenza di condanna, misura capace di recare un grave impatto sull’immagine dell’ente.


Infine, al verificarsi di specifiche condizioni, il Giudice – in sede di applicazione di una sanzione interdittiva che determinerebbe l’interruzione dell’attività dell’ente – ha la facoltà di nominare un commissario con il compito di vigilare sulla prosecuzione dell’attività stessa, per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata.



  • La tipologia dei reati e degli illeciti amministrativi


Quanto alla tipologia dei reati e degli illeciti amministrativi destinati a comportare il suddetto regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti, il D. Lgs. 231/2001, nel suo testo originario, si riferiva esclusivamente ad una serie di reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione (quali, tra l’altro, l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, la malversazione a danno dello Stato, la truffa commessa a danno dello Stato o di altro ente pubblico, la frode informatica ai danni dello Stato, la concussione e la corruzione, ecc.).


Il testo originario è stato integrato da successivi provvedimenti legislativi che hanno progressivamente ampliato il novero degli illeciti la cui commissione può determinare la responsabilità amministrativa degli enti.


In particolare, sono attualmente ricomprese nell’ambito di applicazione del D. Lgs. n. 231/2001 le seguenti famiglie di reato e le fattispecie sottoindicate:



  1. Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24 del D. Lgs. n. 231/2001, modificato dalla L. 161/2017) e Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione (art. 25 del Lgs. n. 231/2001, [modificato dalla L. n. 190/2012 e dalla L. 3/2019]

  2. Delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24-bis del D. Lgs. n. 231/2001, inserito dall’art. 7 della 18 marzo 2008, n. 48, successivamente modificato dal D.Lgs. 12 gennaio 2016, n. 6 e dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 e 8)

  3. Delitti di criminalità organizzata (art. 24-ter del D. n. 231/2001, inserito dall’art. 2 c. 29 della L. 15 luglio 2009, n. 94 successivamente modificato dalla L. 27 maggio 2015, n. 69)

  4. Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis, Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.L. n. 350/2001, convertito con modificazioni dalla L. n. 409/2001; modificato dalla L. n. 99/2009; modificato dal D.Lgs. 125/2016]

  5. Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. 99/2009]

  6. Reati societari (art. 25-ter del D. Lgs. n. 231/2001, aggiunto dall’art. 3 c. 2 del D. Lgs. n. 61/2002, successivamente modificato dagli artt. 31 c. 2 e 39 c. 5 della L. 28 dicembre 2005, n. 262, dall’art. 1, comma 77, lettera b) della 6 novembre 2012, n. 190 e dal D. Lgs. N. 38 del 15 marzo 2017).

  7. Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25-quater del Lgs. n. 231/2001, inserito dall’art. 3 della L. 14 gennaio 2003 n. 7).

  8. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1 del Lgs. n. 231/2001, aggiunto dall’art. 8 della L. 9 gennaio 2006, n. 7).

  9. Delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies del Lgs. n. 231/2001, aggiunto dall’art. 5 della L. 11 agosto 2003, n. 228 e successivamente modificato dalla L. 29 ottobre 2016 n. 199)

  10. Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla n. 62/2005]

  11. Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 123/2007; modificato L. n. 3/2018]

  12. Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonchè autoriciclaggio (Art. 25-octies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal D. Lgs. n. 231/2007; modificato dalla n. 186/2014]

  13. Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla n. 99/2009]

  14. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (Art. 25-decies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 116/2009] 

  15. Reati ambientali (Art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal D.Lgs. n. 121/2011, modificato dalla n. 68/2015, modificato dal D.Lgs. n. 21/2018]

  16. Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-duodecies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dal Lgs. n. 109/2012, modificato dalla Legge 17 ottobre 2017 n. 161]

  17. Razzismo e xenofobia (Art. 25-terdecies, Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla Legge 20 novembre 2017 n. 167, modificato dal D.Lgs. n. 21/2018]

  18. Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (Art. 25-quaterdecies, D.Lgs. n. 231/2001) [articolo aggiunto dalla L. n. 39/2019]

  19. Reati tributari (art. 25-quinquiesdecies, Lgs. n. 231/2001 [articolo aggiunto dalla L. n. 157/2019]


Costituiscono, altresì, presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti i seguenti reati se commessi in modalità transnazionale:



  • Disposizioni contro le immigrazioni clandestine (art. 12, commi 3, 3-bis, 3-ter e 5, del testo unico di cui al Lgs. 25 luglio 1998, n. 286)

  • Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del testo unico di cui al P.R. 9 ottobre 1990, n. 309)

  • Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del testo unico di cui al P.R. 23 gennaio 1973, n. 43)

  • Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.)

  • Favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)

  • Associazione per delinquere (art. 416 p.)

  • Associazione di tipo mafioso (art. 416-bis p.)


Vi è poi una particolare ipotesi di responsabilità amministrativa dipendente da illecito amministrativo e prevista al di fuori del D.Lgs. 231/2001. Si tratta del caso disciplinato dagli artt. artt. 187-quinquies ss. D L.gs. 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”), che prevedono sanzioni pecuniarie amministrative (oltre alla confisca – anche per equivalente – del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo) a carico dell’ente nel cui interesse o a vantaggio del quale siano stati commessi gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione di mercato previsti dai precedenti artt. 187-bis e 187-ter del medesimo Testo Unico.


 


1.3.I modelli di organizzazione, gestione e controllo


Secondo l’impostazione generale del Decreto, l’ente risponde se non ha adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di illeciti del tipo di quello realizzato.


Tuttavia, l’art. 6 del D. Lgs. 231/2001, nell’introdurre il regime di responsabilità amministrativa dell’ente, prevede una forma specifica di “esonero” da detta responsabilità qualora l’ente dimostri che:



  1. l’organo dirigente dell’ente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione dell’illecito, “modelli di organizzazione e di gestione” idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

  2. il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli nonché di curare il loro aggiornamento è stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

  3. le persone che hanno commesso l’illecito hanno agito eludendo fraudolentemente i suddetti modelli di organizzazione, gestione e controllo;

  4. non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b) che precede.


L’”esonero” dalla responsabilità dell’ente passa attraverso il giudizio di idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli, che il giudice penale è chiamato a formulare in occasione del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito (soggetto apicale o sottoposto).


Pertanto, nella formulazione dei modelli di organizzazione e di gestione l’ente deve porsi come obiettivo l’esito positivo di tale giudizio di idoneità.


In particolare, se il reato è commesso da soggetti apicali, l’ente è responsabile qualora non dimostri:


(i) di avere adottato ma anche efficacemente attuato, prima della commissione del fatto di reato, un modello di organizzazione e gestione idoneo ad impedire reati della specie di quello commesso;


(ii) di avere istituito un organismo dotato di autonomi poteri di iniziative, vigilanza e controllo, il quale abbia effettivamente vigilato sull’osservanza di tale modello;


(iii) che il reato sia stato commesso per fraudolente elusione del modello da parte del soggetto apicale infedele.


Quando, invece, il fatto è commesso da soggetti sottoposti, dovrà essere provato che la commissione dell’illecito sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e di vigilanza da parte dei soggetti apicali; questi obblighi, tuttavia, non possono ritenersi violati se prima della commissione dell’illecito l’ente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.


Il D. Lgs. 231/2001 prevede, quindi, che i modelli di organizzazione e gestione debbano rispondere alle seguenti esigenze:



  • identificare i c.d. “rischi potenziali”, ovvero individuare nel contesto aziendale le aree o i settori di attività nel cui ambito potrebbero essere astrattamente commessi gli illeciti previsti dal Decreto (“aree di attività a rischio reato”);

  • prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione agli illeciti da prevenire, con l’intento di contrastare efficacemente – cioè ridurre ad un livello accettabile – i rischi identificati;

  • individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di tali illeciti;

  • prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello;

  • introdurre un sistema disciplinare interno all’ente idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.


Le caratteristiche essenziali indicate dal Decreto per la costruzione del modello di organizzazione e gestione si riferiscono, a ben vedere, ad un tipico sistema aziendale di gestione dei rischi (“risk management”).


Inoltre, affinché siano efficacemente attuati, i modelli di organizzazione e gestione, relativamente alle fattispecie di illecito considerate dal Decreto, richiedono verifiche periodiche e successive modifiche – laddove necessario – in relazione alle violazioni effettivamente verificatesi e agli eventuali mutamenti dell’organizzazione aziendale o dell’attività d’impresa.


Il D. Lgs. 231/2001 prevede, infine, che i modelli di organizzazione e gestione possano essere adottati, garantendo le esigenze sopra elencate, sulla base di codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di categoria, comunicati al Ministero della Giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire gli illeciti di cui al Decreto.


Con particolare riferimento ai rischi derivanti dalla commissione di illeciti in tema di sicurezza e salute sul lavoro, l’art. 30 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (“Testo Unico Sicurezza”) – come novellato dal D. Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 – ha inoltre previsto una presunzione di conformità ai requisiti attesi per i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007.



  1. Il modello di organizzazione, gestione e controllo ex Lgs. 231/2001 di BOING SpA

    • Caratteri generali del Modello




BOING SpA (di seguito “BOING” o la “Società”) – nel perseguire la conduzione degli affari e la gestione delle attività aziendali sulla base dei valori di efficienza, correttezza e lealtà – ha posto in essere le attività


 


 


necessarie per completare l’adeguamento del proprio modello di organizzazione, gestione e controllo (inteso quale insieme di regole aziendali di carattere generale ed operative, che si estrinsecano - tra l’altro


- nell’assetto organizzativo della Società, nel sistema di attribuzione delle deleghe e dei poteri, nelle linee guida organizzative e nelle prassi operative, nel sistema disciplinare e così via), a quanto previsto dal D. Lgs. 231/2001 (di seguito “Modello”).


Tale iniziativa è stata assunta nella convinzione che l’adozione (e gli eventuali successivi aggiornamenti) del Modello, al di là delle prescrizioni del Decreto - possa costituire un valido strumento di sensibilizzazione nei confronti dei Destinatari - come oltre definiti - affinché adottino, nell’espletamento delle proprie attività lavorative e/o dei propri incarichi o funzioni, dei comportamenti corretti, legittimi e lineari, tali da prevenire il rischio di commissione degli illeciti contemplati dal Decreto stesso.


Il Modello della Società è stato approvato dal Consiglio di Amministrazione di BOING in data 4 novembre 2015 e, da ultimo, aggiornato in data 5 marzo 2020.


Il Modello è destinato a tutti coloro che operano a qualunque titolo per BOING, quale che sia il rapporto


– anche temporaneo - che li lega alla stessa; in particolare esso è vincolante per coloro che: (i) rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o controllo della Società; (ii) sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui al punto (i) che precede (di seguito, complessivamente, “Destinatari”).


Con l’adozione del Modello BOING si è, quindi, posta l’obiettivo di dotarsi di un sistema strutturato ed organico comprendente un complesso di principi generali di comportamento nonché di procedure ed attività di controllo che rispondano alle finalità ed alle prescrizioni richieste dal D. Lgs. 231/2001 sia in termini di prevenzione dei reati e degli illeciti amministrativi dallo stesso richiamati (controlli preventivi) sia in termini di controllo dell’attuazione del Modello e di eventuale irrogazione di sanzioni (controlli ex post).


Tra le principali finalità del Modello – come meglio specificato nel paragrafo 2.7– vi è, quindi, quella di sviluppare la consapevolezza nei Destinatari di poter incorrere – in caso di comportamenti non conformi alle prescrizioni del Codice Etico, del Modello, degli Indirizzi Generali in materia di Anticorruzione e delle procedure ad esso riferibili – in illeciti passibili di conseguenze penalmente rilevanti non solo per i diretti autori degli illeciti bensì anche per la Società.


Il processo di adeguamento del Modello è stato effettuato tenendo conto dei dettami del D. Lgs. 231/2001, delle Linee Guida elaborate sul tema da Confindustria nonché delle specifiche iniziative già attuate dalla Società in materia di controllo interno. In particolare, il processo di adeguamento è stato effettuato con riferimento alle seguenti specifiche tipologie di illeciti previste:



  • dagli 24 e 25 del D. Lgs. 231/2001, vale a dire, per i reati realizzabili in occasione di rapporti con la Pubblica Amministrazione;

  • dall’ 24 bis, con riferimento ai delitti informatici e al trattamento illecito di dati;

  • dall’art. 24 ter, riguardo ai “delitti di criminalità organizzata”;

  • dall’art. 25 ter, vale a dire, per i reati societari;

  • dall’art. 25 quinquies, con riguardo ai “delitti contro la personalità individuale”;

  • dall’art. 25 sexies, con riferimento agli abusi di mercato;

  • dall’art. 25 septies, con riferimento agli illeciti colposi (omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime) commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

  • dall’art. 25 octies, con riferimento ai reati di Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonchè autoriciclaggio;

  • dall’art. 25 novies, con riferimento ai reati contemplati dalla Legge 633/41 in materia di “protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”;

  • dall’art. 25 decies, con riguardo al “reato di non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni


 


 


mendaci all’autorità giudiziaria”;



  • dall’art. 25 duodecies, con riguardo all’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è


irregolare;



  • dall’art. 25 quinquiesdecies, con riguardo ai reati


nonché dalle previsioni della Legge 146/2006 rispetto ai “reati transnazionali”.


Le attività di valutazione del sistema dei controlli preventivi hanno considerato le fattispecie di illecito contemplate dal Decreto al momento dell’effettuazione dell’analisi. Inoltre, il processo di adeguamento è stato focalizzato sugli illeciti ritenuti astrattamente rilevanti per la Società, in considerazione della sua organizzazione e della natura delle attività svolte dalla stessa. Infine, alcune tipologie di illecito previste dal Decreto sono state escluse in quanto BOING, tenuto conto dell’attività sociale svolta, ne ha ritenuto estremamente improbabile – se non addirittura impossibile - la commissione1.


Il Modello dovrà essere adeguato in relazione alle eventuali ulteriori disposizioni normative che dovessero essere emanate in futuro dal legislatore nell’ambito di applicazione del D. Lgs. 231/2001. L’attività di aggiornamento del Modello, intesa sia come integrazione sia come modifica, sarà volta a garantire l’adeguatezza e l’idoneità dello stesso considerando la funzione preventiva che il Modello deve mantenere nel tempo rispetto alla commissione degli illeciti indicati nel Decreto.


 


 



  • Il Codice Etico della Società e gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione


Il Codice Etico di BOING contiene i principi fondamentali e i valori cui si ispira la Società e a cui si devono orientare le operazioni, i comportamenti e i rapporti, sia interni alla Società sia esterni alla stessa. Il Codice Etico è stato predisposto con l’obiettivo di definire con chiarezza l’insieme dei valori e delle responsabilità che la Società riconosce, accetta e condivide rappresenta una componente fondante del Modello e del complessivo sistema di controllo interno della Società. Nel Codice Etico, adottato da BOING nel febbraio 2014, sono, infatti, espressi un insieme di principi e di valori la cui osservanza è di fondamentale importanza per il regolare funzionamento della Società, l’affidabilità della gestione e l’immagine della stessa. In questa prospettiva, i principi contenuti nel Codice Etico costituiscono il primo presidio su cui si fonda il Modello nonché un utile riferimento interpretativo nella concreta applicazione dello stesso in relazione alle dinamiche aziendali, anche al fine di rendere operante la scriminante di cui all’art. 6 del D. Lgs. 231/2001.


 


I principi e le disposizioni del Codice Etico sono vincolanti per i Destinatari: esso si applica non solo alle persone legate alla Società da rapporti di lavoro subordinato ma anche a tutti coloro che operano per/con BOING quale che sia il rapporto – anche temporaneo – che li lega alle stesse (compresi gli amministratori e i sindaci).


 


Il Codice Etico stabilisce, quale principio imprescindibile dell’operato della Società, il rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti e dei principi etici comunemente riconosciuti nella conduzione degli affari, quali onestà, lealtà, correttezza, trasparenza e buona fede. A seguito della sua adozione il Codice Etico è stato adeguatamente diffuso ai Destinatari nei cui confronti, in caso di violazioni delle disposizioni dello stesso, sono applicabili apposite sanzioni (come peraltro indicato nel paragrafo all’uopo dedicato al “sistema sanzionatorio”).


 


* * *


Negli ultimi anni, a livello internazionale, si è assistito ad un rafforzamento dell’impegno nella lotta alla corruzione, pubblica e privata, da parte di quasi tutti i paesi, in coerenza con le convenzioni internazionali nonché con i trattati internazionali anticorruzione e con le leggi di diritto pubblico e commerciale vigenti in paesi specifici. Anche l’Italia, con la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge












 
   

 


1 Sono state considerate non rilevanti le seguenti famiglie di reato: delitti con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, reati ambientali, reati di razzismo e xenofobia nonché le frodi in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati.


 


 


Anticorruzione) è intervenuta in tal senso, rafforzando gli strumenti volti a contrastare i fenomeni corruttivi, ampliando - tra l’altro – come già precedentemente segnalato, il catalogo dei reati presupposto ai sensi del Decreto.


In linea con le best practices via via sviluppatesi per contrastare i fenomeni corruttivi, il Modello si


integra, quindi, con un documento dedicato agli “Indirizzi Generali in materia di anticorruzione”.


Tale documento (quivi Allegato sub D) si prefigge la finalità di proporre un quadro sistematico di riferimento in materia di divieto di pratiche corruttive, fornendo una sintesi delle norme etico- comportamentali cui i Destinatari devono strettamente attenersi al fine di rispettare le disposizioni previste dalla normativa vigente in materia di anticorruzione nonché i principi e i valori contenuti nel Codice Etico, nel Modello e nelle procedure aziendali, prevenendo altresì la commissione di illeciti, anche determinanti l’applicazione del Decreto.


Il documento contiene, in sintesi, una descrizione dei principi generali che – in osservanza di quanto previsto al Capo III (Comportamento negli affari) del Codice Etico e al fine di evitare che vengano posti in essere comportamenti illegittimi o scorretti, comprese le pratiche corruttive di qualsivoglia natura – devono ispirare il comportamento dei Destinatari, in particolare quando questi ultimi operino in particolari “aree di attività a rischio reato” (quali, ad es. nei rapporti con istituzioni e funzionari pubblici, nel processo di acquisto di beni e servizi, nelle attività di vendita di beni e servizi, etc.). Tali principi si integrano, ovviamente, con i principi e i valori espressi nel Codice Etico di BOING, nel Modello e nelle procedure aziendali di tempo in tempo adottate.


 


 



  • Il processo di adeguamento del Modello: finalità emetodologia


Come già evidenziato, BOING ha scelto di dotarsi di un modello di organizzazione e gestione ex D. Lgs. 231/01 (nonché di provvedere al suo progressivo e costante adeguamento) con l’intento di sensibilizzare i Destinatari ad una gestione trasparente e corretta della Società, al rispetto delle norme giuridiche vigenti e dei fondamentali principi di etica negli affari.


Infatti, scopo principale del Modello è la definizione di un sistema strutturato ed organico di procedure/regole di comportamento e di attività di controllo, da svolgersi principalmente in via preventiva, al fine di prevenire – per quanto possibile - la commissione delle diverse tipologie di illecito contemplate dal Decreto.


In particolare, pertanto, il Modello si propone le seguenti finalità:



  • diffondere ed affermare una cultura d’impresa improntata al rispetto delle leggi e dei regolamenti, prevenendo e ragionevolmente limitando i possibili rischi connessi all’attività aziendale con particolare riguardo all’individuazione e alla riduzione di eventuali condotte illecite;

  • diffondere una cultura del “controllo” che deve presiedere al raggiungimento degli obiettivi che, nel tempo, la Società si pone;

  • prevedere un’efficiente ed equilibrata organizzazione dell’impresa, con particolare riguardo alla formazione delle decisioni ed alla loro trasparenza, ai controlli preventivi e successivi nonché all’informazione interna ed esterna;

  • determinare in tutti i Destinatari e, in particolare, in tutti coloro che operano in nome e per conto di BOING nelle aree di attività considerate potenzialmente a rischio (“aree di attività a rischio reato”) la consapevolezza di poter incorrere, in caso di violazione delle disposizioni definite nel Codice Etico, nel Modello, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione e nelle procedure aziendali ad esso riferibili, in illeciti passibili di sanzioni, sul piano penale ed amministrativo, non solo nei propri confronti ma anche nei confronti della Società;

  • ribadire che tali forme di comportamento illecito, di qualsiasi tipo ed indipendentemente dalle finalità che le possono determinare, sono condannate dalla Società in quanto contrarie, oltre che alle disposizioni di legge, anche ai principi etici cui la stessa si ispira nello svolgimento delle proprie attività e nell’espletamento della propria missione aziendale;


 


 



  • consentire alla Società un costante controllo ed un’attenta vigilanza sulle attività d’impresa, in modo da poter intervenire tempestivamente, anche in via preventiva, attraverso il monitoraggio sulle aree di attività a rischio reato, al fine di prevenire e/o contrastare la commissione di tali illeciti ovvero applicando le misure disciplinari previste dal


Nel processo di definizione del Modello, BOING si è ispirata a consolidati principi in materia sia di “corporate governance” sia di controllo interno. Secondo tali principi un sistema di gestione e di controllo dei rischi in linea con le disposizioni di cui al D. Lgs. 231/2001 prevede le seguenti caratteristiche:



  • individua e formalizza la mappatura delle “aree di attività a rischio reato”, ovvero delle aree aziendali interessate a potenziali casistiche di reato;

  • procede all’analisi dei rischi potenziali per le “aree di attività a rischio reato” individuate come


sopra, con riguardo alle potenziali modalità attuative degli illeciti;



  • procede all’analisi dei rischi potenziali, attraverso una valutazione dei rischi-reato connessi alle aree di attività precedentemente individuate (c.d. “rischi inerenti”) e alla valutazione complessiva del sistema aziendale di controlli preventivi rispetto alla commissione di illeciti e, se necessario, alla sua definizione o


Il processo di definizione del Modello si, articola in due fasi:



  1. l’identificazione e la mappatura formalizzata dei rischi, ovvero l’analisi del contesto aziendale per individuare (i) le fattispecie di reato rilevanti per la Società, (ii) le aree che – in ragione delle attività effettivamente svolte dalla Società – risultino potenzialmente interessate da eventuali casistiche di reato e, infine, (iii) le possibili modalità con cui si possono verificare gli eventi pregiudizievoli previsti dal Lgs. 231/2001;

  2. la definizione del Modello, mediante valutazione del sistema d’organizzazione, gestione e controllo dei rischi già esistente all’interno di BOING e del suo successivo adeguamento, integrando o modificando i controlli preventivi esistenti nonché formalizzandoli in specifiche procedure, qualora necessario, al fine di contrastare efficacemente i rischi identificati e, comunque, ridurli ad un livello


Attraverso tale processo è stato così definito un sistema di organizzazione, gestione e controllo finalizzato a prevenire la commissione delle fattispecie di reato e di illecito amministrativo individuate dal Decreto, nel rispetto di alcuni principi di controllo meglio esplicitati nel paragrafo 2.5 che segue.


 


 



  • Le “aree di attività a rischio reato”


In base alle risultanze delle attività di identificazione dei rischi effettuata da BOING, sono state individuate le seguenti “aree di attività a rischio reato”, intese quali aree aziendali interessate a potenziali casistiche di illecito:



  • Ottenimento e gestione di contributi, finanziamenti o agevolazioni relativi al personale (formazione, )

  • Gestione dei crediti d’imposta e delle agevolazioni per le assunzioni

  • Gestione delle autorizzazioni e degli adempimenti obbligatori nei confronti della Pubblica Amministrazione

  • Gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione o con le Autorità Pubbliche di vigilanza in occasione di verifiche e controlli

  • Gestione di procedimenti giudiziali, extragiudiziali e arbitrali

  • Gestione informatica dei documenti pubblici

  • Gestione dei sistemi informatici aziendali

  • Dichiarazioni fiscali

  • Acquisto di diritti televisivi


 


 



  • Gestione degli acquisti di beni e servizi

  • Gestione delle vendite

  • Gestione dei rapporti con istituti di credito

  • Gestione dei rapporti con le assicurazioni

  • Elaborazione di dati/informazioni/ stime destinati a confluire nel bilancio e gestione della contabilità

  • Elaborazione del progetto di bilancio, attività successive e approvazione finale del bilancio

  • Gestione dei rapporti con il Collegio sindacale e con i Soci

  • Operazioni straordinarie

  • Gestione dei rapporti infragruppo

  • Gestione dei concorsi a premi

  • Selezione e gestione del cast dei programmi televisivi (protagonisti, comparse, )

  • Gestione comunicazione e relazioni esterne

  • Pianificazione e monitoraggio dei contenuti da emettere

  • Gestione delle informazioni privilegiate

  • Gestione degli adempimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro ai sensi del Lgs 81/2008

  • Appalto di produzioni televisivi

  • Gestione degli incassi e dei pagamenti

  • Predisposizione del materiale da consegnare al soggetto incaricato dei servizi di play out

  • Progettazione e gestione del sito web

  • Rapporti con soggetti coinvolti in procedimenti penali


 


 


 


 


Sono state, altresì, analizzate nel dettaglio le attività che pur non costituendo direttamente occasioni di reato, sono state individuate durante il workshop operativo come potenzialmente idonee a consentire la creazione di fondi neri o di altre forme di vantaggio utilizzabili allo scopo di corrompere uno o più soggetti, persuadendoli a commettere un reato nell’interesse o a vantaggio della Società e segnatamente:


 


 



  • Gestione dell’assegnazione di incarichi professionali ed incarichi di consulenza

  • Gestione delle note spese

  • Gestione di doni e/o omaggi

  • Selezione e gestione del personale

  • Gestione dei fondi cassa

  • Gestione incassi e pagamenti

  • Gestione delle vendite

  • Gestione degli acquisti di beni e servizi

  • Acquisto di diritti televisivi

  • Gestione dei crediti


 


 



  • Appalto di produzioni televisive

  • Selezione e gestione del cast dei programmi televisivi (protagonisti, comparse, )

  • Gestione di sponsorizzazioni e atti di liberalità


 


 


Il risultato del processo di mappatura dei rischi e di analisi delle “aree di attività a rischio reato” è raccolto


in appositi documenti conservati presso la Società.


 


 



  • Le procedure riferibili al Modello


Una volta completata l’attività di identificazione dei rischi e di individuazione delle “aree di attività a rischio reato”, si è quindi proceduto ad effettuare la ricognizione e la valutazione dell’efficacia del sistema di organizzazione, gestione e controllo esistente ed utilizzato all’interno dalla Società e a codificare – ove necessario - in documenti scritti gli standard e le attività di controllo da applicare nei vari processi, al fine di prevenire le condotte illecite individuate dal Decreto .


Le procedure/regole di comportamento riconducibili al Modello si integrano, evidentemente, con i principi espressi nel Codice Etico e negli Indirizzi generali in materia di anticorruzione, con le altre linee guida organizzative, con gli organigrammi aziendali, gli ordini di servizio, il sistema di attribuzione delle deleghe e dei poteri e le procure aziendali e con tutti quegli strumenti organizzativi o di controllo – comunque funzionali al Modello - già utilizzati o operanti nell’ambito della Società, che non si è ritenuto necessario modificare ai fini del D. Lgs. 231/2001.


Le procedure riferibili al Modello, così come le altre norme societarie interne, rispondono a principi generali di controllo interno tesi a garantire una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati e, nello specifico, anche il rispetto delle disposizioni del D. Lgs. 231/01. In linea generale, il sistema di controllo interno della Società, delineato nell’ambito delle procedure aziendali e nelle altre norme societarie interne, deve essere idoneo a:



  • garantire, nell’ambito dei processi aziendali, un adeguato livello di separazione di funzioni, così da ridurre la praticabilità di comportamenti “a rischio reato” e favorirne la tempestiva identificazione;

  • assicurare l’attribuzione di poteri autorizzativi e di firma coerenti con le responsabilità


organizzative e gestionali assegnate;



  • garantire, nell’ambito delle attività operative ed amministrativo-contabili, l’utilizzo di sistemi e procedure che assicurino la registrazione completa e accurata dei fenomeni aziendali e dei fatti della gestione;

  • assicurare che la gestione delle risorse finanziarie avvenga nel pieno rispetto delle normative vigenti e che ogni movimentazione finanziaria sia preventivamente autorizzata, nonché accuratamente e completamente registrata e rendicontata;

  • garantire la tracciabilità delle attività di controllo e di monitoraggio effettuate sui processi operativi e sulle attività amministrativo-contabili.


 


 



  • Whistleblowing


L’art. 2 della Legge n. 179 del 2017 ha modificato l’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, estendendo anche al


settore privato le disposizioni poste a tutelare il dipendente che segnala illeciti (c.d. whistleblower).


In particolare, il nuovo comma 2-bis della norma in esame prevede che i modelli di organizzazione, gestione e controllo debbano prevedere “uno o più canali che consentano ai soggetti apicali e ai soggetti sottoposti all’altrui direzione, di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte”.


Tali canali dovranno essere idonei a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di


 


 


gestione della segnalazione e almeno uno di essi dovrà prevedere la trasmissione della segnalazione “con modalità informatiche”.


Sebbene nella sua versione definitiva il testo di legge non preveda l’obbligatorietà delle segnalazioni, è ormai prassi consolidata nel tempo che l’obbligo di informare il datore di lavoro di eventuali comportamenti contrari al Modello adottato sia considerato come parte del più ampio dovere di diligenza ed obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro.


Anche per tale motivo, già in passato si riteneva che il corretto adempimento all’obbligo di informazione da parte del prestatore di lavoro non potesse dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, come oggi confermato dall’introduzione normativa del divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.


La Società si è dotata di una procedura ad hoc in materia di whistleblowing.


Tale procedura, approvata dal Consiglio di Amministrazione in data 5 marzo 2020, è stata comunicata ai dipendenti ed è disponibile per la consultazione sull’intranet aziendale.


 



  • Il sistema sanzionatorio


Secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 2 lett. e) e dall’art. 7, comma 4, lett. b) del Decreto, la definizione di un adeguato sistema disciplinare che contrasti e sia idoneo a sanzionare l’eventuale violazione del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili da parte dei soggetti in posizione apicale e/o dei soggetti sottoposti all’altrui direzione e vigilanza, costituisce un elemento indispensabile del Modello stesso e condizione essenziale per garantire la sua efficacia.


Infatti, in termini generali la previsione di sanzioni, debitamente commisurate alla violazione commessa e dotate di “meccanismi di deterrenza”, applicabili in caso di violazione del Modello e delle procedure aziendali, ha lo scopo di contribuire, da un lato, all’efficacia ed effettività del Modello stesso, e, dall’altro, all’efficacia dell’attività di controllo effettuata dall’Organismo di Vigilanza.


La Società ha, quindi, definito che la violazione delle norme del Codice Etico e degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione nonché dei principi contenuti nel Modello e nelle procedure ad esso riferibili comporta, a carico dei Destinatari, l’applicazione di sanzioni. Tali violazioni, infatti, ledono il rapporto di fiducia – improntato in termini di trasparenza, correttezza, integrità e lealtà - instaurato con la Società stessa e possono determinare, quale conseguenza, l’avvio di un procedimento disciplinare a carico dei soggetti interessati e l’irrogazione di sanzioni. Ciò a prescindere dall’instaurazione di un eventuale procedimento penale o amministrativo - nei casi in cui il comportamento integri o meno una ipotesi di illecito - e dall’esito del conseguente giudizio, in quanto Codice Etico, Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, Modello e procedure aziendali ad esso riferibili costituiscono precise norme di comportamento vincolanti per i Destinatari.


In ogni caso, data l’autonomia della violazione del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure interne rispetto a violazioni di legge che comportano la commissione di un reato o di un illecito amministrativo rilevanti ai fini del D. Lgs. 231/01, la valutazione delle condotte poste in essere dai Destinatari effettuata dalla Società, può non coincidere con la valutazione del giudice in sede penale.


* * *


Le sanzioni e il relativo iter di contestazione della violazione si differenziano in relazione alla diversa categoria di Destinatario.


Lavoratori Dipendenti


Come sopra evidenziato, i comportamenti tenuti dai lavoratori dipendenti in violazione dei principi e delle regole comportamentali previsti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali sono considerati inadempimento delle obbligazioni primarie del rapporto di lavoro e, pertanto, hanno rilevanza anche quali illeciti disciplinari.


Con riferimento alle sanzioni irrogabili nei riguardi del personale dipendente, esse rientrano tra quelle


 


 


previste dal sistema disciplinare aziendale e/o dal sistema sanzionatorio previsto dalle norme specialistiche contenute, in particolare, nei CCNL e nei Contratti Integrativi Aziendali di tempo in tempo applicabili, nel rispetto delle procedure previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) ed eventuali normative speciali e/o di settore applicabili.


Le infrazioni sono accertate ed i conseguenti procedimenti disciplinari sono avviati dalle direzioni competenti secondo l’assetto organizzativo aziendale, in conformità con la vigente normativa e con le disposizioni contenute nei CCNL e nei Contratti Integrativi Aziendali di tempo in tempo applicabili.


In ogni caso, le sanzioni contemplate dalle previsioni contrattuali vigenti (ad es. per il CCNL per i dipendenti del Terziario: biasimo verbale, biasimo scritta, multa fino all’importo di 4 ore di retribuzione, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a 10 giorni, licenziamento) sono applicate tenendo conto, in particolare, della rilevanza degli obblighi violati nonché degli elementi di seguito elencati:



  • della gravità della condotta e, in particolare, dell’intenzionalità del comportamento o grado di


negligenza, imprudenza o imperizia evidenziata;



  • del comportamento complessivo del dipendente, con particolare riguardo alla sussistenza o meno di precedenti sanzioni disciplinari ed alla reiterazione delle condotte;

  • della posizione gerarchica e/o funzionale, del ruolo ricoperto e delle mansioni del dipendente coinvolto;

  • della presenza di circostanze aggravanti o attenuanti con particolare riguardo alla professionalità del soggetto coinvolto e alle circostanze in cui è stato commesso il fatto;

  • dall’eventuale condivisione di responsabilità con altri soggetti che abbiano concorso nel commettere il fatto;

  • di altre particolari circostanze rilevanti che accompagnano la


Le sanzioni disciplinari potranno essere applicate, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, nel caso in cui, anche in eventuale concorso con altri, si presentino le seguenti condotte:



  • mancato rispetto, in generale, dei principi di comportamento contenuti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali allo stesso riferibili, anche con condotte omissive;

  • omissioni di osservanza di norme e di condotte cogenti previste da leggi nazionali ed internazionali, che dispongano regole di organizzazione e prevenzione, che siano dirette in modo univoco al compimento di uno o più degli illeciti contemplati dal Decreto;

  • omissioni di comportamenti prescritti e formulati nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali allo stesso riferibili, che espongono la Società alle situazioni di rischio reati di cui al Decreto;

  • inosservanza delle procedure e/o dei processi di attuazione delle decisioni dei soggetti apicali e/o dei superiori gerarchici nelle attività organizzative ed operative;

  • inosservanza delle disposizioni aziendali concernenti gli obblighi di evidenza e tracciabilità dell’attività svolta relativamente alle modalità di documentazione, conservazione e di controllo degli atti, in modo da impedirne la trasparenza e la verificabilità;

  • violazione e/o elusione del sistema di controllo posto in essere mediante la sottrazione, la


distruzione o l’alterazione della documentazione prevista dalle procedure aziendali;



  • comportamenti di ostacolo o elusione ai controlli e/o impedimento ingiustificato dell’accesso alle informazioni ed alla documentazione nei confronti dei soggetti preposti ai controlli, incluso l’Organismo di Vigilanza;

  • inosservanza delle disposizioni relative ai poteri di firma e del sistema delle deleghe;

  • omessa vigilanza da parte dei superiori gerarchici sul comportamento dei propri sottoposti circa la corretta e effettiva applicazione dei principi contenuti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali allo stesso


 


 



  • inosservanza degli obblighi informativi all’Organismo di Vigilanza;

  • violazioni delle disposizioni in materia di whistleblowing.


Ove le sanzioni disciplinari derivanti da violazioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili siano applicate a dipendenti muniti di procura con potere di rappresentare la Società, l’irrogazione della sanzione può comportare la revoca della suddetta procura.


 


Secondo quanto previsto dal procedimento disciplinare dello Statuto dei Lavoratori, dal CCNL applicabile, nonché da tutte le altre disposizioni legislative e regolamentari in materia, i lavoratori responsabili di azioni od omissioni contrastanti con le prescrizioni contenute nella Legge 30 novembre 2017 n. 179 (c.d. Legge sul whistleblowing), tenuto conto della gravità e/o reiterazione delle condotte, sono soggetti alle sanzioni ivi previste.


 


 


Dirigenti


Il rapporto dirigenziale si caratterizza per la natura eminentemente fiduciaria: pertanto, il rispetto da parte dei dirigenti della Società dei principi e delle disposizioni previste dal Codice Etico, dagli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili e l’obbligo a che gli stessi facciano rispettare tali principi e prescrizioni è elemento essenziale del rapporto di lavoro dirigenziale.


Anche in questo caso, trattandosi di un rapporto di lavoro subordinato, le eventuali infrazioni sono accertate ed i conseguenti procedimenti disciplinari sono avviati dalle direzioni competenti sulla base dell’assetto organizzativo aziendale, secondo quanto previsto per i dirigenti nel CCNL Dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi ed in conformità con la vigente normativa.


In caso di violazione, da parte dei dirigenti, di quanto previsto dal Codice Etico, dagli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili o di adozione, nell’espletamento di attività nelle “aree di attività a rischio reato” di comportamenti non conformi – anche in termini omissivi – alle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili ovvero nell’ipotesi in cui il dirigente consenta di adottare, a soggetti a lui sottoposti gerarchicamente, comportamenti non conformi alle suddette prescrizioni (e, comunque, anche al verificarsi delle ipotesi di violazioni elencate – a titolo esemplificativo e non esaustivo – con riguardo ai dipendenti con qualifica non dirigenziale), la Società provvederà ad applicare nei confronti dei responsabili le sanzioni più idonee rispetto alla gravità della condotta commessa, in conformità alla natura del rapporto dirigenziale come risultante anche dalla normativa vigente e dal CCNL Dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi (a partire dalla censura scritta sino ad arrivare, nei casi più gravi, al licenziamento con o senza preavviso, in particolare, laddove il comportamento posto in essere concretizzi una grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, di quello fiduciario, così da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro).


 


Ove le sanzioni disciplinari derivanti da violazione del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, dal Modello e dalle procedure aziendali ad esso riferibili siano applicate a dirigenti muniti di procura con potere di rappresentare la Società, l’irrogazione della sanzione può comportare la revoca della suddetta procura.


Anche la violazione delle misure di tutela del segnalante (whistleblower), nonché la condotta di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni (whistleblowing) che si rivelano infondate viene considerata ai fini dell’applicazione della relativa sanzione.


 


 


Collaboratori, fornitori e/o soggetti aventi relazioni d’affari con la Società


La Società ritiene che ogni comportamento posto in essere da soggetti esterni alla Società che sia suscettibile di comportare il rischio di commissione di uno degli illeciti cui si riferisce il Decreto, sia da censurare. Pertanto, per quanto riguarda i collaboratori, i fornitori e/o i soggetti aventi relazioni


 


 


d’affari con la Società quale che sia il rapporto, anche temporaneo, che li lega alla stessa, l’inosservanza delle norme del Codice Etico (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) e del Modello e delle procedure aziendali allo stesso riferibili, costituisce inadempimento delle obbligazioni contrattuali assunte, con ogni conseguenza di legge, e può quindi comportare – nei casi più gravi - la risoluzione del contratto e/o dell’incarico nonché il risarcimento dei danni eventualmente subiti dalla Società.


Amministratori e sindaci


La Società valuta con estrema attenzione le violazioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili poste in essere da soggetti apicali, in quanto essi rappresentano il vertice della Società e ne manifestano l’immagine verso i dipendenti, gli azionisti, i creditori e il mercato. Pertanto, in caso di violazione, da parte degli amministratori e/o dei sindaci, dei principi e delle disposizioni del Codice Etico degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle procedure aziendali ad esso riferibili ovvero di adozione, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, di provvedimenti che contrastino con tali disposizioni, gli organi sociali competenti provvederanno ad assumere le misure di tutela di volta in volta più opportune, nell’ambito di quelle previste dalla normativa di tempo in tempo vigente, ivi compresa la revoca della delega e/o del mandato conferiti al soggetto interessato.


Indipendentemente dall’applicazione della misura di tutela, è fatta comunque salva la facoltà della Società di avvalersi delle misure previste a suo favore dal Codice Civile (azioni di responsabilità e/o risarcitorie).


Nel caso in cui le violazioni siano poste in essere da un soggetto apicale che rivesta, altresì, la qualifica di lavoratore subordinato, troveranno applicazione anche le azioni disciplinari esercitabili in base al rapporto di lavoro subordinato intercorrente con la Società.


Anche la violazione, da parte di un soggetto apicale, delle misure di tutela del segnalante (whistleblower), nonché la condotta di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni (whistleblowing) che si rivelano infondate viene considerata ai fini dell’applicazione della relativa sanzione.


Organismo di Vigilanza


Con riferimento ai componenti dell’Organismo di Vigilanza, nel caso in cui il rapporto con la Società sia di lavoro subordinato, si applicherà quanto previsto nei paragrafi dedicati ai “lavoratori dipendenti” e/o ai “dirigenti”; nel caso in cui, invece, il rapporto sia di collaborazione/consulenza, varrà quanto indicato nel paragrafo dedicato ai “collaboratori”.


 


 



  • L’Organismo di Vigilanza


L’art. 6, 1° comma, lett. b) e d) del Decreto, nel ricondurre l’esonero da responsabilità dell’ente all’adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo, idoneo a prevenire la commissione degli illeciti considerati da tale normativa, ha previsto l’obbligatoria istituzione di un organismo dell’ente, dotato sia di un autonomo potere di controllo (che consenta di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Modello) sia di un autonomo potere di iniziativa, a garanzia del costante aggiornamento dello stesso.


Il conferimento di questi compiti a tale organismo ed il corretto, puntuale ed efficace svolgimento degli stessi sono, dunque, presupposti indispensabili per l’esonero della responsabilità per l’ente. In ogni caso, anche l’istituzione di tale organismo deve rispettare il principio di effettività: al di là della individuazione formale, l’organismo, infatti, deve essere posto nelle condizioni di assolvere realmente i complessi e delicati compiti che il decreto gli attribuisce.


Ai fini di un’effettiva ed efficace attuazione del Modello, tale organismo di vigilanza e controllo deve avere le caratteristiche che seguono.



  • Autonomia ed indipendenza – sono requisiti fondamentali affinché tale organismo non sia coinvolto nelle attività gestionali che costituiscono l’oggetto della sua attività ispettiva e di controllo; la posizione di tale organismo all’interno dell’ente, infatti, deve garantire l’autonomia dell’iniziativa di controllo da ogni forma di interferenza e/o di condizionamento da parte di


 


 


qualunque componente dell’ente (e, in particolare, dell’organo dirigente);



  • professionalità – consiste nel bagaglio di conoscenze e tecniche che devono essere possedute dall’organismo per poter svolgere adeguatamente ed efficacemente le delicate funzioni ad esso attribuite; tali caratteristiche, unite ai requisiti di autonomia ed indipendenza, garantiscono l’obiettività di

  • continuità d’azione – l’organismo deve rappresentare una struttura dedicata, che - con i necessari poteri ispettivi e di controllo – provvede costantemente alla vigilanza del rispetto del Modello, curarne l’attuazione ed assicurarne il periodico


* * *


In attuazione di quanto previsto dal D. Lgs. 231/01 ed in relazione alle ridotte dimensioni aziendali e alle attività svolte dalla Società, l’organismo di vigilanza (qui, di seguito, definito “Organismo di Vigilanza”) di BOING assume la veste di organo monocratico, nominato dal Consiglio di Amministrazione secondo le logiche e i criteri infra descritti.


 


 


Requisiti


Il soggetto da nominare Organismo di Vigilanza di BOING deve possedere requisiti di onorabilità – analoghi a quelli degli amministratori della Società - e di professionalità adeguati al ruolo da ricoprire e deve essere esente da cause di incompatibilità e motivi di conflitto di interesse con altre funzioni e/o incarichi aziendali tali che possano minarne l’indipendenza e la libertà di azione e di giudizio. La sussistenza e la permanenza di tali requisiti soggettivi devono essere, di volta in volta, accertate dal Consiglio di Amministrazione della Società sia preventivamente rispetto alla nomina sia periodicamente


– almeno una volta all’anno - durante tutto il periodo l’Organismo di Vigilanza resterà in carica. Costituisce, inoltre, causa di ineleggibilità o di revoca per giusta causa la sentenza di condanna (o di patteggiamento) non irrevocabile, con particolare riferimento agli illeciti previsti dal Decreto.


 


 


Nomina, durata e revoca


L’Organismo di Vigilanza è nominato dal Consiglio di Amministrazione di BOING e dura in carica fino al termine del mandato del Consiglio di Amministrazione che lo ha nominato ovvero fino a diverso termine deliberato dallo stesso.


Al fine di garantirne la piena autonomia ed indipendenza, l’Organismo di Vigilanza riporta direttamente al Consiglio di Amministrazione della Società.


Il venir meno anche di uno solo dei requisiti di onorabilità, professionalità, assenza di incompatibilità e/o conflitto di interesse di cui al precedente paragrafo, in costanza di mandato, determina la decadenza dell’incarico.


L’eventuale revoca dell’Organismo di Vigilanza è di competenza del Consiglio di Amministrazione di BOING. In caso di revoca o decadenza, il Consiglio di Amministrazione della Società provvede tempestivamente alla sostituzione dell’Organismo di Vigilanza, previo accertamento dei requisiti soggettivi sopra indicati.


 


 


Compiti ed attribuzioni


All’Organismo di Vigilanza sono conferiti i seguenti compiti ed attribuzioni:



  • vigilare sull’osservanza delle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili da parte dei soggetti Destinatari, rilevando e segnalando le eventuali inadempienze e/o scostamenti comportamentali e i settori che risultano più a rischio, in considerazione delle violazioni verificatesi;

  • vigilare sulla reale efficacia ed effettiva capacità del Modello di prevenire ed impedire la commissione degli illeciti di cui al Lgs. 231/2001, in relazione alle singole strutture aziendali


 


 


e alla concreta attività svolta;



  • garantire il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità, efficacia e funzionalità del Modello;

  • vigilare sull’opportunità di procedere ad un aggiornamento del Modello, laddove si riscontrino esigenze di adeguamento e/o integrazione dello stesso in relazione a mutate condizioni normative, modifiche dell’assetto organizzativo aziendale e/o delle modalità di svolgimento delle attività d’impresa ovvero in caso di significative violazioni delle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili;

  • acquisire presso tutti i Destinatari del Modello la documentazione aziendale e le informazioni ritenute utili per assolvere ai propri compiti e alle proprie responsabilità;

  • verificare che siano svolte opportune iniziative di informazione e formazione dei Destinatari sui principi, i valori e le regole di comportamento contenute nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali ad esso riferibili, anche sulla base delle richieste di chiarimento e delle segnalazioni di volta in volta pervenute;

  • verificare l’adeguatezza delle iniziative di informazione e formazione svolte sui principi, i valori e le regole di comportamento contenute nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure aziendali ad esso riferibili, nonché del livello di conoscenza acquisito dai Destinatari, con particolare riferimento a coloro che operano nell’ambito delle “aree di attività a rischio reato”;

  • svolgere una periodica attività di reporting nei confronti degli organi sociali;

  • raccogliere, elaborare e conservare le segnalazioni e le informazioni rilevanti trasmesse dalle varie funzioni aziendali con riferimento al Modello e alle procedure aziendali ad esso riferibili e conservare le risultanze dell’attività effettuata e la relativa


Allo scopo di assolvere alle proprie responsabilità, l’Organismo di Vigilanza può, in qualsiasi momento, nell’ambito della propria autonomia e discrezionalità, procedere ad atti di verifica riguardo all’applicazione del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili, avvalendosi anche di consulenti esterni.


In particolare, sono previste:



  • verifiche su specifiche operazioni aziendali: a tal fine l’Organismodi Vigilanza procederà periodicamente ad una verifica degli atti e/o dei contratti e, in generale, dei documenti aziendali riguardanti le “aree di attività a rischio reato”, secondo tempi e modalità dallo stesso individuate;

  • verifiche sulle procedure/regole di comportamento adottate: a tal fine l’Organismo di Vigilanza procederà periodicamente ad una verifica sull’efficacia e sull’effettiva attuazione delle procedure/regole di comportamento riferibili al


L’Organismo di Vigilanza, conseguentemente alle verifiche effettuate, alle modifiche normative e/o organizzative di volta in volta intervenute nonché all’accertamento dell’esistenza di nuove aree di attività a rischio ovvero in caso di significative violazioni delle prescrizioni del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e/o delle procedure aziendali ad esso riferibili, evidenzia alle funzioni aziendali competenti l’opportunità che la Società proceda ai relativi adeguamenti ed aggiornamenti del Modello e/o delle relative procedure.


L’Organismo di Vigilanza verifica, attraverso attività di follow-up, che le eventuali azioni correttive raccomandate vengano intraprese dalle funzioni aziendali competenti.


In presenza di problematiche interpretative e/o di quesiti sul Codice Etico, sugli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, sul Modello e/o sulle procedure aziendali ad esso riferibili, i Destinatari possono rivolgersi all’Organismo di Vigilanza per i chiarimenti opportuni.


Ai fini specifici dell’esecuzione delle attività di vigilanza e controllo assegnate, all’Organismo di Vigilanza


è attribuita annualmente un’adeguata disponibilità finanziaria, di volta in volta aggiornata a seconda


 


 


delle specifiche esigenze determinatesi, allo scopo di consentirgli lo svolgimento delle attribuzioni sopra descritte con piena autonomia economica e gestionale.


 


Flussi informativi verso gli organi sociali


Con riferimento all’attività di reporting nei confronti degli organi sociali, l’Organismo di Vigilanza relaziona, mediante reports scritti e con cadenza almeno semestrale, il Consiglio di Amministrazione - in merito all’attuazione del Modello - nonché il Collegio Sindacale. Allo scadere del proprio incarico, l’Organismo di Vigilanza– laddove lo reputi opportuno – redige per gli organi sociali una relazione di fine mandato.


L’Organismo di Vigilanza può essere consultato in qualsiasi momento dagli organi sopra citati per riferire in merito al funzionamento del Modello o a situazioni specifiche o, in caso di particolari necessità, può informare direttamente e su propria iniziativa gli organi sociali.


Flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza


I Destinatari del Modello sono tenuti a fornire le informazioni richieste dall’Organismo di Vigilanza secondo i contenuti, le modalità e la periodicità di volta in volta definiti dallo stesso. Gli obblighi informativi verso l’Organismo di Vigilanza rappresentano, infatti, un utile strumento a favore di quest’ultimo per svolgere le attività di vigilanza sull’efficacia del Modello e di accertamento ex post delle cause che possono aver consentito il verificarsi di un illecito.


I Destinatari, inoltre, trasmettono senza indugio all’Organismo di Vigilanza le informazioni concernenti i provvedimenti provenienti dalla magistratura, dalla Polizia Giudiziaria o da altra Autorità, dai quali si evinca lo svolgimento di attività di indagine o giudiziaria per una delle fattispecie di illecito rilevanti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 riguardanti la Società e/o i Destinatari.


I Destinatari del Modello, inoltre, qualora vengano a conoscenza di fatti che integrino la commissione di illeciti previsti dal Decreto ovvero al verificarsi di eventi o circostanze rilevanti ai fini dello svolgimento dell’attività di competenza dell’Organismo di Vigilanza, lo informano prontamente.


L’Organismo di Vigilanza valuta le segnalazioni ricevute e si attiva per i necessari adempimenti ed iniziative, motivando per iscritto eventuali decisioni di non procedere ad effettuare indagini interne.


Ogni informazione e segnalazione raccolta dall’Organismo di Vigilanza viene custodita sotto la sua responsabilità, secondo regole, criteri e condizioni di accesso ai dati idonee a garantirne l’integrità e la riservatezza.


Per le finalità informative di cui sopra (nonché per chiarimenti e/o informazioni), l’Organismo di Vigilanza dispone anche del seguente indirizzo specifico di posta elettronica: boingodv@boingtv.it.


L’eventuale violazione degli obblighi informativi verso l’Organismo di Vigilanza posti a carico dei


Destinatari può determinare l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui al paragrafo 2.7 che precede.


 


 


 



  • Informazione e formazione


In conformità a quanto previsto dal D. Lgs. 231/2001, è preciso impegno di BOING dare ampia divulgazione ai principi e alle disposizioni contenuti nel Modello, anche al fine di dare efficace attuazione allo stesso.


La Società, quindi, definisce uno specifico piano di comunicazione e formazione volto ad assicurare un’ampia divulgazione ai Destinatari dei principi e delle disposizioni contenute nel Codice Etico e nel Modello (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) e delle procedure/regole di comportamento aziendali ad esso riferibili, con modalità idonee a garantirne la conoscenza effettiva da parte degli stessi, avendo cura di operare una necessaria diversificazione di approfondimento a seconda dei ruoli, delle responsabilità e dei compiti attribuiti nonché dell’ambito di attività in cui i singoli Destinatari operano. Tale piano è gestito dalle competenti funzioni aziendali che si coordinano con l’Organismodi Vigilanza..


 


 


* * *


Per quanto attiene alla comunicazione, l’adozione (e/o l’aggiornamento) del Modello sono comunicati a tutti i Destinatari. In particolare, la Società ha previsto specifiche modalità di diffusione del Modello e delle procedure/regole di comportamento ad esso riferibili, ai Destinatari interni alla Società (es. lavoratori dipendenti). Il Modello è, inoltre, pubblicato nel sito internet della Società


L’adozione (e gli eventuali successivi aggiornamenti) del Modello) sono comunicati e diffusi anche ai soggetti esterni all’azienda (quali collaboratori, fornitori, etc, comunque rientranti nella definizione di Destinatari). L’impegno formale da parte dei suddetti soggetti al rispetto dei principi del Codice Etico e del Modello (compresi gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) sono documentati attraverso la predisposizione di specifiche clausole contrattuali debitamente sottoposte ed accettate dalle controparti.


* * *


L’attività di formazione organizzata dalla Società è finalizzata a promuovere la conoscenza della normativa di cui al Decreto, a fornire un quadro esaustivo della stessa, dei risvolti pratici che da tali norme discendono nonché dei principi e dei contenuti su cui si basa il Modello (così come il Codice Etico e gli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione) a tutti coloro che sono tenuti a conoscerli, osservarli e rispettarli, contribuendo alla loro attuazione.


I contenuti formativi riguardano, in generale, le disposizioni normative in tema di responsabilità amministrativa degli enti (e, quindi, le conseguenze derivanti alla Società dall’eventuale commissione di illeciti da parte di soggetti che per essa agiscano), le caratteristiche essenziali degli illeciti previsti dal Decreto e, più specificatamente, i principi contenuti nel Codice Etico, negli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, nel Modello e nelle procedure/regole di comportamento ad esso riferibili nonché le specifiche finalità preventive che il Modello persegue in tale contesto.


I moduli formativi sono articolati in relazione ai ruoli, alle funzioni e alle responsabilità rivestite dai singoli Destinatari e tengono conto, in particolare, del livello di rischio dell’area di attività in cui gli stessi operano.


L’attività di formazione è gestita e monitorata dalla competente funzione aziendale ed è adeguatamente documentata. In particolare, la partecipazione agli incontri formativi in aula è formalizzata attraverso la richiesta della firma di presenza.


L’Organismo di Vigilanza verifica periodicamente, anche attraverso flussi dati ed informazioni forniti periodicamente dalla funzione aziendale di cui sopra, lo stato di attuazione del piano di formazione e, se del caso, può chiedere controlli specifici sul livello di conoscenza e comprensione acquisito dai Destinatari, dei contenuti del Decreto, del Codice Etico, degli Indirizzi Generali in materia di anticorruzione, del Modello e delle sue implicazioni operative nell’ambito dell’attività aziendale.


* * *


In coerenza con i principi ed i valori espressi nel Codice Etico e nel Modello, BOING riconosce la rilevanza e la centralità dei temi della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro nello svolgimento delle attività di business e si impegna a perseguire il costante miglioramento delle performances aziendali nel rispetto delle norme in materia di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro.


In tale ottica specifiche iniziative informative e formative sono, inoltre, svolte con specifico riferimento all’attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in generale, dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.


In particolare, l’obiettivo di tali attività è quello di rendere i lavoratori (così come intesi dal Testo Unico Sicurezza e sue successive modifiche ed integrazioni) consapevoli:



  • del ruolo e della responsabilità di ciascuno sui luoghi di lavoro, ivi compresa la gestione delle situazioni di emergenza;

  • del rischio di effetti indesiderati e pericolosi per la salute e la sicurezza delle persone e per l’ambiente


circostante derivante dalle proprie attività lavorative e comportamenti;



  • delle potenziali conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure aziendali e delle


 


 


istruzioni operative.


 


 


ALLEGATO A - DECRETO LEGISLATIVO 8 GIUGNO 2001, N. 231


 


"Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell´articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300"


 


 


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


 


Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;


Visto l´articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n.400;


Visti gli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale secondo i principi e criteri direttivi contenuti nell´articolo 11; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell´11 aprile 2001; Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, a norma dell´articolo 14, comma 1, della citata legge 29 settembre 2000, n. 300;


Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 maggio 2001;


Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell´industria, del commercio e dell´artigianato e del commercio con l´estero, con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;


 


E m a n a


 


il seguente decreto legislativo:


 


 


Capo I


RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL´ENTE SEZIONE I


Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa Art. 1 Soggetti


 



  1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da

  2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità

  3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.


 


Art. 2


Principio di legalità


 



  1. L´ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.


 


 


Art. 3


 


Successione di leggi


 



  1. L´ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell´ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l´esecuzione e gli effetti

  2. Se la legge del tempo in cui è stato commesso l´illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.

  3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o


 


 


 


Art. 4


Reati commessi all´estero


 



  1. Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all´estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.

  2. Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l´ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest´ultimo.


 


Art. 5


Responsabilità dell´ente


 



  1. L´ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

    1. da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell´ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

    2. da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).



  2. L´ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell´interesse esclusivo proprio o di


 


Art. 6


Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell´ente


 



  1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell´articolo 5, comma 1, lettera a), l´ente non risponde se prova che:

    1. l´organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

    2. il compito di vigilare sul funzionamento e l´osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell´ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

    3. le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;

    4. non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell´organismo di cui alla lettera b).




 



  1. In relazione all´estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:

    1. individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;

    2. prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l´attuazione delle decisioni dell´ente in relazione ai reati da prevenire;

    3. individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

    4. prevedere obblighi di informazione nei confronti dell´organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l´osservanza dei modelli;

    5. introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel





  • I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono:

    1. uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell'integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;

    2. almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell'identità del segnalante;

    3. il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;

    4. nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano




2-ter. L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall'organizzazione sindacale indicata dal medesimo.


2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il


 


 


mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. E' onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.



  1. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i

  2. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall´organo dirigente.



  • Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell´organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b).



  1. È comunque disposta la confisca del profitto che l´ente ha tratto dal reato, anche nella forma per


 


 


Art. 7


Soggetti sottoposti all´altrui direzione e modelli di organizzazione dell´ente



  1. Nel caso previsto dall´articolo 5, comma 1, lettera b), l´ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall´inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.

  2. In ogni caso, è esclusa l´inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l´ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello

  3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell´organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell´attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di

  4. L´efficace attuazione del modello richiede:

    1. una verifica periodica e l´eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell´organizzazione o nell´attività;

    2. un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel




 


 


Art. 8


Autonomia delle responsabilità dell´ente



  1. La responsabilità dell´ente sussiste anche quando:

    1. l´autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;

    2. il reato si estingue per una causa diversa dall´amnistia.



  2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell´ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l´imputato ha rinunciato alla sua

  3. L´ente può rinunciare all´amnistia.


 


 


SEZIONE II


Sanzioni in generale


 


Art. 9


Sanzioni amministrative



  1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:

    1. la sanzione pecuniaria;

    2. le sanzioni interdittive;

    3. la confisca;

    4. la pubblicazione della sentenza.



  2. Le sanzioni interdittive sono:

    1. l´interdizione dall´esercizio dell´attività;

    2. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell´illecito;

    3. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un




 


 


pubblico servizio;



  1. l´esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l´eventuale revoca di quelli già concessi;

  2. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


 


Art. 10


Sanzione amministrativa pecuniaria



  1. Per l´illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione

  2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a

  3. L´importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila [valore in euro 258.23, NdR] ad un massimo di lire tre milioni [valore in euro 37, NdR].

  4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.


 


 


Art. 11


Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria


 



  1. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell´ente nonché dell´attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori

  2. L´importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell´ente allo scopo di assicurare l´efficacia della

  3. Nei casi previsti dall´articolo 12, comma 1, l´importo della quota è sempre di lire duecentomila [valore in euro 103.29, NdR].


 


 


Art. 12


Casi di riduzione della sanzione pecuniaria



  1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a lire duecento milioni [valore in euro 103291,38, NdR] se:

    1. l´autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l´ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;

    2. il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità;



  2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:

    1. l´ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

    2. è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello



  3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due

  4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a lire venti milioni [valore in euro 14, NdR].


 


Art. 13


Sanzioni interdittive



  1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

    1. l´ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all´altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;

    2. in caso di reiterazione degli



  2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 25, comma 5, le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due .

  3. Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall´articolo 12, comma


 


Criteri di scelta delle sanzioni interdittive



  1. Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l´illecito dell´ente. Il giudice ne determina il tipo e la durata sulla base dei criteri indicati nell´articolo 11, tenendo conto dell´idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.

  2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni. L´interdizione dall´esercizio di un´attività comporta la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze concessioni funzionali allo svolgimento dell´attività.

  3. Se necessario, le sanzioni interdittive possono essere applicate

  4. L´interdizione dall´esercizio dell´attività si applica soltanto quando l´irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta


 


 


Art. 15


Commissario giudiziale



  1. Se sussistono i presupposti per l´applicazione di una sanzione interdittiva che determina l´interruzione dell´attività dell´ente, il giudice, in luogo dell´applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell´attività dell´ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

    1. l´ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;

    2. l´interruzione dell´attività dell´ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull´occupazione.



  2. Con la sentenza che dispone la prosecuzione dell´attività, il giudice indica i compiti ed i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l´illecito da parte dell´ente.

  3. Nell´ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, il commissario cura l´adozione e l´efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello Non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice.

  4. Il profitto derivante dalla prosecuzione dell´attività viene

  5. La prosecuzione dell´attività da parte del commissario non può essere disposta quando l´interruzione dell´attività consegue all´applicazione in via definitiva di una sanzione


 


 


Art. 16


Sanzioni interdittive applicate in via definitiva



  1. Può essere disposta l´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività se l´ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall´esercizio dell´attività.

  2. Il giudice può applicare all´ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.

  3. Se l´ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività e non si applicano le disposizioni previste dall´articolo


 


 


Art. 17


Riparazione delle conseguenze del reato



  1. Ferma l´applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:

    1. l´ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

    2. l´ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l´adozione e l´attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

    3. l´ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.




 


 


Art. 18


Pubblicazione della sentenza di condanna



  1. La pubblicazione della sentenza di condanna può essere disposta quando nei confronti dell´ente viene applicata una sanzione interdittiva.

  2. La pubblicazione della sentenza avviene ai sensi dell´articolo 36 del codice penale nonché mediante affissione nel comune ove l´ente ha la sede

  3. La pubblicazione della sentenza è eseguita, a cura della cancelleria del giudice, a spese dell´ente.


 


 


Art. 19 Confisca



  1. Nei confronti dell´ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

  2. Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del


 


 


Art. 20 Reiterazione



  1. Si ha reiterazione quando l´ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva.


 


 


Art. 21


Pluralità di illeciti



  1. Quando l´ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati commessi con una unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva, si applica la sanzione pecuniaria prevista per l´illecito più grave aumentata fino al triplo. Per effetto di detto aumento, l´ammontare della sanzione pecuniaria non può comunque essere superiore alla somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito.

  2. Nei casi previsti dal comma 1, quando in relazione a uno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l´applicazione delle sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l´illecito più


 


 


Art. 22 Prescrizione



  1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del

  2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell´illecito amministrativo a norma dell´articolo

  3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di

  4. Se l´interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell´illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il


 


 


Art. 23


Inosservanza delle sanzioni interdittive



  1. Chiunque, nello svolgimento dell´attività dell´ente a cui è stata applicata una sanzione o una misura cautelare interdittiva trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tali sanzioni o misure, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

  2. Nel caso di cui al comma 1, nei confronti dell´ente nell´interesse o a vantaggio del quale il reato è stato commesso, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento e seicento quote e la confisca del profitto, a norma dell´articolo 19.

  3. Se dal reato di cui al comma 1, l´ente ha tratto un profitto rilevante, si applicano le sanzioni interdittive, anche diverse da quelle in precedenza


 


 


SEZIONE III


Responsabilità amministrativa per reati previsti dal codice penale


 


Art. 24


Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico.



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, 1, 640-bis e 640-ter se omesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.

  2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l´ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento

  3. Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).


 


 


Art. 24-bis


Delitti informatici e trattamento illecito di dati



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-ter, 617-quater, 617-quinquies, 635-bis, 635- ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote.

  2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-quater e 615-quinquies del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria sino a trecento quote.

  3. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 491-bis e 640-quinquies del codice penale, salvo quanto previsto dall´articolo 24 del presente decreto peri casi di frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, si applica all´ente la sanzione pecuniaria sino a quattrocento

  4. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, lettere a), b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, lettere b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 3 si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).


 


 


Art. 24-ter


Delitti di criminalità organizzata



  1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l´attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall´articolo74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

  2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all´articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all´articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applicala sanzione pecuniaria da trecento a ottocento

  3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un

  4. Se l´ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2, si applica la sanzione dell´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività ai sensi dell´articolo 16, comma


 


 


Art. 25


Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321, 322, commi primo e terzo, e 346- bis del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento quote..

  2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319, 319-ter, comma 1, 321, 322, commi 2 e 4, del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento

  3. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 317, 319, aggravato ai sensi dell´articolo 319- bis quando dal fatto l´ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, 319-ter, comma 2, 319-quater e


 


 


321 del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.



  1. Le sanzioni pecuniarie previste per i delitti di cui ai commi da 1 a 3, si applicano all´ente anche quando tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 320 e 322-bis.

  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 2 e 3, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sette anni, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), e per una durata non inferiore a due anni e non superiore a quattro, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b)..



  • Se prima della sentenza di primo grado l'ente si è efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall'articolo 13, comma 2.


 


 


Art. 25-bis


Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento.



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal codice penale in materia di falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento, si applicano all´ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per il delitto di cui all´articolo 453 la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

    2. per i delitti di cui agli articoli 454, 460 e 461 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    3. per il delitto di cui all´articolo 455 le sanzioni pecuniarie stabilite dalla lettera a), in relazione all´articolo 453, e dalla lettera b) in relazione all´articolo 454, ridotte da un terzo alla metà;

    4. per i delitti di cui agli articoli 457 e 464, secondo comma, le sanzioni pecuniarie fino a duecento quote;

    5. per il delitto di cui all´articolo 459 le sanzioni pecuniarie previste dalle lettere a), c) e d) ridotte di un terzo;

    6. per il delitto di cui all´articolo 464, primo comma, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote; f-bis) per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento



  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 453, 454, 455, 459, 460, 461, 473 e 474 del codice penale, si applicano all´ente le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un


 


 


Art.25-bis.1


Delitti contro l´industria e il commercio



  1. In relazione alla commissione dei delitti contro l´industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all´ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    2. per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514 la sanzione pecuniaria fino a ottocento



  2. Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all´ente le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma


 


 


Art. 25-ter Reati societari



  1. In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, si applicano all’ente le seguenti


sanzioni pecuniarie:



  1. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall´articolo 2621 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;


a-bis) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote»;



  1. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall´articolo 2622 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;

  2. lettera abrogata;

  3. per la contravvenzione di falso in prospetto, prevista dall´articolo 2623, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;

  4. per il delitto di falso in prospetto, previsto dall´articolo 2623, secondo comma, del codice civile, la


 


 


sanzione pecuniaria da duecento a trecentotrenta quote;



  1. per la contravvenzione di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, prevista dall´articolo 2624, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;

  2. per il delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, previsto dall´articolo 2624, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;

  3. per il delitto di impedito controllo, previsto dall´articolo 2625, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;

  4. per il delitto di formazione fittizia del capitale, previsto dall´articolo 2632 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;



  1. per il delitto di indebita restituzione dei conferimenti, previsto dall´articolo 2626 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;

  2. per la contravvenzione di illegale ripartizione degli utili e delle riserve, prevista dall´articolo 2627 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;

  3. per il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, previsto dall´articolo 2628 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;

  4. per il delitto di operazioni in pregiudizio dei creditori, previsto dall´articolo 2629 del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;

  5. per il delitto di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, previsto dall´articolo 2633 del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;

  6. per il delitto di illecita influenza sull´assemblea, previsto dall´articolo 2636 del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;

  7. per il delitto di aggiotaggio, previsto dall´articolo 2637 del codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d´interessi previsto dall´articolo 2629-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;

  8. per i delitti di ostacolo all´esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, previsti dall´articolo 2638, primo e secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;


s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote e, nei casi di istigazione di cui al primo comma dell'articolo 2635-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. Si applicano altresì le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2;


 



  1. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l´ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.


 


 


Art. 25-quater


Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell´ordine democratico



  1. In relazione alla commissione dei delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell´ordine democratico, previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, si applicano all´ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore a dieci anni, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote;

    2. se il delitto è punito con la pena della reclusione non inferiore a dieci anni o con l´ergastolo, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.



  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un

  3. Se l´ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività ai sensi dell´articolo 16, comma 3.

  4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano altresì in relazione alla commissione di delitti, diversi da quelli indicati nel comma 1, che siano comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall´articolo 2 della Convenzione nazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre 1999.


 


 


Art. 25-quater.1


Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all´articolo 583-bis del codice penale si applicano all´ente, nella cui struttura è commesso il delitto, la sanzione pecuniaria da 300 a 700 quote e le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno. Nel caso in cui si tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato l´accreditamento.


 


 



  1. Se l´ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati al comma 1, si applica la sanzione dell´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività ai sensi dell´articolo 16, comma 3.


 


 


Art. 25-quinquies


Delitti contro la personalità individuale



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale si applicano all´ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per i delitti di cui agli articoli 600, 601, 602 e 603-bis la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote;

    2. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all´articolo 600-quater.1, e 600-quinquies, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

    3. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all´articolo 600-quater.l, nonché per il delitto di cui all´articolo 609-undecies, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento



  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettere a) e b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un

  3. Se l´ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell´interdizione definitiva dall´esercizio dell´attività ai sensi dell´articolo 16, comma 3.


 


 


Art. 25-sexies Abusi di mercato



  1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, 58, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

  2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall´ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o Profitto.


 


 


Art. 25-septies


Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro



  1. In relazione al delitto di cui all´articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell´articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

  2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all´articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all´articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un

  3. In relazione al delitto di cui all´articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all´articolo 9, comma 2, per una rata non superiore a sei mesi.


 


 


Art. 25-octies


Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio



  1. In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote.

  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1 si applicano all´ente le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a due


 


 



  1. In relazione agli illeciti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero della giustizia, sentito il parere dell´UIF, formula le osservazioni di cui all´articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, 231.


 


 


Art. 25-novies


Delitti in materia di violazione del diritto d´autore



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 171, primo comma, lettera a-bis), e terzo comma, 171-bis, 171-ter, 171-septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, si applica all´ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento

  2. Nel caso di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all´ente le sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno. Resta fermo quanto previsto dall´articolo 174-quinquies della citata legge 633 del 1941.


 


 


Art. 25-decies


Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all´autorità giudiziaria


 


In relazione alla commissione del delitto di cui all´art. 377-bis del codice penale, si applica all´ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.


 


 


Art. 25-undecies Reati ambientali



  1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per la violazione dell'articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;

    2. per la violazione dell'articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;

    3. per la violazione dell'articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;

    4. per i delitti associativi aggravati ai sensi dell'articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;

    5. per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell'articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;

    6. per la violazione dell'articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

    7. per la violazione dell'articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta




1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a).



  1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, 152, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per i reati di cui all'articolo 137:

      • per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

      • per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento



    2. per i reati di cui all'articolo 256:

      • per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo,     la          sanzione pecuniaria         fino       a duecentocinquanta quote;

      • per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e           5,          la sanzione            pecuniaria         da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

      • per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;



    3. per i reati di cui all'articolo 257:

      • per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

      • per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;



    4. per la violazione dell'articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

    5. per la violazione dell'articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

    6. per il delitto di cui all'articolo 260 (richiamo da intendersi riferito all'articolo 452-quaterdecies del codice penale ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 1 marzo 2018 21), la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;




 


 



  1. per la violazione dell'articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;

  2. per la violazione dell'articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta



  1. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

    2. per la  violazione dell'articolo 1, comma     2,          la           sanzione pecuniaria                                                             da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

    3. per i reati del codice penale richiamati dall'articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge 150 del 1992, rispettivamente:

      • la sanzione pecuniaria         fino       a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;

      • la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;

      • la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui e' prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;

      • la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di



    4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall'articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993,

    5. 549, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

    6. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, 202, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

      1. per il reato di cui all'articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

      2. per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

      3. per il reato di cui all'articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento



    7. Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall'articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, 152.

    8. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, 231, per una durata non superiore a sei mesi.

    9. Se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (richiamo da intendersi riferito all'articolo 452-quaterdecies del codice penale ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 1 marzo 2018 21), e all'articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell’attività ai sensi dell'art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.




 


 


Art. 25-duodecies


Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare


 



  1. In relazione alla commissione del delitto di cui all´articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all´ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.


1-bis. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.


1-ter. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote.


1-quater. Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.


 


 


Art. 25-terdecies Razzismo e xenofobia



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 3, comma 3 bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654 (richiamo da intendersi riferito all'articolo 604-bis del codice penale ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 1 marzo 2018 21), si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote.

  2. Nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste


 


 


dall’articolo        9,         comma         2,         per        una         durata        non         inferi ore                      a          un anno.



  1. Se l'ente o una sua unità organizzativa è stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma


 


 


Art. 25-quaterdecies


Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati



  1. In relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 della legge 13 dicembre 1989, 401, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    2. per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote.



  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno


 


 


Art. 25-quinquiesdecies Reati tributari



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, 74, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'articolo 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    2. per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

    3. per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall'articolo 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    4. per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    5. per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

    6. per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'articolo 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;

    7. per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'articolo 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.




 



  • Se, in seguito alla commissione dei delitti indicati al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un


 



  1. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).


 


 


Art. 26 Delitti tentati



  1. Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente capo del

  2. L´ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell´azione o la realizzazione dell´evento.


 


 


Capo II


 


RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE E VICENDE MODIFICATIVE DELL´ENTE


 


 


SEZIONE I


Responsabilità patrimoniale dell´ente


 


Art. 27


Responsabilità patrimoniale dell´ente



  1. Dell´obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l´ente con il suo patrimonio o con il fondo

  2. I crediti dello Stato derivanti degli illeciti amministrativi dell´ente relativi a reati hanno privilegio secondo le disposizioni del codice di procedura penale sui crediti dipendenti da reato. A tale fine, la sanzione pecuniaria si intende equiparata alla pena


 


 


SEZIONE II


Vicende modificative dell´ente


 


Art. 28


Trasformazione dell´ente



  1. Nel caso di trasformazione dell´ente, resta ferma la responsabilità per i reati commessi anteriormente alla data in cui la trasformazione ha avuto effetto.


 


 


Art. 29


Fusione dell´ente



  1. Nel caso di fusione, anche per incorporazione, l´ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione.


 


 


Art. 30


Scissione dell´ente



  1. Nel caso di scissione parziale, resta ferma la responsabilità dell´ente scisso per i reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto, salvo quanto previsto dal comma

  2. Gli enti beneficiari della scissione, sia totale che parziale, sono solidalmente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall´ente scisso per i reati commessi anteriormente alla data dalla quale la scissione ha avuto effetto. L´obbligo è limitato al valore effettivo del patrimonio netto trasferito al singolo ente, salvo che si tratti di ente al quale è stato trasferito, anche in parte il ramo di attività nell´ambito del quale è stato commesso il

  3. Le sanzioni interdittive relative ai reati indicati nel comma 2, si applicano agli enti cui è rimasto o è stato trasferito, anche in parte, il ramo di attività nell´ambito del quale il reato è stato commesso.


 


 


Art. 31


Determinazione delle sanzioni nel caso di fusione o scissione



  1. Se la fusione o la scissione è avvenuta prima della conclusione del giudizio, il giudice, nella commisurazione della sanzione pecuniaria a norma dell´articolo 11, comma 2, tiene conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell´ente originariamente

  2. Salvo quanto previsto dall´articolo 17, l´ente risultante dalla fusione e l´ente al quale, nel caso di scissione, è applicabile la sanzione interdittiva possono chiedere al giudice la sostituzione della medesima con la sanzione pecuniaria, qualora, a seguito della fusione o della scissione, si sia realizzata la condizione prevista dalla lettera b) del comma 1 dell´articolo 17, e ricorrano le ulteriori condizioni di cui alle lettere a) e c) del medesimo articolo.

  3. Se accoglie la richiesta, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, sostituisce la sanzione interdittiva con una sanzione pecuniaria di ammontare pari da una a due volte quello della sanzione pecuniaria inflitta all´ente in relazione al medesimo

  4. Resta salva la facoltà dell´ente, anche nei casi di fusione o scissione successiva alla conclusione del giudizio, di chiedere la conversione della sanzione interdittiva in sanzione pecuniaria.


 


Art. 32


Rilevanza della fusione o della scissione ai fini della reiterazione


 


 



  1. Nei casi di responsabilità dell´ente risultante dalla fusione o beneficiario della scissione per reati commessi successivamente alla data dalla quale la fusione o la scissione ha avuto effetto, il giudice può ritenere la reiterazione, a norma dell´articolo 20, anche in rapporto a condanne pronunciate nei confronti degli enti partecipanti alla fusione o dell´ente scisso per reati commessi anteriormente a tale data.

  2. A tale fine, il giudice tiene conto della natura delle violazioni e dell´attività nell´ambito della quale sono state commesse nonchè delle caratteristiche della fusione o della

  3. Rispetto agli enti beneficiari della scissione, la reiterazione può essere ritenuta, a norma dei commi 1 e 2, solo se ad essi è stato trasferito, anche in parte, il ramo di attività nell´ambito del quale è stato commesso il reato per cui è stata pronunciata condanna nei confronti dell´ente scisso.


 


 


Art. 33


Cessione di azienda



  1. Nel caso di cessione dell´azienda nella cui attività è stato commesso il reato, il cessionario è solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione dell´ente cedente e nei limiti del valore dell´azienda, al pagamento della sanzione pecuniaria.

  2. L´obbligazione del cessionario è limitata alle sanzioni pecuniarie che risultano dai libri contabili obbligatori, ovvero dovute per illeciti amministrativi dei quali egli era comunque a

  3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di conferimento di


 


 


Capo III


PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO E DI APPLICAZIONE DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE SEZIONE I


Disposizioni generali


 


Art. 34


Disposizioni processuali applicabili



  1. Per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme di questo capo nonchè, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.


 


 


Art. 35


Estensione della disciplina relativa all´imputato



  1. All´ente si applicano le disposizioni processuali relative all´imputato, in quanto compatibili.


 


 


SEZIONE II


Soggetti, giurisdizione e competenza


 


Art. 36


Attribuzioni del giudice penale



  1. La competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell´ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi

  2. Per il procedimento di accertamento dell´illecito amministrativo dell´ente si osservano le disposizioni sulla composizione del tribunale e le disposizioni processuali collegate relative ai reati dai quali l´illecito amministrativo


 


 


Art. 37


Casi di improcedibilità


 



  1. Non si procede all´accertamento dell´illecito amministrativo dell´ente quando l´azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell´autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità.


 


 


Art. 38


Riunione e separazione dei procedimenti



  1. Il procedimento per l´illecito amministrativo dell´ente è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell´autore del reato da cui l´illecito

  2. Si procede separatamente per l´illecito amministrativo dell´ente soltanto quando:

    1. è stata ordinata la sospensione del procedimento ai sensi dell´articolo 71 del codice di procedura penale;

    2. il procedimento è stato definito con il giudizio abbreviato o con l´applicazione della pena ai sensi dell´articolo 444 del codice di procedura penale, ovvero è stato emesso il decreto penale di condanna;

    3. l´osservanza delle disposizioni processuali lo rende




 


 


Art. 39


Rappresentanza dell´ente



  1. L´ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l´illecito

  2. L´ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell´autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità:

    1. la denominazione dell´ente e le generalità del suo legale rappresentante;

    2. il nome ed il cognome del difensore e l´indicazione della procura;

    3. la sottoscrizione del difensore;

    4. la dichiarazione o l´elezione di



  3. La procura, conferita nelle forme previste dall´articolo 100, comma 1, del codice di procedura penale, è depositata nella segreteria del pubblico ministero o nella cancelleria del giudice ovvero è presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di cui al comma

  4. Quando non compare il legale rappresentante, l´ente costituito è rappresentato dal difensore.


 


 


Art. 40


Difensore di ufficio



  1. L´ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore di ufficio.


Art. 41


Contumacia dell´ente



  1. L´ente che non si costituisce nel processo è dichiarato contumace.


 


 


Art. 42


Vicende modificative dell´ente nel corso del processo



  1. Nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell´ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti da tali vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo, nello stato in cui lo stesso si trova, depositando la dichiarazione di cui all´articolo 39, comma 2.


 


 


Art. 43


Notificazioni all´ente



  1. Per la prima notificazione all´ente si osservano le disposizioni dell´articolo 154, comma 3, del codice di procedura

  2. Sono comunque valide le notificazioni eseguite mediante consegna al legale rappresentante, anche se imputato del reato da cui dipende l´illecito

  3. Se l´ente ha dichiarato o eletto domicilio nella dichiarazione di cui all´articolo 39 o in altro atto comunicato all´autorità giudiziaria, le notificazioni sono eseguite ai sensi dell´articolo 161 del codice di procedura

  4. Se non è possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dai commi precedenti, l´autorità giudiziaria dispone nuove ricerche. Qualora le ricerche non diano esito positivo, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sospende il


 


SEZIONE III


 


 


Prove Art. 44


Incompatibilità con l´ufficio di testimone



  1. Non può essere assunta come testimone:

    1. la persona imputata del reato da cui dipende l´illecito amministrativo;

    2. la persona che rappresenta l´ente indicata nella dichiarazione di cui all´articolo 39, comma 2, e che rivestiva tale funzione anche al momento della commissione del



  2. Nel caso di incompatibilità la persona che rappresenta l´ente può essere interrogata ed esaminata nelle forme, con i limiti e con gli effetti previsti per l´interrogatorio e per l´esame della persona imputata in un procedimento connesso.


 


 


SEZIONE IV


Misure cautelari


 


Art. 45


Applicazione delle misure cautelari



  1. Quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell´ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può richiedere l´applicazione quale misura cautelare di una delle sanzioni interdittive previste dall´articolo 9, comma 2, presentando al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi quelli a favore dell´ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già

  2. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza, in cui indica anche le modalità applicative della Si osservano le disposizioni dell´articolo 292 del codice di procedura penale.

  3. In luogo della misura cautelare interdittiva, il giudice può nominare un commissario giudiziale a norma dell´articolo 15 per un periodo pari alla durata della misura che sarebbe stata


 


Criteri di scelta delle misure



  1. Nel disporre le misure cautelari, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

  2. Ogni misura cautelare deve essere proporzionata all´entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere applicata all´ente.

  3. L´interdizione dall´esercizio dell´attività può essere disposta in via cautelare soltanto quando ogni altra misura risulti

  4. Le misure cautelari non possono essere applicate


 


 


Art. 47


Giudice competente e procedimento di applicazione



  1. Sull´applicazione e sulla revoca delle misure cautelari nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Nel corso delle indagini provvede il giudice per le indagini preliminari. Si applicano altresì le disposizioni di cui all´articolo 91 del decreto legislativo 28 luglio 1989, 271.

  2. Se la richiesta di applicazione della misura cautelare è presentata fuori udienza, il giudice fissa la data dell´udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all´ente e ai L´ente e i difensori sono altresì avvisati che, presso la cancelleria del giudice, possono esaminare la richiesta dal pubblico ministero e gli elementi sui quali la stessa si fonda.

  3. Nell´udienza prevista dal comma 2, si osservano le forme dell´articolo 127, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 10, del codice di procedura penale; i termini previsti ai commi 1 e 2 del medesimo articolo sono ridotti rispettivamente a cinque e a tre giorni. Tra il deposito della richiesta e la data dell´udienza non può intercorrere un termine superiore a quindici


 


 


Art. 48


Adempimenti esecutivi



  1. L´ordinanza che dispone l´applicazione di una misura cautelare è notificata all´ente a cura del pubblico ministero.


 


 


Art. 49


Sospensione delle misure cautelari



  1. Le misure cautelari possono essere sospese se l´ente chiede di poter realizzare gli adempimenti cui la legge condiziona l´esclusione di sanzioni interdittive a norma dell´articolo 17. In tal caso, il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma di denaro a titolo di cauzione, dispone la sospensione della misura e indica il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie di cui al medesimo articolo 17.

  2. La cauzione consiste nel deposito presso la Cassa delle ammende di una somma di denaro che non può comunque essere inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l´illecito per cui si In luogo del deposito, è ammessa la prestazione di una garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale.

  3. Nel caso di mancata, incompleta o inefficace esecuzione delle attività nel termine fissato, la misura cautelare viene ripristinata e la somma depositata o per la quale è stata data garanzia è devoluta alla Cassa delle

  4. Se si realizzano le condizioni di cui all´articolo 17 il giudice revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma depositata o la cancellazione dell´ipoteca; la fideiussione prestata si


 


 


Art. 50


Revoca e sostituzione delle misure cautelari



  1. Le misure cautelari sono revocate anche d´ufficio quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall´articolo 45 ovvero quando ricorrono le ipotesi previste dall´articolo

  2. Quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all´entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere applicata in via definitiva, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o dell´ente, sostituisce la misura con un´altra meno grave ovvero ne dispone l´applicazione con modalità meno gravose, anche stabilendo una minore


 


Durata massima delle misure cautelari



  1. Nel disporre le misure cautelari il giudice ne determina la durata, che non può superare un .

  2. Dopo la sentenza di condanna di primo grado, la durata della misura cautelare può avere la stessa durata della corrispondente sanzione applicata con la medesima sentenza. In ogni caso, la durata della misura cautelare non può superare un anno e quattro mesi..

  3. Il termine di durata delle misure cautelari decorre dalla data della notifica dell´ordinanza.

  4. La durata delle misure cautelari è computata nella durata delle sanzioni applicate in via


 


 


Art. 52


Impugnazione dei provvedimenti che applicano le misure cautelari



  1. Il pubblico ministero e l´ente, per mezzo del suo difensore, possono proporre appello contro tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari, indicandone contestualmente i motivi. Si osservano le disposizioni di cui all´articolo 322-bis, commi 1-bis e 2, del codice di procedura

  2. Contro il provvedimento emesso a norma del comma 1, il pubblico ministero e l´ente, per mezzo del suo difensore, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. Si osservano le disposizioni di cui all´articolo 325 del codice di procedura


 


 


Art. 53


Sequestro preventivo



  1. Il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell´articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili.


1-bis. Ove il sequestro, eseguito ai fini della confisca per equivalente prevista dal comma 2 dell'articolo 19, abbia ad oggetto società, aziende ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché quote azionarie o liquidità anche se in deposito, il custode amministratore giudiziario ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone all'autorità giudiziaria. In caso di violazione della predetta finalità l'autorità giudiziaria adotta i provvedimenti conseguenti e può nominare un amministratore nell'esercizio dei poteri di azionista. Con la nomina si intendono eseguiti gli adempimenti di cui all'articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.



  1. In caso di sequestro in danno di società che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale e di loro controllate, si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89.


 


 


Art. 54


Sequestro conservativo



  1. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all´erario dello Stato, il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili dell´ente o delle somme o cose allo stesso dovute. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 316, comma 4, 317, 318, 319 e 320 del codice di procedura penale, in quanto applicabili.


 


 


SEZIONE V


Indagini preliminari e udienza preliminare


 


Art. 55


Annotazione dell´illecito amministrativo



  1. Il pubblico ministero che acquisisce la notizia dell´illecito amministrativo dipendente da reato commesso dall´ente annota immediatamente, nel registro di cui all´articolo 335 del codice di procedura penale, gli elementi identificativi dell´ente unitamente, ove possibile, alle generalità del suo legale rappresentante nonché il reato da cui dipende l´illecito.

  2. L´annotazione di cui al comma 1 è comunicata all´ente o al suo difensore che ne faccia richiesta negli stessi limiti in cui è consentita la comunicazione delle iscrizioni della notizia di reato alla persona alla quale il reato è attribuito.


 


 


Art. 56


Termine per l´accertamento dell´illecito amministrativo nelle indagini preliminari



  1. Il pubblico ministero procede all´accertamento dell´illecito amministrativo negli stessi termini previsti per le indagini preliminari relative al reato da cui dipende l´illecito stesso.

  2. Il termine per l´accertamento dell´illecito amministrativo a carico dell´ente decorre dalla annotazione prevista dall´articolo 55.


 


 


Art. 57


Informazione di garanzia



  1. L´informazione di garanzia inviata all´ente deve contenere l´invito a dichiarare ovvero eleggere domicilio per le notificazioni nonché l´avvertimento che per partecipare al procedimento deve depositare la dichiarazione di cui all´articolo 39, comma 2.


 


 


Art. 58 Archiviazione



  1. Se non procede alla contestazione dell´illecito amministrativo a norma dell´articolo 59, il pubblico ministero emette decreto motivato di archiviazione degli atti, comunicandolo al procuratore generale presso la corte d´appello. Il procuratore generale può svolgere gli accertamenti indispensabili e, qualora ritenga ne ricorrano le condizioni, contesta all´ente le violazioni amministrative conseguenti al reato entro sei mesi dalla comunicazione.


 


 


Art. 59


Contestazione dell´illecito amministrativo



  1. Quando non dispone l´archiviazione, il pubblico ministero contesta all´ente l´illecito amministrativo dipendente dal reato. La contestazione dell´illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall´articolo 405, comma 1, del codice di procedura

  2. La contestazione contiene gli elementi identificativi dell´ente, l´enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l´applicazione delle sanzioni amministrative, con l´indicazione del reato da cui l´illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di


 


 


Art. 60


Decadenza dalla contestazione



  1. Non può procedersi alla contestazione di cui all´articolo 59 quando il reato da cui dipende l´illecito amministrativo dell´ente è estinto per prescrizione.


 


 


Art. 61


Provvedimenti emessi nell´udienza preliminare



  1. Il giudice dell´udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi di estinzione o di improcedibilità della sanzione amministrativa, ovvero quando l´illecito stesso non sussiste o gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell´ente. Si applicano le disposizioni dell´articolo 426 del codice di procedura

  2. Il decreto che, a seguito dell´udienza preliminare, dispone il giudizio nei confronti dell´ente, contiene, a pena di nullità, la contestazione dell´illecito amministrativo dipendente dal reato, con l´enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l´applicazione delle sanzioni e l´indicazione del reato da cui l´illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova nonché gli elementi identificativi dell´ente.


 


 


SEZIONE VI


Procedimenti speciali


 


Art. 62


Giudizio abbreviato



  1. Per il giudizio abbreviato si osservano le disposizioni del titolo I del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto applicabili.


 


 



  1. Se manca l´udienza preliminare, si applicano, secondo i casi, le disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558, comma

  2. La riduzione di cui all´articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale è operata sulla durata della sanzione interdittiva sull´ammontare della sanzione

  3. In ogni caso, il giudizio abbreviato non è ammesso quando per l´illecito amministrativo è prevista l´applicazione di una azione interdittiva in via


 


 


Art. 63


Applicazione della sanzione su richiesta



  1. L´applicazione all´ente della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell´imputato è definito ovvero definibile a norma dell´articolo 444 del codice di procedura penale nonché in tutti i casi in cui per l´illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria. Si osservano le disposizioni di cui al titolo II del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto applicabili.

  2. Nei casi in cui è applicabile la sanzione su richiesta, la riduzione di cui all´articolo 444, comma 1, del codice di procedura penale è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull´ammontare della sanzione

  3. Il giudice, se ritiene che debba essere applicata una sanzione interdittiva in via definitiva, rigetta la


 


 


Art. 64


Procedimento per decreto



  1. Il pubblico ministero, quando ritiene che si debba applicare la sola sanzione pecuniaria, può presentare al giudice per le indagini preliminari, entro sei mesi dalla data dell´annotazione dell´illecito amministrativo nel

  2. registro di cui all´articolo 55 e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata di emissione del decreto di applicazione della sanzione pecuniaria, indicandone la

  3. Il pubblico ministero può chiedere l´applicazione di una sanzione pecuniaria diminuita sino alla metà rispetto al minimo dell´importo applicabile.

  4. Il giudice, quando non accoglie la richiesta, se non deve pronunciare sentenza di esclusione della responsabilità dell´ente, restituisce gli atti al pubblico

  5. Si osservano le disposizioni del titolo V del libro sesto e dell´articolo 557 del codice di procedura penale, in quanto compatibili.


 


 


SEZIONE VII


Giudizio


 


Art. 65


Termine per provvedere alla riparazione delle conseguenze del reato



  1. Prima dell´apertura del dibattimento di primo grado, il giudice può disporre la sospensione del processo se l´ente chiede di provvedere alle attività di cui all´articolo 17 e dimostra di essere stato nell´impossibilità di effettuarle prima. In tal caso, il giudice, se ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma di denaro a titolo di cauzione. Si osservano le disposizioni di cui all´articolo 49.


 


Art. 66


Sentenza di esclusione della responsabilità dell´ente



  1. Se l´illecito amministrativo contestato all´ente non sussiste, il giudice lo dichiara con sentenza, indicandone la causa nel dispositivo. Allo stesso modo procede quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova dell´illecito amministrativo.


 


 


Art. 67


Sentenza di non doversi procedere



  1. Il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere nei casi previsti dall´articolo 60 e quando la sanzione è estinta per prescrizione.


 


 


Art. 68


Provvedimenti sulle misure cautelari



  1. Quando pronuncia una delle sentenza di cui agli articoli 66 e 67, il giudice dichiara la cessazione delle misure cautelari eventualmente disposte.


 


 


Art. 69


Sentenza di condanna



  1. Se l´ente risulta responsabile dell´illecito amministrativo contestato il giudice applica le sanzioni previste dalla legge e lo condanna al pagamento delle spese

  2. In caso di applicazione delle sanzioni interdittive la sentenza deve sempre indicare l´attività o le strutture oggetto della


 


 


Art. 70


Sentenza in caso di vicende modificative dell´ente



  1. Nel caso di trasformazione, fusione o scissione dell´ente responsabile, il giudice dà atto nel dispositivo che la sentenza è pronunciata nei confronti degli enti risultanti dalla trasformazione o fusione ovvero beneficiari della scissione, indicando l´ente originariamente

  2. La sentenza pronunciata nei confronti dell´ente originariamente responsabile ha comunque effetto anche nei confronti degli enti indicati nel comma


 


 


SEZIONE VIII


Impugnazioni


 


Art. 71


Impugnazioni delle sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell´ente



  1. Contro la sentenza che applica sanzioni amministrative diverse da quelle interdittive l´ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per l´imputato del reato dal quale dipende l´illecito

  2. Contro la sentenza che applica una o più sanzioni interdittive, l´ente può sempre proporre appello anche se questo non è ammesso per l´imputato del reato dal quale dipende l´illecito

  3. Contro la sentenza che riguarda l´illecito amministrativo il pubblico ministero può proporre le stesse impugnazioni consentite per il reato da cui l´illecito amministrativo


 


 


Art. 72


Estensione delle impugnazioni



  1. Le impugnazioni proposte dall´imputato del reato da cui dipende l´illecito amministrativo e dall´ente, giovano, rispettivamente, all´ente e all´imputato, purché non fondate su motivi esclusivamente personali.


 


 


Art. 73


Revisione delle sentenze



  1. Alle sentenze pronunciate nei confronti dell´ente si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo IV del libro nono del codice di procedura penale ad eccezione degli articoli 643, 644, 645, 646 e 647.


 


 


SEZIONE IX


 


Esecuzione Art. 74 Giudice dell´esecuzione



  1. Competente a conoscere dell´esecuzione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato è il giudice indicato nell´articolo 665 del codice di procedura

  2. Il giudice indicato nel comma 1 è pure competente per i provvedimenti relativi:

    1. alla cessazione dell´esecuzione delle sanzioni nei casi previsti dall´articolo 3;

    2. alla cessazione dell´esecuzione nei casi di estinzione del reato per amnistia;




 


 



  1. alla determinazione della sanzione amministrativa applicabile nei casi previsti dall´articolo 21, commi 1 e 2;

  2. alla confisca e alla restituzione delle cose



  1. Nel procedimento di esecuzione si osservano le disposizioni di cui all´articolo 666 del codice di procedura penale, in quanto applicabili. Nei casi previsti dal comma 2, lettere b) e d) si osservano le disposizioni di cui all´articolo 667, comma 4, del codice di procedura

  2. Quando è applicata l´interdizione dall´esercizio dell´attività, il giudice, su richiesta dell´ente, può autorizzare il compimento di atti di gestione ordinaria che non comportino la prosecuzione dell´attività Si osservano le disposizioni di cui all´articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale.


 


 


Art. 75


Esecuzione delle sanzioni pecuniarie (articolo abrogato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)


 


 


Art. 76


Pubblicazione della sentenza applicativa della condanna



  1. La pubblicazione della sentenza di condanna è eseguita a spese dell´ente nei cui confronti è stata applicata la sanzione. Si osservano le disposizioni di cui all´articolo 694, commi 2, 3 e 4, del codice di procedura penale.


 


 


Art. 77


Esecuzione delle sanzioni interdittive



  1. L´estratto della sentenza che ha disposto l´applicazione di una sanzione interdittiva è notificata all´ente a cura del pubblico

  2. Ai fini della decorrenza del termine di durata delle sanzioni interdittive si ha riguardo alla data della


 


 


Art. 78


Conversione delle sanzioni interdittive



  1. L´ente che ha posto in essere tardivamente le condotte di cui all´articolo 17, entro venti giorni dalla notifica dell´estratto della sentenza, può richiedere la conversione della sanzione amministrativa interdittiva in sanzione

  2. La richiesta è presentata al giudice dell´esecuzione e deve contenere la documentazione attestante l´avvenuta esecuzione degli adempimenti di cui all´articolo 17.

  3. Entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, il giudice fissa l´udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori; se la richiesta non appare manifestamente infondata, il giudice può sospendere l´esecuzione della La sospensione è disposta con decreto motivato revocabile.

  4. Se accoglie la richiesta il giudice, con ordinanza, converte le sanzioni interdittive, determinando l´importo della sanzione pecuniaria in una somma non inferiore a quella già applicata in sentenza e non superiore al doppio della stessa. Nel determinare l´importo della somma il giudice tiene conto della gravità dell´illecito ritenuto in sentenza e delle ragioni che hanno determinato il tardivo adempimento delle condizioni di cui all´articolo


 


 


Art. 79


Nomina del commissario giudiziale e confisca del profitto


 



  1. Quando deve essere eseguita la sentenza che dispone la prosecuzione dell´attività dell´ente ai sensi dell´articolo 15, la nomina del commissario giudiziale è richiesta dal pubblico ministero al giudice dell´esecuzione, il quale vi provvede senza formalità.

  2. Il commissario riferisce ogni tre mesi al giudice dell´esecuzione e al pubblico ministero sull´andamento della gestione e, terminato l´incarico, trasmette al giudice una relazione sull´attività svolta nella quale rende conto della gestione, indicando altresì l´entità del profitto da sottoporre a confisca e le modalità con le quali sono stati attuati i modelli

  3. Il giudice decide sulla confisca con le forme dell´articolo 667, comma 4, del codice di procedura

  4. Le spese relative all´attività svolta dal commissario e al suo compenso sono a carico dell´ente.


 


 


Art. 80


Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)


 


 


Art. 81


Certificati dell´anagrafe (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)


 


 


Art. 82


Questioni concernenti le iscrizioni e i certificati (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)


 


 


Capo IV


 


DISPOSIZIONI DI ATTUAZIONE E DI COORDINAMENTO


 


Art. 83 Concorso di sanzioni



  1. Nei confronti dell´ente si applicano soltanto le sanzioni interdittive stabilite nel presente decreto legislativo anche quando diverse disposizioni di legge prevedono, in conseguenza della sentenza di condanna per il reato, l´applicazione nei confronti dell´ente di sanzioni amministrative di contenuto identico o

  2. Se, in conseguenza dell´illecito, all´ente è stata già applicata una sanzione amministrativa di contenuto identico o analogo a quella interdittiva prevista dal presente decreto legislativo, la durata della sanzione già sofferta è computata ai fini della determinazione della durata della sanzione amministrativa dipendente da reato.


 


 


Art. 84


Comunicazioni alle autorità di controllo o di vigilanza



  1. Il provvedimento che applica misure cautelari interdittive e la sentenza irrevocabile di condanna sono comunicati, a cura della cancelleria del giudice che li ha emessi, alle autorità che esercitano il controllo o la vigilanza sull´ente.


 


 


Art. 85


Disposizioni regolamentari (articolo abrogato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)


 


 


ALLEGATO B - REATI PRESUPPOSTO


 



  • Reati contro la Pubblica Amministrazione (artt. 24 e 25)


 


L’art. 24 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche o frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.

  2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento

  3. Nei casi previsti dai commi precedenti si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma


2, lettere c), d) ed e).


 


L’art. 25 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e


corruzione”2, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321 e 322, commi 1 e 3, e 346-bis del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento

  2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319, 319-ter, comma 1, 321, 322, commi 2 e


4, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 317, 319, aggravato ai sensi dell’articolo 319- bis quando dal fatto l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, 319-ter, comma 2, 319-quater e 321 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento

  2. Le sanzioni pecuniarie previste per i delitti di cui ai commi da 1 a 3, si applicano all’ente anche quando


tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 320 e 322-bis.



  1. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 2 e 3, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sette anni, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), e per una durata non inferiore a due anni e non superiore a quattro, se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b);


5bis. Se prima della sentenza di primo grado l'ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall'articolo 13, comma 2.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 24 e dall’art. 25 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 316-bis c.p. Malversazione a danno dello Stato;

  • 316-ter c.p. Indebita percezione di erogazione a danno dello Stato;

  • 640, comma 2, n. 1 c.p. Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico;

  • 640-bis c.p. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche;

  • 640-ter c.p. Frode informatica;


 


2 Recentemente riformato in seguito all’approvazione della Legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”


 


 



  • 317 c.p. Concussione;

  • 318 c.p. Corruzione per l’esercizio della funzione;

  • 319 c.p. Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio;

  • 319-ter c.p. Corruzione in atti giudiziari;

  • 319-quater c.p. Induzione indebita a dare o promettere utilità;

  • 320 c.p. Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio;

  • 322 c.p. Istigazione alla corruzione;

  • 322-bis c.p. Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri;

  • 346-bis c.p. Traffico di influenze illecite.


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 316-bis Malversazione a danno dello Stato


 


Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.


 


In tale ipotesi di reato rileva che i predetti finanziamenti, sovvenzioni o contributi siano conferiti da un organismo pubblico, ossia un qualsiasi organismo istituito, anche in forma societaria, per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi ovvero il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da componenti dei quali più della metà sia designata dai medesimi soggetti suindicati, nonché, infine, sia dotato di personalità giuridica, e siano qualificati come attribuzioni di denaro a fondo perduto o caratterizzati da un’onerosità ridotta rispetto a quella derivante dalla applicazione delle ordinarie condizioni di mercato.


 


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo consiste nel non utilizzare le somme ottenute agli scopi cui erano destinate (la condotta, infatti, consiste nell’avere distratto, anche parzialmente, le attribuzioni di denaro, senza che rilevi che l’attività programmata si sia comunque svolta);

  • tenuto conto che il momento in cui il reato si considera consumato coincide con il momento in cui si verifica l’inadempimento all’obbligo di destinazione dei fondi allo scopo predefinito, ossia quando i fondi oggetto di contributi o sovvenzioni o finanziamenti sono distratti dalla loro destinazione, a nulla rilevando la tardiva destinazione di essi alle medesime, il reato stesso può configurarsi anche con riferimento a finanziamenti già ottenuti in passato e che successivamente non vengano destinati alle finalità per cui erano stati erogati;

  • l’elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà di utilizzare i contributi, le sovvenzioni o i finanziamenti percepiti per il raggiungimento di un fine diverso da quello per il quale gli stessi sono stati erogati.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare parte di fondi agevolati debitamente ricevuti per


uno scopo diverso e non compatibile con quello previsto dal bando agevolativo.


 


Art. 316-ter Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato


 


Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.


 


 


Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a € 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da € 5.164,00 a € 25.822,00. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


In questa fattispecie di reato, contrariamente a quanto visto all’art. 316-bis “Malversazione a danno dello Stato”, a nulla rileva l’uso che venga fatto delle erogazioni, in quanto il reato viene a realizzarsi nel momento dell’indebito ottenimento dei finanziamenti.


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo può consistere in una condotta commissiva (utilizzazione e presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere) o omissiva (mancata indicazione di informazioni dovute);

  • nel concetto di conseguimento indebito di una "erogazione" da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di "contribuzione" ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità;

  • è un reato di natura sussidiaria o residuale rispetto alla fattispecie della truffa aggravata ai danni dello Stato per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis), poiché si configura solamente nei casi in cui la condotta non integri gli estremi di tale più grave reato. Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 640 comma si richiede che la condotta sia posta in essere in modo fraudolento, ovverosia tramite artifici o raggiri, e comporti l’induzione in errore dell’organismo pubblico erogante il reato si consuma nel momento in cui l’erogazione viene conseguita ed è ammissibile il tentativo;

  • l’elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà dell’ottenimento della somma di denaro non


dovuta.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’ottenere fondi agevolati a seguito di una domanda che


contiene informazioni false o dichiarazioni false, finalizzate a migliorare il punteggio complessivo ottenuto.


 


Art. 640, comma 2, n.1 Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico


 


Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51,00 a € 1032,00.


 


La pena è della reclusione ad uno a cinque anni e della multa da € 309,00 a € 1.549,00:



  • se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare;

  • se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o


l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità.


2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).


 


Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400.


 


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, per realizzare per sé o per altri un ingiusto profitto, siano posti in essere degli artifici o raggiri tali da indurre in errore e conseguentemente da arrecare un danno allo Stato (oppure ad altro ente pubblico o all’Unione Europea).


Il reato di truffa risulta altresì integrato, qualora siano omesse informazioni che, se conosciute dall’ente, avrebbero indotto quest’ultimo a porre parere negativo alla sua volontà negoziale.


Si precisa che:


 


 



  • l’elemento oggettivo del reato consiste in una condotta che si sostanzia nell’indurre taluno in errore utilizzando artifici o Per artifici si intende qualsiasi manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna atta a trarre in inganno. I raggiri consistono invece in qualsiasi attività simulatrice posta in essere con parole e argomentazioni che fanno scambiare il falso per il vero;

  • il reato si consuma nel momento in cui si verifichi la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo;

  • l’elemento soggettivo è caratterizzato dalla coscienza e volontà di porre in essere artifici e raggiri per indurre in errore il soggetto passivo, al fine di ottenere un ingiusto profitto.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel rendere dichiarazioni parziali e fuorvianti o presentare informazioni fallaci alla Pubblica Amministrazione, con la finalità di ridurre il sacrificio economico che deriva da un adempimento dovuto o da una sanzione.


 


 


Art. 640-bis Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche


 


La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400.


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui la truffa sia posta in essere per conseguire in modo indebito erogazioni pubbliche. L’elemento qualificante rispetto al reato precedentemente esaminato è costituito dall’oggetto materiale della frode in quanto per erogazione pubblica va intesa ogni attribuzione economica agevolata erogata da parte dello Stato, di enti pubblici o dell’Unione Europea.


Tale fattispecie può realizzarsi qualora si pongano in essere artifici o raggiri idonei ad indurre in errore il soggetto erogante, come, a titolo esemplificativo, nel caso di trasmissione di dati non corrispondenti al vero oppure predisponendo una documentazione falsa, sempre con l’intento di ottenere l’erogazione di finanziamenti, contributi, mutui agevolati per impieghi predefiniti o di altre erogazioni concessi dallo Stato o da altri Enti Pubblici o dalla Unione Europea.


Si precisa che:



  • l’oggetto della condotta incriminata è rappresentato da contributi, finanziamenti, mutui agevolati, altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate e che tra di esse rientrano tutte le attività di "contribuzione" ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico indebito a discapito della Pubblica Amministrazione e, quindi, della comunità;

  • il reato si configura solo se l’oggetto della condotta incriminata proviene dallo Stato, da altri enti pubblici (istituti dotati di personalità giuridica attraverso i quali viene esercitata l’attività amministrativa), dalla Comunità Europea;

  • il reato si consuma nel momento in cui le erogazioni vengono percepite. A tal proposito occorre precisare che il reato in oggetto non si perfeziona con la semplice esposizione di dati e notizie non rispondenti al vero, ma richiede “un’opera fraudolenta capace di vanificare o di rendere meno agevole l’attività di controllo della richiesta di finanziamento da parte degli organi preposti”3. Nei casi in cui la condotta non presenti il carattere della fraudolenza si considera integrato il reato di cui all’art. 316-ter c.p.;

  • l’elemento soggettivo è caratterizzato dalla coscienza e volontà di porre in essere artifici e raggiri,


tali da indurre in errore l’organismo pubblico, al fine di conseguire un’indebita erogazione.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’ottenere fondi agevolati a seguito di una domanda che contiene dichiarazioni parziali e fuorvianti o informazioni fallaci, finalizzate a migliorare il punteggio complessivo ottenuto.


 


 


Art. 640-ter Frode informatica


 


Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico, o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51,00 a € 1.032,00.


 


La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309,00 a € 1.549,00 se ricorre una delle circostanze previste al numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.


 


La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è


commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti4.


 


 


3 Cass. n. 26351 del 2002


4 Comma inserito dall’art. 9, comma 1, lett. a), D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla



  1. 15.10.2013, n. 119.


 


 


Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o taluna delle circostanze previste dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all’età, e numero 75.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500. Se, in seguito alla commissione del delitto, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante gravità o è derivato un danno di particolare gravità, si applica la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 929.400. Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Il reato in esame è rilevante ai fini della responsabilità amministrativa degli enti ex art. 24 D. Lgs. 231/2001 solamente nei casi in cui lo stesso sia commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico.


 


La norma in esame prevede e punisce due tipologie di condotta incriminate: la prima consiste nell’alterazione del funzionamento del sistema informatico o telematico, ossia in una modifica del regolare svolgimento di un processo di elaborazione o di trasmissione di dati; la seconda coincide con l’intervento, senza diritto, con qualsiasi modalità, su dati, informazioni o programmi contenuti nel sistema, e pertanto ogni forma di interferenza diversa dall’alterazione del funzionamento del sistema.


 


L’oggetto materiale della condotta – ossia la cosa sulla quale ricade l’azione illecita del soggetto agente – può essere costituito dal sistema informatico o telematico appartenente ad un soggetto diverso dall’agente, o dalle informazioni, dai dati o dai programmi pertinenti a tale sistema informatico.


Le condotte descritte devono essere realizzate “senza diritto”. Si tratta di un elemento di illiceità speciale della fattispecie che deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’autore del reato. Quest’ultimo, infatti, al momento dell’azione sul sistema informatico deve essere consapevole e volere conseguire finalità diverse da quelle volute dal legittimo titolare/utilizzatore del sistema o di agire all’insaputa di questi6.


 


Il terzo comma introduce una circostanza aggravante ad effetto speciale per il caso in cui il reato sia commesso


con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in modo da danneggiare uno o più soggetti.


 


 


Art. 317 Concussione


 


Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni7.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;3- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);4- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale, abusando della sua posizione, costringa taluno a procurare a sé o ad altri denaro o altre utilità non dovutegli.


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo si sostanzia nella condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che costringe taluno (abusando della propria posizione) a tenere un determinato comportamento;

  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso solo da chi detenga la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Si ricorda che ai sensi dell’art. 357 c.p., recante la nozione di pubblico ufficiale “agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione


 


55 Comma così modificato dall’art. 9 del D.Lgs. 10 aprile 2018, n.36.


6 In tal senso di è espressa anche Cass. sez. VI, 14 dicembre 1999, n. 3065, secondo la quale: << Il reato di frode informatica ha la medesima struttura e quindi i medesimi elementi costitutivi della truffa dalla quale si differenzia solamente perché l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema>>


7 Articolo modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, la quale ha reintrodotto la punibilità per la figura


dell’incaricato di un pubblico servizio, la quale era stata invece esclusa dalla L. n. 190/2012.


 


 


o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”. Si ricorda che ai sensi dell’art. 358 c.p., recante la nozione di incaricato di pubblico servizio “agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio”. Per “pubblico servizio” deve intendersi “un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.



  • il reato si consuma nel momento in cui viene eseguita la dazione o la promessa, che non devono avere necessariamente carattere economico ben potendo consistere l’utilità in “tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un facere e ritenuto rilevante o dalla consuetudine o da un convincimento comune”8. Al contrario, nel caso in cui l’indebita richiesta di denaro da parte del pubblico ufficiale venga rifiutata dal privato, non ricorre il delitto di concussione, ma è configurabile quello di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322 p.;

  • l’elemento soggettivo consiste nella consapevolezza e volontà del soggetto agente di abusare dei suoi poteri o delle sue funzioni al fine di ottenere indebitamente una qualche utilità.


 


 


Art. 318 Corruzione per l’esercizio della funzione


 


Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé


o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a sei anni9.


 


Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 309.800.


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale riceva, per sé o per altri, denaro o altri vantaggi per esercitare le proprie funzioni, ovverosia per adempiere correttamente alle proprie mansioni.


Precedentemente alla riforma normativa introdotta dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190, l’art. 318 c.p., rubricato “Corruzione per un atto d’ufficio”, richiedeva un collegamento necessario tra la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità ed uno specifico atto da adottare o già adottato dal pubblico ufficiale corrotto. Ne derivava che in assenza di un atto specificatamente individuato, o quantomeno individuabile, il reato di corruzione per un atto d’ufficio non poteva essere configurato. Rischiavano pertanto di rimanere sprovviste di tutela penale tutte quelle situazioni in cui il privato cittadino assoggettasse più o meno sistematicamente il pubblico ufficiale in una situazione di pressoché totale asservimento ottenuta attraverso l’elargizione di doni e regalie in assenza di un immediato tornaconto, ma con l’intento di assicurarsi futuri favori da parte dell’amministratore. In tali casi, nei quali molto labile era il collegamento tra la dazione o la promessa indebite e l’atto adottato, erano richiesti grandi sforzi interpretativi alla Suprema Corte.


Oggi, con il riferimento al mero “esercizio della funzione”, non è più necessario che la dazione o la promessa di denaro o altra utilità siano corrispettivo di un atto specifico, si configura pertanto una tutela anticipata, in quanto ciò che la norma in esame intende prevenire ed evitare è qualsivoglia condizionamento che possa essere operato da un privato cittadino su un soggetto che, nello svolgimento della propria attività, possa concorrere a condizionare le scelte della Pubblica Amministrazione.


Si precisa che:


 



  • l’attività del pubblico ufficiale si estrinseca in una condotta doverosa, che non contrasta con i doveri d’ufficio, ma, anzi, ne costituisce esatto adempimento, pertanto si parla di “corruzione impropria”;

  • in passato, alla luce della natura di “retribuzione” propria della dazione o della promessa di denaro


o di altra utilità cui la norma incriminatrice in esame faceva riferimento, non venivano considerati rientranti nella nozione di “altra utilità” gli omaggi di cortesia di modesta entità, purché di valore contenuto. Va però rilevato che la Cassazione, con sentenza n. 12192 del 6 settembre 1990, aveva sancito che la lesione al prestigio e all’interesse della Pubblica Amministrazione prescinde dalla proporzionalità o dall’equilibrio fra l’atto d’ufficio e la somma o l’utilità corrisposta. In seguito alla riforma normativa introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n.190, in conformità con quanto già espresso dalla Suprema Corte, è stato eliminato ogni riferimento al concetto di “retribuzione”. Ci si chiede pertanto se in seguito a tale modifica venga meno, ai fini dell’integrazione del reato, il previgente requisito di “proporzionalità” tra utilità data o promessa e atto richiesto;



  • il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione. Al contrario, nel caso in cui l’indebita offerta di denaro da parte del privato venga rifiutata dal pubblico ufficiale, non ricorre il delitto di corruzione, ma è configurabile quello di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322 p.


 


8 Cass. Pen., sez. VI, 15 febbraio 2011, n.10792.


9 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


 


 


 


Tale ipotesi di reato di “corruzione” – che configura una violazione del principio di correttezza ed imparzialità cui deve comunque conformarsi l’attività della Pubblica Amministrazione – si differenzia dalla concussione, in quanto tra corrotto e corruttore esiste un accordo finalizzato a raggiungere un vantaggio reciproco, mentre nella concussione il privato subisce la condotta del pubblico ufficiale. Si differenzia altresì dal delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, in quanto in tale ultima ipotesi è il pubblico ufficiale a prendere l’iniziativa, sollecitando la promessa o la dazione.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale per rendere più rapido il procedimento istruttorio di una pratica che è stata presentata.


 


 


Art. 319 Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio


 


Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni10.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400.


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;8- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);9- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Il reato si configura nel caso in cui il pubblico ufficiale, dietro corresponsione di denaro o altra utilità, ometta o ritardi un atto dovuto ovvero compia un atto non dovuto anche se apparentemente e formalmente regolare e quindi contrario ai principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione.


In questo caso il Legislatore, a differenza di quanto già visto nel corso dell’analisi dell’art. 318 c.p., ha ritenuto di mantenere inalterato il riferimento al singolo atto contrario ai doveri d’ufficio, che pertanto deve risultare specificamente individuato, o quantomeno individuabile, ai fini dell’integrazione del reato in esame.


 


Si precisa che:


 



  • l’attività del pubblico ufficiale si estrinseca in un atto contrario ai doveri d’ufficio, e dunque in un atto non dovuto. Detto atto non dovuto può ricondursi ad atto illegittimo o illecito o ad atto posto in essere contrariamente all’osservanza dei doveri che competono al pubblico ufficiale. In questo caso si parla di “corruzione propria”;

  • non sono considerati rientranti nella nozione di “altra utilità” gli omaggi di cortesia di modesta entità, purché di valore contenuto. In particolare “nell’apprezzamento della controprestazione offerta dal corruttore non possono considerarsi rilevanti quei regali che si giustifichino con il preesistente rapporto affettivo tra le parti e quelli il cui valore economico sia talmente sproporzionato in difetto rispetto alla prestazione illecita da dimostrare l’improbabilità del sinallagma richiesto per la sussistenza del reato”11;

  • il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione. Al contrario, nel caso in cui l’indebita offerta di denaro da parte del privato venga rifiutata dal pubblico ufficiale, non ricorre il delitto di corruzione, ma è configurabile quello di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322 p.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale per omettere di segnalare anomalie emerse a seguito di una verifica disposta dalle Autorità di Vigilanza.


 


 


Art. 319-bis Circostanze aggravanti


 


La pena è aumentata se il fatto di cui all’articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a);11- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);12- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


La circostanza aggravante ricorre se il fatto di cui all’articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici


impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla


 


10 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


11 Cass. Pen., sez. VI, 18 giugno 2010, n. 24656.


 


 


quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi.


La norma introduce un’aggravante speciale del reato previsto dall’art. 319 c.p., precedentemente analizzato.


 


 


Art. 319-ter Corruzione in atti giudiziari


 


Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.


 


Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni12.


 


Per il primo comma


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;17- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);18- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Per il secondo comma


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;20- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);21- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Il reato di corruzione in atti giudiziari costituisce un’autonoma fattispecie criminosa caratterizzata dal fatto che la condotta incriminata viene posta in essere nell’ambito di un procedimento giudiziario (civile, penale o amministrativo) al fine di avvantaggiare o sfavorire una parte nel procedimento stesso.


Anche in questo caso, ai fini dell’integrazione del reato è necessario che la corruzione sia rivolta ad un pubblico ufficiale, quale si considerano non soltanto i magistrati, ma anche i cancellieri e tutti gli altri funzionari che possano essere coinvolti nell’espletamento del procedimento e siano in qualunque modo in grado di condizionarne le sorti.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un giudice per giungere a sentenza favorevole in un procedimento di contenzioso tributario.


 


Art. 319-quater Induzione indebita a dare o promettere utilità13


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi.


 


Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239. 200


 


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;25- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);26- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei


 


12 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


13 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la


pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


 


 


reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità costituisce un’ipotesi di reato intermedia tra le fattispecie incriminatrici di concussione e di corruzione, che si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, abusando della propria posizione, induca taluno a procurare a sé o ad altri denaro o altre utilità non dovutegli.


 


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo si sostanzia nella condotta del pubblico ufficiale che induce taluno (abusando della propria posizione) a tenere un determinato comportamento. È proprio la modalità con cui il soggetto attivo del reato persegue l’ottenimento della dazione o della promessa indebita l’elemento di differenziazione rispetto al delitto di Prima dell’intervento riformistico della L. 6 novembre 2012, n. 190, il delitto di cui all’art. 317 c.p. puniva infatti due tipologie di condotta, ovverosia la costrizione e l’induzione operate dal pubblico ufficiale sul privato cittadino. Con la recente riforma, invece, il legislatore ha inteso operare una netta differenziazione tra le due tipologie di condotta, riservando le pene più severe di cui all’art. 317 c.p. esclusivamente ai casi in cui il pubblico ufficiale manifesti in tutta la sua potenza la propria volontà prevaricatrice nei confronti del privato, arrivando ad operare su quest’ultimo una vera e propria costrizione caratterizzata da una forma di violenza psicologica basata sulla minaccia di un danno ingiusto. Al contrario, nei casi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio si siano limitati a operare un mero convincimento sul privato cittadino, inducendolo a dare o promettere una qualche utilità, facendo leva esclusivamente sullo stato di soggezione in cui versa il privato rispetto alla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il legislatore ha scelto di applicare pene più lievi ai soggetti attivi del reato in esame, andando altresì a punire il privato che, lasciandosi persuadere più agevolmente, senza bisogno di alcuna coartazione psicologica, dimostra quantomeno uno scarso rispetto per i principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, che l’intero Titolo intende tutelare;

  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso solo da chi detenga la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico Si ricorda che ai sensi dell’art. 357 c.p., recante la nozione di pubblico ufficiale “agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”, mentre secondo l’art. 358 c.p., che fornisce la nozione di persona incaricata di un pubblico servizio, “agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”

  • il reato si consuma nel momento in cui viene eseguita la dazione o la Al contrario, nel caso in cui l’indebita richiesta di denaro da parte del pubblico ufficiale venga rifiutata dal privato, non ricorre il delitto di concussione, ma è configurabile quello di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322 c.p.;

  • l’elemento soggettivo consiste nella consapevolezza e volontà del soggetto agente di abusare dei suoi poteri o delle sue funzioni al fine di ottenere indebitamente una qualche utilità.


 


 


Art. 320 Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio


 


Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all’incaricato di un


pubblico servizio.


 


In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800 (in relazione ai reati di cui agli artt. 318, 321 e 322, comma 1


e 3, c.p.)


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400 (in relazione ai reati di cui agli artt. 319, 319 ter, comma 1, 321 e 322, comma 2 e comma 4, c.p.)


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 (in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 319, aggravato ai sensi dell’art. 319 bis, 319 ter, comma 2, 319 quater e 321 c.p.)


 


Le disposizioni dell’articolo 319 Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di un pubblico servizio; in seguito alla riforma normativa introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, anche quelle di cui all’articolo 318 Corruzione per l’esercizio della funzione


 


 


si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, senza che sia più necessario che la stessa rivesta la qualità di pubblico impiegato, come richiesto precedentemente.


 


Il reato non rappresenta una figura autonoma di reato, ma mera specificazione dei reati di cui all’art. 318


c.p. e all’art. 319 c.p., descritti precedentemente.


 


Art. 321 Pene per il corruttore


 


Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità.


 


In riferimento all’art. 318 c.p.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800


 


In riferimento all’art. 319 e 319 ter comma 1 c.p. Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400


 


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;28- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b); 29- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


In riferimento all’art. 317, 319 bis e 319 ter, comma 2 Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


 


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a;31- da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b);32- da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Nel reato di corruzione esiste tra corrotto e corruttore un accordo finalizzato a raggiungere un vantaggio reciproco, mentre nella concussione il privato subisce la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio rispetto a cui si trova in una posizione di svantaggio. Per tale motivo, qualora siano integrati i delitti di corruzione propria, impropria o in atti giudiziari la pena è estesa anche al soggetto privato partecipe dell’accordo criminoso.


La norma non introduce una figura autonoma di reato, rispetto ai delitti citati, descritti precedentemente, ma


prevede la cosiddetta “corruzione attiva”, ovvero l’incriminazione del corruttore.


 


Art. 322 Istigazione alla corruzione


 


Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti, ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilità nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo.


 


Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilità nell’articolo 319, ridotta di un terzo.


 


La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.


 


La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità di cui all’articolo 319.


Primo e terzo comma


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800


 


Secondo e quarto comma


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400


 


Sanzioni interdittive: - da 4 anni a 7 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a; da 2 anni a 4 anni se il reato è stato commesso da uno dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b); da 3 mesi a 24 mesi se prima della sentenza di primo grado l’ente si è efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, in presenza di un comportamento finalizzato alla corruzione,


non venga raggiunto tra le parti l’accordo criminoso.


 


Si precisa che:



  • il reato, pertanto, si configura con la semplice promessa o richiesta – a seconda che l’istigazione sia commessa dal privato o dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato - di danaro o altra utilità finalizzata ad indurre il pubblico ufficiale a compiere un atto del suo ufficio o contrario ai suoi doveri, pur in mancanza del raggiungimento dell’accordo criminoso;

  • ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione, occorre che l’offerta o la richiesta di denaro o di altra utilità possa essere considerata seria ed in particolare, “la serietà dell’offerta deve essere necessariamente correlata al tipo di controprestazione richiesta, alle condizioni dell’offerente e del pubblico ufficiale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo in cui l’episodio si è verificato”14.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel promettere denaro o altra utilità ad un pubblico ufficiale, senza che questa promessa sia accettata, per omettere di segnalare anomalie emerse a seguito di una verifica disposta dalle Autorità di Vigilanza.


 


 


Art. 322-bis Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.


 


Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano anche:



  • ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;

  • ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee;

  • alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti delle Comunità europee;

  • ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità europee;

  • a coloro che, nell’ambito di altri Stati membri dell’Unione europea, svolgono funzioni o attività


corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio;


5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.


 


Le disposizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo comma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:



  • alle persone indicate nel primo comma del presente articolo;

  • a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica


Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi.


 


 


14 Cass. Pen., sez. V, 12 dicembre 2011, n. 6962.


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800 (in relazione ai reati di cui agli artt. 318, 321 e 322, comma 1


e 3, c.p.)


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 929.400 (in relazione ai reati di cui agli artt. 319, 319 ter, comma 1,


321 e 322, comma 2 e comma 4, c.p.)


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200 (in relazione ai reati di cui agli artt. 317, 319, aggravato ai sensi dell’art. 319 bis, 319 ter, comma 2 e 321 c.p.)


 


Come si può desumere dal dettato normativo, in forza dell’articolo 322-bis c.p., la famiglia dei reati in esame rileva anche allorché siano compiuti nei confronti di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio dell’Unione Europea e dei singoli Stati membri.


 


In base allo stesso articolo, rilevano anche le attività corruttive nei confronti di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio membri della Corte penale internazionale o che operano per conto di altri Stati esteri (diversi da quelli dell’Unione Europea) o organizzazioni pubbliche internazionali, se il fatto sia commesso per procurare a sé o altri un indebito vantaggio nell’ambito di operazioni economiche internazionali.


La norma non introduce una figura autonoma di reato, rispetto ai reati citati, descritti precedentemente, ma prevede l’estensione dell’ambito di applicazione di detti reati anche ai membri delle istituzioni europee o di altre organizzazioni pubbliche internazionali.


 


Art. 346-bis Traffico di influenze illecite


 


Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi15.


 


La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità16.


La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità17 riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.


 


Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio18.


 


Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.


 


Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 309.800


L’art. 346 -bis, introdotto nel 2012 con la L. 190/2012 (Disposizioni per la prevenzione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, la c.d. Legge Severino) e modificato dalla L. 3/2019, punisce chi sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o uno dei soggetti di cui all’art. 322 -bis, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita oppure come prezzo per remunerare il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri


 


15 Comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni”.


16 Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale”.


17Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio”.


18Comma così modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), L. 09.01.2019, n. 3 con decorrenza dal 31.01.2019. Si riporta di seguito il testo previgente: “Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie”.


 


 


di ufficio o per omettere o ritardare un atto del suo ufficio.


La fattispecie criminosa consente l’applicazione della norma “fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli


artt. 318, 319 319 -ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322 -bis” del codice.


Si realizza, dunque, una forma di tutela anticipata dell'interesse alla legalità, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione; in quanto la fattispecie punisce il soggetto che fa da tramite tra corrotto e corruttore mediante la propria influenza anche se l’accordo corruttivo non è ancora andato in porto. Per perfezionarsi, il delitto di traffico di influenze illecite, necessita dunque del solo patto tra il committente ed il mediatore.


L'art. 346-bis c.p. prevede due diverse ipotesi di traffico di influenze illecite: un primo caso è rappresentato dal c.d. traffico di influenze gratuito, nel quale il committente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale al mediatore affinché quest'ultimo remuneri il pubblico agente per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o l'omissione o il ritardo di un atto di ufficio.


La seconda ipotesi è costituita dal c.d. traffico di influenze oneroso, laddove il committente remunera il mediatore affinché quest'ultimo realizzi una illecita influenza sul pubblico agente; in questo caso il denaro o il vantaggio patrimoniale dato o promesso dal committente al mediatore serve a remunerarlo per l'influenza che quest'ultimo si impegna a porre in essere sul pubblico agente.


Le relazioni che il mediatore si impegna a far valere debbono essere realmente esistenti e debbono costituire la ragione della dazione o della promessa del vantaggio patrimoniale da parte del committente.


Si precisa che:



  • il reato di traffico di influenze illecite è un reato comune in quanto sia il committente che il mediatore non debbono possedere una qualifica soggettiva particolare;

  • solo nel caso in cui il mediatore assuma la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio il comma 3 della norma incriminatrice contempla un aggravamento di

  • si tratta di un reato necessariamente plurisoggettivo proprio dato che oltre al mediatore è punito anche il committente della mediazione, come contemplato espressamente dal comma


 


 



  • Delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24-bis)


 


L’articolo 24-bis del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti informatici e trattamento illecito dei dati”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-ter, 617-quater, 617-quinquies, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento

  2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-quater e 615-quinquies del codice penale,


si applica all’ente la sanzione pecuniaria sino a trecento quote.



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 491-bis e 640-quinquies del codice penale, salvo quanto previsto dall’articolo 24 del presente decreto per i casi di frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, si applica all’ente la sanzione pecuniaria sino a quattrocento quote.

  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere a), b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 3 si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)”.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 24 – bis del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 491-bis c.p. Documenti informatici;

  • 615-ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico;


 


 



  • 615-quater c.p. Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici;

  • 615-quinquies c.p. Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico;

  • 617-quater c.p. Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche;

  • 617-quinquies c.p. Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche;

  • 635-bis c.p. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici;

  • 635-ter c.p. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità;

  • 635-quater c.p. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici;

  • 635-quinquies c.p. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità;

  • 640-quinquies c.p. Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica.


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 491-bis Documenti informatici


 


Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti gli atti pubblici19.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 619.600


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


L’articolo in questione, così come riformato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, estende ai documenti informatici pubblici, che abbiano efficacia probatoria, la punibilità prevista dai reati concernenti la falsità degli atti pubblici di cui al Capo III “Della falsità in atti” del Titolo VII “Dei delitti contro la fede pubblica” del secondo libro del codice penale.


 


In seguito alla riforma – adottata, per altro, con l’intento di depenalizzare alcuni reati considerati di minore gravità – l’ambito applicativo della fattispecie in esame è stato significativamente circoscritto, escludendo la punibilità di qualsiasi falsità commessa su documenti informatici equiparabili a scritture private e, in ogni caso, non destinati a confluire in un atto pubblico, così come definito dall’art. 2699 c.c.20.


 


Le norme incriminatrici richiamate dall’art. 491-bis c.p. e rilevanti ai fini della sua applicazione, possono essere suddivise in due categorie a seconda delle qualità del soggetto agente.


 



  1. Delitti di falsità in atti commessi da pubblico ufficiale:


 


Si tratta di reati propri, che possono essere commessi esclusivamente da un soggetto che detenga la qualifica di pubblico ufficiale, da soggetti esercenti un servizio di pubblica necessità o da pubblici impiegati incaricati di pubblico servizio.


Tuttavia anche un privato può essere chiamato a rispondere per la commissione dei delitti di seguito elencati,


qualora abbia concorso con il pubblico ufficiale alla perpetrazione dell’illecito.


 



  • 476 c. p. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.


“Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.


Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione


è da tre a dieci anni”.



  • 478 c. p. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti.


“Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale, ovvero rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall’originale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.


Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a otto anni.


Se la falsità è commessa dal pubblico ufficiale in un attestato sul contenuto di atti, pubblici o privati,


la pena è della reclusione da uno a tre anni”.



  • 479 c. p. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.


“Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476”.



  • 487     c.     p.     Falsità     in     foglio     firmato     in      bianco.     Atto     pubblico. “Il pubblico ufficiale, che, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio e per un titolo che importa l’obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o vi fa scrivere un atto pubblico diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, soggiace alle pene rispettivamente stabilite negli articoli 479 e 480 del Codice Penale”.

  • 493 c. p. Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico.


“Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì


agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente


 


19 Articolo così modificato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67”.


20 Art. 2699 c.c. Atto pubblico. “L'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato”. Rientrano nell’ambito di tale definizione, ad esempio, i rogiti notarili, i verbali d'udienza redatti da un cancelliere del tribunale, le relazioni di notifica predisposte dagli ufficiali giudiziari, i verbali redatti da una commissione di esami, certe attestazioni rilasciate da pubblici uffici.


 


 


agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni”.


 



  1. Delitti di falsità in atti commessi da


 


Si tratta di reati comuni che possono essere commessi da chiunque.


 



  • 482 c. p. Falsità materiale commessa dal privato.


“Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”.



  • 483 c. p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.


“Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a    provare    la    verità,     è     punito     con     la     reclusione     fino     a     due     anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”.



  • 489 c. p. Uso di atto falso.


“Chiunque senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli


articoli precedenti, ridotte di un terzo”.



  • 490 c. p. Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri21.


“Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, distrugge, sopprime od occulta un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore veri, soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo le distinzioni in essi contenute”.


Art. 492 c. p. Copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti.


“Agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di atti pubblici e di scritture private sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti”.


 


Si precisa, inoltre, che:


 



  • ai fini della loro rilevanza ai sensi dell’art. 491-bis p., le condotte previste e punite dalle norme incriminatrici della falsità in atti devono estrinsecarsi su documenti informatici pubblici dotati di efficacia probatoria. Anche in presenza di tale definizione, tuttavia, i documenti in esame non risultano immediatamente circoscrivibili. L’art. 20 del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, “Codice dell’Amministrazione Digitale”, infatti prevede che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”. Tuttavia, lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale, se sul documento informatico è apposta la firma elettronica si presume soddisfatto il requisito della forma scritta e se si tratta di firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, lo stesso risulta efficace a livello probatorio, ma solo se risulta provvisto delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità22.


 


 


Art. 615-ter Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico


 


Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.


 


La pena è della reclusione da uno a cinque anni:



  • se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;

  • se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;

  • se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso


 


Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse


 


21 Articolo così modificato dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67”.


22 Art. 21 D. Lgs. 82/2005.


 


 


militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.


 


Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si


procede d’ufficio.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui qualcuno si introduca o resti abusivamente all’interno di un


sistema informatico o telematico.


 


Si precisa che:



  • per sistema informatico si intende qualsiasi sistema destinato alla elaborazione dei dati e alla loro utilizzazione, mentre il sistema telematico è il sistema derivante dall’integrazione di tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, che consente la trasmissione di dati attraverso la rete telefonica e reti dedicate. Tali sistemi, ai fini dell’integrazione del reato, devono essere protetti da misure di sicurezza;

  • ai fini dell’integrazione del reato in esame l’introduzione o la permanenza all’interno del sistema devono essere abusive. Ciò implica un comportamento illegittimo del soggetto agente, che pertanto deve compiere l’azione senza alcun permesso o comunque, nel caso in cui sia abilitato ad accedere al sistema, violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso;

  • l’elemento soggettivo consiste nel dolo generico, inteso come coscienza e volontà dell’agente di introdursi o rimanere all’interno di un sistema informatico o telematico che egli sa essergli inibito, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel


 


Dal punto di vista del concorso di reati, si può pensare ad una duplice imputazione anche per il reato di frode informatica (art. 640-ter c.p.); questo reato, tuttavia, presuppone necessariamente la manipolazione del sistema, elemento che invece non è necessario per la consumazione del reato in esame. Inoltre il reato in esame presuppone che il sistema informatico o telematico su cui si opera l’accesso abusivo sia protetto da misure di sicurezza, caratteristica che invece non ricorre nel reato di frode informatica.


 


A titolo esemplificativo, integra il reato in esame colui che controlla il telefono cellulare dotato di codice pin o il computer protetto da password di un altro soggetto in assenza del legittimo proprietario/utilizzatore e/o contro la volontà di quest’ultimo.


 


 


Art. 615-quater Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici


 


Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164,00.


 


La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da euro 5.164,00 a euro 10.329,00 se ricorre


taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell’articolo 617-quater.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 464.700


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui un soggetto si procuri, riproduca, diffonda, comunichi o consegni ad altri una chiave d’accesso ad un sistema informatico o telematico in modo abusivo, o spieghi ad altri soggetti come raggiungere i predetti scopi, al fine di conseguire un profitto o di arrecare un danno.


 


 


Si precisa che:


 


 



  • l’elemento oggettivo consiste nel procurarsi (ovvero agire per venire a conoscenza in maniera illegittima), riprodurre (ovvero eseguire una copia il più fedele possibile all’originale), diffondere (ovvero mettere a disposizione della collettività generale, attraverso i mezzi di pubblica informazione, la possibilità di percepire la notizia o il dato), comunicare (ovvero trasmettere la notizia o il dato a qualcuno), consegnare (ovvero dare materialmente la cosa a qualcuno) un mezzo per accedere ad un sistema informatico o telematico, oppure nel fornire indicazioni o istruzioni (ovvero trasmettere a taluno informazioni rilevanti relative ad un determinato dato) per conseguire tale risultato;

  • le azioni costituenti la condotta tipica del reato in esame devono essere poste in essere abusivamente, ovverosia in assenza di autorizzazione o di poteri che possano in qualche modo autorizzare la condotta del soggetto agente;

  • oggetto della condotta non può essere qualsiasi dato o notizia, ma ai fini dell’integrazione del reato occorre che la stessa riguardi in particolare codici, parole chiave, o qualunque altro strumento idoneo a permettere al soggetto agente di entrare in sistemi informatici e telematici protetti da sistemi di sicurezza;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, consistente nella previsione e volontà dell’azione


unitamente al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno.


 


A titolo esemplificativo, è punita a titolo della fattispecie incriminatrice in esame la condotta di colui che si procuri abusivamente il numero seriale di un apparecchio telefonico cellulare appartenente ad altro soggetto, poiché attraverso la corrispondente modifica del codice di un ulteriore apparecchio (c.d. clonazione) è possibile realizzare una illecita connessione alla rete di telefonia mobile, che costituisce un sistema telematico protetto.


 


Art. 615-quinquies – Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico


 


Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329,00.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 464.700


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


L’ipotesi di reato di cui all’art. 615-quinquies si configura nel caso in cui un soggetto si procuri, produca, riproduca, importi, diffonda, comunichi, consegni o metta a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici atti a danneggiare un sistema informatico o ad alterarne il funzionamento.


Si precisa che:


 



  • in seguito alla riforma dell’articolo in esame operata dalla L. 18 marzo 2008, n.48, è stato ampliato lo spettro delle condotte Ed infatti, mentre con la precedente dizione era pacifico che la mera detenzione non fosse punibile, richiedendosi che il programma venisse quantomeno “diffuso comunicato o consegnato”, la nuova formulazione della norma sanziona non solo chi diffonda, comunichi, consegni o, comunque, metta a disposizione programmi, apparecchiature o dispositivi, ma anche chi li produca, riproduca, importi, o se li procuri. Diventano pertanto sanzionabili, in astratto, anche le condotte di mera detenzione di malware;

  • la norma sanziona tutte le condotte afferenti ai “programmi informatici”, alle “apparecchiature” e ai “dispositivi”. Tra essi si includono, dunque, non solo i software, ma anche gli hardware, comprendendo tutte quelle apparecchiature e dispositivi il cui funzionamento sia idoneo a danneggiare un sistema informatico, ovvero ad alterarne il Integra dunque il “nuovo” delitto di cui all’art. 615-quinquies c.p. non solo il procurarsi virus e malware in genere, ma anche la produzione, importazione, etc. di dongle, smart card, skimmer e così via, laddove, naturalmente, si prestino ad un utilizzo illecito, al fine appunto di danneggiare o alterare un sistema informatico, ovvero i dati e programmi ivi contenuti;

  • la nuova formulazione della norma prevede che elemento soggettivo del reato sia il dolo specifico, ovverosia il reato deve essere commesso, oltre che con coscienza e volontà di porre in essere la condotta tipica, con il fine ulteriore di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento.


 


A titolo esemplificativo, la fattispecie in esame risulta integrata nel caso in cui un soggetto diffonda volontariamente un virus tramite posta elettronica, al fine di danneggiare i sistemi informatici dei destinatari.


 


 


Art. 617-quater Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche


 


Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.


 


I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.


 


Tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:



  • in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

  • da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

  • da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale ipotesi di reato può configurarsi secondo due diverse modalità. Ed infatti il delitto in esame si configura o nel caso in cui un soggetto intercetti, interrompa o impedisca, con interruzioni provocate da qualsiasi forma di ingresso nel sistema, le comunicazioni intercorrenti tra soggetti terzi per il tramite di sistemi informatici o telematici, oppure nel caso in cui un soggetto diffonda il contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche fraudolentemente intercettate tramite un mezzo di comunicazione al pubblico.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo della fattispecie è costituito dall’intercettazione, l’impedimento o l’interruzione di comunicazioni informatiche o telematiche, ovvero dalla rivelazione del loro contenuto tramite mezzi di diffusione al pubblico;

  • ai sensi della norma in esame, per “intercettazione” deve intendersi la presa di coscienza del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche, che può essere attuata con le più varie modalità tecniche, l’“impedimento” è la privazione della possibilità di iniziare una comunicazione, mentre l’ “interruzione” consiste creare ostacoli tali da rendere impossibile la prosecuzione della comunicazione già iniziata;

  • la prima tipologia di condotta incriminata deve essere posta in essere in modo fraudolento, ovverosia mediante l’impiego di mezzi idonei ad ingannare. Non è pertanto rilevante la condotta di chi venga a conoscenza del contenuto di una comunicazione informatica fortuitamente o, comunque, senza l’utilizzo di mezzi occulti;

  • per quanto concerne il secondo tipo di condotta rilevante, la divulgazione può essere effettuata tramite un qualsiasi mezzo di informazione al pubblico;

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo È dunque sufficiente che il soggetto


agente agisca consapevolmente e volontariamente, senza necessità che persegua un fine ulteriore.


 


Il terzo comma della fattispecie in esame prevede delle circostanze aggravanti del delitto in esame, per i casi in cui il fatto sia commesso a danni di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da altra impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, o da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio con abuso di potere, o con abuso della qualità di operatore di sistema, o da chi esercita la professione di investigatore privato.


 


A titolo esemplificativo, integra il reato in esame l’impiego di un programma di system management capace di permettere ad un soggetto non visibile di monitorare tutto ciò che accade sul computer di un’altra persona, senza che quest’ultima ne sia a conoscenza, consentendo così la visualizzazione di tutte le comunicazioni in partenza o in arrivo su tale sistema, compresi i messaggi di posta elettronica, chat, ecc.


 


 


Art. 617-quinquies Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche


 


Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.


 


 


 


La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617- quater.


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


 


Questa ipotesi di reato si configura nel caso vengano istallate apparecchiature volte a consentire al soggetto agente o ad altro soggetto di intercettare, interrompere o impedire comunicazioni informatiche o telematiche.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo consiste nell’installare strumenti tecnici atti ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche, ovvero sia a consentire ed agevolare la commissione del reato di cui all’art. 617-quater. Per istallazione si intende la messa in opera delle apparecchiature medesime, affinché possano effettivamente inserirsi all’interno del sistema informatico o telematico e svolgere le attività di captazione, interruzione o impedimento delle comunicazioni;

  • la condotta suddetta, per avere rilevanza penale, deve essere esercitata “al di fuori dei casi previsti


dalla legge”;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico. Si richiede infatti che l’agente agisca con la coscienza e la volontà di istallare apparecchi non consentiti in quanto idonei ad intercettare, impedire o interrompere le comunicazioni


 


A titolo esemplificativo, integra il reato in esame l’istallazione di un programma di system management capace di permettere ad un soggetto non visibile di monitorare tutto ciò che accade sul computer di un’altra persona, senza che quest’ultima ne sia a conoscenza, consentendo così la visualizzazione di tutte le comunicazioni in partenza o in arrivo su tale sistema, compresi i messaggi di posta elettronica, chat, ecc.


 


 


Art. 635-bis Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.


 


Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Il reato previsto e punito dalla norma in esame si considera integrato allorquando siano distrutti, deteriorati, cancellati o soppressi informazioni, dati o programmi informatici altrui.


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalle condotte di distruzione, deterioramento, cancellazione o soppressione di informazioni, dati o programmi contenuti su di un supporto In seguito alla modifica della norma operata dalla L. 18 marzo 2008, n.48, il Legislatore ha meglio precisato le modalità della condotta di danneggiamento, includendovi anche la cancellazione, alterazione o soppressione di informazioni dati e programmi. il reato deve ritenersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer anche se queste siano rimediabili con un postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro (Cass. Pen., sez. V, 18 novembre 2011, n.8555).

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice è il dolo generico, ovverosia la coscienza e la volontà dell’agente di danneggiare dati informatici, a nulla rilevando le motivazioni che si celano dietro alla condotta incriminata;

  • si tratta di una fattispecie sussidiaria, che sussiste solo allorquando non sia configurabile un reato più


 


 


Art. 635-ter Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità


 


 


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere, deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.


 


Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione


delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici, la pena è della reclusione da tre a otto anni.


 


Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Il reato in esame punisce la commissione di atti diretti al danneggiamento di dati, informazioni e programmi


“pubblici”.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla commissione di un fatto diretto alla distruzione, al deterioramento, alla cancellazione, all’alterazione o alla soppressione di informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità. Ai fini della configurabilità del delitto in esame non occorre dunque che i dati risultino effettivamente danneggiati, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia di per sé finalizzata ad arrecare tale danno;

  • l’effettivo verificarsi dell’evento dannoso costituisce circostanza aggravante;

  • ai fini dell’integrazione della norma in esame occorre che oggetto della condotta dell’agente sia costituito da informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico e, quindi, che gli stessi rivestano una funzione di pubblica utilità. Proprio a tale funzione pare potersi ricondurre l’anticipazione di tutela prevista dal Legislatore, che a differenza di quanto previsto dalla fattispecie incriminatrice precedente non richiede il verificarsi dell’evento dannoso, ma punisce già gli atti idonei a cagionarlo;

  • costituiscono oggetto del reato sia dati, informazioni e programmi utilizzati dagli enti pubblici, e quindi pubblici, che dati informazioni e programmi di pubblica utilità, che possono essere sia pubblici che privati, purché siano destinati a soddisfare un interesse di natura


 


 


Art. 635-quater Danneggiamento di sistemi informatici o telematici


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’articolo 635-bis, ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni.


 


Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


La fattispecie di cui all’art. 635-quater risulta integrata laddove sia cagionato il danneggiamento di un sistema informatico mediante la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi; ovvero tramite l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi.


Ai fini della configurabilità del delitto in esame è sufficiente la prova che la condotta abbia alterato, ancorché gravemente, il funzionamento del sistema (tale innovazione è stata introdotta dalla L. 18 marzo 2008, n.48, mentre prima di tale recente riforma era necessaria la dimostrazione della distruzione, del deterioramento, ovvero del fatto che il sistema fosse reso, in tutto o in parte, inservibile).


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla distruzione, dal danneggiamento o dal rendere in tutto o in parte inservibili sistemi informatici o telematici mediante azioni che comportino la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi informatici o tramite la trasmissione di dati, informazioni o programmi;


 


 



  • il danneggiamento di sistemi informatici o telematici non di pubblica utilità è un reato di evento, e pertanto richiede espressamente che il sistema venga danneggiato, reso in tutto o in parte inservibile, ovvero ne venga ostacolato gravemente il funzionamento;

  • la distinzione tra il danneggiamento di dati (punito dall’art. 635-bis c.p.) e il danneggiamento del sistema è pertanto legata alle conseguenze che la condotta assume: laddove la soppressione o l’alterazione di dati informazioni e programmi renda inservibile, o quantomeno ostacoli gravemente il funzionamento del sistema, ricorrerà la più grave fattispecie del danneggiamento di sistemi informatici o telematici, prevista appunto dall’art. 635-quater c.p.;

  • l’oggetto del reato è costituito da sistemi informatici o telematici23.

  • si tratta, di una fattispecie sussidiaria, perché sussiste qualora non sia configurabile un reato più grave;

  • l’elemento soggettivo previsto dalla norma è il dolo generico, ovvero la previsione e la volontà


dell’agente danneggiare il sistema informatico.


 


 


Art. 635-quinquies Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità


 


Se il fatto di cui all’articolo 635-quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolarne gravemente il funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.


 


Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione da tre a otto anni.


 


Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi; ovvero l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi di cui all’art. 635-quater c.p. siano dirette a cagionare la distruzione, il danneggiamento o l’inutilizzabilità di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla commissione di un fatto che comporti la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l’alterazione o la soppressione di informazioni, dati o programmi informatici o dalla trasmissione di dati, informazioni o programmi allo scopo di distruggere, danneggiare o rendere in tutto o in parte inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ostacolarne gravemente il si tratta di un reato a consumazione anticipata, che non richiede l’avverarsi dell’evento di danneggiamento. Ai fini della configurabilità del delitto in esame non occorre infatti che i dati risultino effettivamente danneggiati, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia di per sé finalizzata ad arrecare tale danno;

  • l’effettivo danneggiamento del sistema, la sua distruzione, o il fatto che venga reso in tutto o in parte inservibile è considerato un’ulteriore circostanza aggravante, che aumenta significativamente la sanzione (reclusione da tre a otto anni);

  • mentre ai sensi dell’art. 635-ter p., il danneggiamento può riguardare dati o programmi informatici utilizzati dagli enti pubblici o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, il delitto di cui all’art. 635-quinquies c.p. sussiste soltanto laddove la condotta sia diretta a danneggiare, distruggere etc. dei sistemi informatici o telematici di pubblica utilità. Non è sufficiente quindi, per la sussistenza del reato, che i sistemi siano utilizzati dagli enti pubblici, ma occorre che gli stessi siano destinati a soddisfare ad esigenze di pubblica utilità.

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo generico. È pertanto necessario che il soggetto agente sia consapevole e abbia la volontà di commettere un atto idoneo a danneggiare o ad ostacolare gravemente l’utilizzo di un sistema informatico o telematico che egli sa essere di pubblica utilità.


 


 


Art. 640-quinquies Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma


 


23 Per sistema informatico si intende qualsiasi sistema destinato alla elaborazione dei dati e alla loro utilizzazione, mentre il sistema telematico è il sistema derivante dall’integrazione di tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, che consente la trasmissione di dati attraverso la rete telefonica e reti dedicate.


 


 


elettronica


 


Il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 51,00 a euro 1.032,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 619.600


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica violi gli obblighi impostigli dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto o di arrecare un danno.


 


L’inserimento dell’articolo 640–quinquies, operato dalla L. 18 marzo 2008, n.48, è dovuto alla potenziale maggiore offensività della condotta compiuta dal certificatore ed il ruolo svolto.


 


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso soltanto da colui che riveste la qualifica di certificatore di firma elettronica ed in particolare solo il certificatore “qualificato” (o meglio, il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica qualificata);

  • l’elemento oggettivo del delitto in esame è costituito dalla violazione degli obblighi previsti dalla legge commessa durante la procedura di rilascio di un certificato qualificato. Tale condotta sembrerebbe rientrare nello schema del delitto di truffa di cui all’art. 640 c.p., rispetto al quale la fattispecie in esame si porrebbe dunque in rapporto di specialità;

  • l’elemento soggettivo richiesto è il dolo La violazione di legge deve infatti essere commessa


con lo scopo di conseguire un profitto ingiusto o di arrecare un danno.


 


Art. 1, comma 11, D.L. 21 settembre 2019, n. 105 Violazione delle norme in materia di Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica


 


Chiunque, allo scopo di   ostacolare   o   condizionare l'espletamento dei procedimenti di cui al comma 2, lettera b), o al comma 6, lettera a), o delle attività ispettive e di vigilanza previste dal comma 6, lettera c), fornisce informazioni, dati o elementi di fatto non rispondenti al vero, rilevanti per la predisposizione o l'aggiornamento degli elenchi di cui al comma 2, lettera b), o ai fini delle comunicazioni di cui al comma 6, lettera a), o per lo svolgimento delle attività ispettive e di vigilanza di cui al comma 6), lettera c) od omette di comunicare entro i termini prescritti i predetti dati, informazioni o elementi di fatto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e all'ente, responsabile ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, si applica la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.


 


Il Decreto Legge 21 settembre 2019, n. 105 ha la finalità di assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, nonché degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, attraverso l’istituzione di un perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e la previsione di misure idonee a garantire i necessari standard di sicurezza rivolti a minimizzare i rischi consentendo, al contempo, la più estesa fruizione dei più avanzati strumenti offerti dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.


 


Nello specifico, il comma 11 punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni coloro che, allo scopo di ostacolare o condizionare l'espletamento dei procedimenti di cui al comma 2 lett. b) (procedimento di compilazione e aggiornamento degli elenchi delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici) e di cui al comma 6, lett. a) (procedimenti relativi all'affidamento di forniture di beni, sistemi e servizi ICT destinati a essere impiegati sulle reti, sui sistemi informativi) o delle attività ispettive e di vigilanza da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dello sviluppo economico, di cui al comma 6, lett. c):


 



  • forniscono informazioni, dati o fatti non rispondenti al vero rilevanti per l'aggiornamento degli elenchi su ricordati o ai fini delle comunicazioni previste nei casi di affidamento di forniture di beni, sistemi e servizi ICT destinati ad essere impiegati sulle reti, o per lo svolgimento delle attività ispettive e di vigilanza;


 



  • omettono di comunicare i predetti dati, informazioni o elementi di fatto.


 


 



  • Delitti di criminalità organizzata (art. 24-ter)


 


L’articolo 24-ter del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti di criminalità organizzata”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

  2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all’articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento

  3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive


previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.



  1. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 24 – ter del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 416 c.p. Associazione per delinquere;

  • 416-bis c.p. Associazioni di tipo mafioso anche straniere;

  • 416-ter c.p. Scambio elettorale politico-mafioso;

  • 630 c.p. Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

  • 407 comma 2 lett. a) n. 5 c.p.p. Delitti concernenti la fabbricazione e il traffico di armi da guerra e di esplosivi;

  • 74 DPR 309/1990 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope


 


Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 416 Associazione per delinquere


 


Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.


 


Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.


Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.


 


La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.


 


Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602, nonché all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,



  1. 286, nonchè gli articoli 22, commi 3 e 4, e 22bis, comma 1, della legge 1 aprile 1999, n. 91, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.


 


 


 


Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600- quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200.


Per l’ipotesi prevista al sesto comma: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


La fattispecie criminosa in esame è di tipo associativo ed è caratterizzata dall’intento di realizzare uno


specifico e predeterminato programma sociale criminoso.


La norma intende punire chi si riunisce e concorre alla formazione di un’organizzazione stabile allo scopo di


perpetrare più agevolmente dei delitti, senza che abbia rilievo che tali reati vengano poi realmente commessi.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque, necessariamente plurisoggettivo, giacché richiede la partecipazione alla condotta tipica di tre o più soggetti;

  • la condotta incriminata è caratterizzata dall’accordo tra più persone per formare una struttura stabile, dotata di una personalità formalmente distinta da quella dei singoli partecipanti ed, in concreto, idonea a realizzare uno specifico e predeterminato programma sociale;

  • il programma criminoso alla base dell’associazione deve riguardare la commissione di Non integra il reato in esame la condotta di chi si riunisce al fine di commettere reati contravvenzionali o illeciti amministrativi;

  • l’elemento oggettivo consiste in una condotta che si sostanzia nel:

    • esternare l’intenzione di creare l’associazione e renderne noto il programma;

    • dare materialmente vita all’associazione, procurando i mezzi necessari all’esercizio dell’attività per la quale è stata creata e procedere al reperimento delle adesioni dei terzi;

    • preparare la struttura necessaria per l’esecuzione del piano sociale;

    • agevolare la realizzazione del programma di un’organizzazione criminale;

    • guidare l’organizzazione;



  • l’elemento soggettivo è caratterizzato dalla previsione e volontà di costituire un’associazione vietata, con l’ulteriore scopo di realizzare un numero indeterminato di delitti.


Il comma 6 è stato aggiunto dall’art. 4, L. 11 agosto 2003, n. 228 e poi così modificato dal comma 5 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94 e rende indirettamente rilevanti l’art. 600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, l’art. 601 c.p. Tratta di persone, l’art. 601-bis c.p. Traffico di organi prelevati da persona vivente, l’art. 602 c.p. Acquisto e alienazione di schiavi, nonché l’art. 12, comma 3-bis, del D. Lgs. 286/1998 rubricato Disposizioni contro le immigrazioni clandestine24.


 


 


24 Art. 12 D. Lgs. 286/1988. Disposizioni contro le immigrazioni clandestine.


“[omissis] 3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:



  1. il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

  2. la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne


l’ingresso o la permanenza illegale;



  1. la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la


permanenza illegale;



  1. il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;

  2. gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel favorire, in maniera stabilmente organizzata, l’ingresso illegale nel nostro paese di numerosi ragazzi o ragazze di paesi più poveri, per poi costringerli a lavorare ad orari e condizioni disumani25.


Art. 416-bis Associazioni di tipo mafioso anche straniere26


 


Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la


reclusione da dieci a quindici anni.


 


Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione


da dodici a diciotto anni.


 


L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.


 


Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti


dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.


 


L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.


 


Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.


 


Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.


 


Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


Tale ipotesi di reato è di tipo associativo ed è caratterizzata oltre che dalla realizzazione di delitti anche dalla gestione e dal controllo di settori di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, il perseguimento di profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri e, infine, il turbamento del libero esercizio del voto.


Per la descrizione della condotta associativa si rinvia all’analisi dell’articolo precedente.


Si precisa che:



  • un’associazione è di tipo mafioso qualora utilizzi il “metodo mafioso27” per la realizzazione del programma criminoso, vale a dire quando per la realizzazione del programma criminoso si utilizza verso l’esterno e in danno degli offesi “la forza intimidatrice” derivante dal vincolo associativo stesso


 



  • Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d)


ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata. [omissis]”.


25 La condotta descritta potrebbe essere configurata, a titolo esemplificativo, anche nell’ipotesi remota del concorso nel reato di un soggetto appaltante insieme all’appaltatore o al sub-appaltatore, riconducibile all’ipotesi di concorso esterno del primo soggetto, ovvero quando l’agente sia consapevole dei metodi e dei fini dell’associazione cui l’appaltatore è associato e si renda compiutamente conto dell’efficacia causale della sua attività di sostegno – rappresentata dalla continuità di rapporto commerciale –, vantaggiosa per la conservazione o per il rafforzamento dell’associazione stessa.


26 Articolo così modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


27 Cfr. Cass. pen.  1990, n. 1785;


 


 


e dalla fama dell’organizzazione e a loro volta gli stessi offesi si trovano in una condizione di “assoggettamento e omertà” nei confronti dell’associazione stessa in virtù dell’intimidazione da questa esercitata;



  • l’elemento soggettivo è caratterizzato nella coscienza e volontà di partecipare o costituire un’associazione mafiosa, con l’adesione, anche solo morale, al programma che persegue i fini criminosi descritti dalla norma;

  • l’applicabilità della norma è estesa anche a quelle organizzazioni criminali nominativamente diverse


dalle associazioni mafiose, ma sostanzialmente e strutturalmente analoghe.


 


 


Art. 416-ter Scambio elettorale politico-mafioso


 


Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di     soggetti     appartenenti     alle     associazioni     di     cui    all’articolo    416-bis    o     mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa e’ punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis. La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.


Se     colui      che      ha      accettato      la      promessa      di      voti,      a      seguito     dell’accordo di cui   al   primo   comma,   è   risultato   eletto   nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell’articolo 416-bis aumentata della metà.


In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua


dai pubblici uffici.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


 


L’art. 416-ter c.p. così riformulato a seguito della legge n. 43/2019, prevede prima di tutto che chiunque (e quindi si tratta di un reato comune) accetti, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa e’ punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis c.p..


 


Nello specifico, l’art. 416 ter c.p. è una fattispecie di reato a forma vincolata in cui la condotta punibile consiste nell’accettare, in via diretta e immediata o tramite interposta persona la promessa di procacciare voti da parte di intranei a un’associazione di tipo mafioso anche straniera, o, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà, o fornendo la disponibilità di accontentare gli interessi e le esigenze del sodalizio mafioso.


 


Il comma terzo dell’art. 416-ter c.p., a sua volta, contempla un’aggravante speciale ad effetto speciale essendo ivi stabilito un aumento della pena pari alla metà per colui che, una volta accettata la promessa di voti, a seguito dell’accordo previsto al comma precedente, risulta essere stato eletto nella consultazione elettorale per cui è stato stipulato siffatto accordo.


 


Infine, l’ultimo comma dell’art. 416-ter c.p. dispone ex lege l’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel caso


di condanna per questo illecito penale.


 


 


 


Art. 630 Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione


 


Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.


 


Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.


 


Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.


 


Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall’articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.


 


Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.


 


 


 


Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.


 


I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo.


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui il soggetto agente privi il soggetto passivo della libertà personale allo scopo di ottenere, per sé o per altri, come corrispettivo della liberazione, un’utilità non dovuta. Il reato è qualificabile come “complesso” poiché gli elementi costitutivi della fattispecie sono essi stessi fatti che rappresentano autonome figure di reato: sequestro di persona (art. 605 c.p.), nonché rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.).


Si precisa che:



  • la condotta criminosa consiste nella privazione della libertà di una persona finalizzata al


conseguimento di un ingiusto profitto come prezzo della liberazione dell’ostaggio;



  • il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del profitto;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, il soggetto agente deve infatti agire sostenuto oltre che dalla volontà di privare taluno della libertà personale, anche dall’ulteriore scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione.


 


 


Art. 407 comma 2 lett. a) n. 5 c.p.p. Delitti concernenti la fabbricazione e il traffico di armi da guerra e di esplosivi


 


Salvo quanto previsto all’articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi.



  1. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:

  2. a) i delitti appresso indicati:


 


(omissis…)


 


5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110.


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


L’articolo 407 c.p.p. è inserito nel titolo VIII del Libro V; è dedicato alla chiusura delle indagini preliminari e fissa i limiti massimi di durata delle stesse: per ciò che qui interessa, esso non può superare i due anni per una serie di reati di particolare gravità, tra cui appunto i delitti in materia di introduzione nello Stato, fabbricazione, detenzione, messa in vendita e porto in luogo pubblico di armi;


 


 


Si precisa che:



  • la responsabilità amministrativa dell’ente risulta limitata alla realizzazione delle seguenti condotte: illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione, porto in luogo pubblico o aperto al


 


 



  • l’oggetto materiale delle condotte è costituito da armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, esplosivi,


armi clandestine, più armi comuni da sparo;



  • tra le armi comuni da sparo non vengono considerate quelle «da bersaglio da sala», o ad emissione di gas, nonché le armi ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe sia corte i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule, e gli strumenti lanciarazzi, salvo che si tratti di armi destinate alla pesca ovvero di armi e strumenti per i quali la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l’attitudine a recare offesa alla


 


 


Art. 74 DPR 309/1990 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope


 


Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10, escluse le operazioni relative alle sostanze di cui alla categoria III dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell'allegato al regolamento (CE) n. 111/2005, ovvero dall'articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito, per ciò solo, con la reclusione non inferiore a venti anni.


 


Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.


 


La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone


dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.


 


Se l’associazione è armata, la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non può essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.


 


La pena è aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 80.


 


Se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell’articolo 416 del codice penale.


 


Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.


 


Quando in leggi e decreti è richiamato il reato previsto dall’articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogato dall’articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il richiamo si intende riferito al presente articolo.


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001).


 


 


Tale norma punisce l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Il delitto in esame si pone in rapporto di specialità rispetto al reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., in quanto in questo caso il programma criminoso dell’associazione stessa si focalizza sulla commissione di reati che hanno come oggetto sostanze stupefacenti.


Il programma criminoso dell’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ha come scopo il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, che ai sensi dell’art. 73 DPR 309/1990 può essere operato attraverso la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la raffinazione, la vendita, l’offerta o la messa in vendita, la cessione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, il procacciamento per terzi, l’invio, il passaggio o la spedizione in transito, la consegna per qualunque scopo, l’importazione, l’esportazione, l’acquisto, la ricezione o l’illecita detenzione di tali sostanze.


 


 



  • Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (art. 25-bis)


 


L’articolo 25-bis del Decreto Legislativo 231/01 è stato inserito dall’art. 6 comma 1 D. L. 25 settembre 2001,



  1. 350, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409. La stessa norma è stata poi modificata nella rubrica ed arricchita di nuove fattispecie di reato dall’art. 15 n. 7 lett. a) L. 23 luglio 2009, n. 99.


 


Il testo attualmente in vigore, rubricato “Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal codice penale in materia di falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per il delitto di cui all’articolo 453 la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

    2. per i delitti di cui agli articoli 454, 460 e 461 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    3. per il delitto di cui all’articolo 455 le sanzioni pecuniarie stabilite dalla lettera a), in relazione




all’articolo 453, e dalla lettera b), in relazione all’articolo 454, ridotte da un terzo alla metà;



  1. per i delitti di cui agli articoli 457 e 464, secondo comma, le sanzioni pecuniarie fino a duecento quote;

  2. per il delitto di cui all’articolo 459 le sanzioni pecuniarie previste dalle lettere a), c) e d) ridotte


di un terzo;



  1. per il delitto di cui all’articolo 464, primo comma, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;


f-bis)           per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote»;



  1. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 453, 454, 455, 459, 460, 461, 473 e 474 del codice penale, si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – bis del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 453 c.p. Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate;

  • 454 c.p. Alterazione di monete;

  • 455 c.p. Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate;

  • 457 c.p. Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede;

  • 459 c.p. Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati;

  • art 460 c.p. Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo;

  • 461 c.p. Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata;

  • 464 c.p. Uso di valori di bollo contraffatti o alterati;

  • 473 c.p. Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni;

  • 474 c.p. Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 453 Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate


 


È punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da € 516,00 a € 3.098,00:



  • chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

  • chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l’apparenza di un valore


superiore;



  • chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

  • chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o


La stessa pena si applica a chi, legalmente autorizzato alla produzione, fabbrica indebitamente, abusando degli strumenti o dei materiali nella sua disponibilità, quantitativi di monete in eccesso rispetto alle prescrizioni.


La pena è ridotta di un terzo quando le condotte di cui al primo e secondo comma hanno ad oggetto monete non aventi ancora corso legale e il termine iniziale dello stesso è determinato.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


La fattispecie incriminatrice in esame prevede e punisce il delitto di falso nummario. Si precisa che:



  • L’elemento oggettivo del reato consiste in una condotta che si sostanzia nel:

    • contraffare monete nazionali o straniere,

    • alterare monete genuine dando loro l’apparenza di un valore superiore;




o introdurre nel territorio dello stato, detenere, spendere o mettere in circolazione monete contraffatte o alterate, non essendo concorso nell’attività di alterazione o contraffazione, ma di concerto con chi ha eseguito la falsificazione;



  • acquistare o ricevere monete falsificate per metterle in



  • la contraffazione, l’alterazione e le altre condotte illecite rilevano ai sensi della norma in esame quando abbiano per oggetto monete nazionali o straniere aventi corso Le monete aventi corso legale costituiscono un bene economico utilizzato ai fini dello scambio, come misura di valore o mezzo di pagamento, in base al valore ad esso conferito;

  • le condotte incriminate non rilevano quando le monete siano falsificate grossolanamente. A questo riguardo, la Suprema corte ha specificato che “la grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza solo quando il falso sia "ictu oculi" riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza e non si debba far riferimento né alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate”28;

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma in esame è il dolo generico, salvo per il caso in cui il reato sia commesso mediante l’acquisto o la ricezione di monete false. In quest’ultima ipotesi, ai fini dell’integrazione del reato, è infatti necessario il dolo specifico, perché oltre alla previsione e alla volontà della condotta, è necessario anche l’ulteriore scopo di metter in circolazione le monete


 


 


Art. 454 Alterazione di monete


 


Chiunque altera monete della qualità indicata nell’articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei numeri 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 103,00 a € 516,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


La fattispecie in esame è strettamente collegata alla fattispecie di cui all’articolo precedente, in particolare


quando commessa secondo le modalità previste dal comma 1 numero 2).


In questo caso il reato si realizza attraverso la diminuzione del valore della moneta, ottenuto mediante


l’alterazione della stessa.


Nel periodo storico in cui le monete venivano coniate con metalli preziosi e il loro valore veniva determinato in base al peso, il reato in esame puniva la condotta di chi attraverso la raschiatura della parte metallica,


 


28 Cass. Pen., sez. I, 24 ottobre 2011, n.41108.


 


 


diminuiva il peso, e dunque il valore, della moneta.


 


 


Art. 455 Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate


 


Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli ridotte da un terzo alla metà.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 38.700a € 826.133, 33 (in relazione all’art. 453 c.p. Sanzioni pecuniarie: da € 12.900 a € 516.333, 33 (in relazione all’art. 454 c.p. Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


Anche questo reato è strettamente correlato con la fattispecie di cui all’articolo 453 c.p. La condotta incriminata è infatti analoga a quella prevista e punita dall’art. 453 comma 1 numero 3), salvo per il fatto che in questo caso l’autore del reato agisce in assenza di un qualsiasi accordo con il falsario.


 


Si specifica che:


 



  • ai fini dell’integrazione del presente reato il soggetto agente:


o non deve avere contraffatto o alterato le monete;



  • non deve aver partecipato alla manipolazione delle monete;


o non deve aver acquistato o ricevuto le monete falsificate dal falsario o da suoi intermediari;


o non deve aver agito di concerto con il falsario o i suoi intermediari;



  • l’elemento oggettivo consiste nell’acquistare o detenere monete contraffatte o alterate, in ipotesi


diverse da quelle previste dagli artt. 453 e 454 c.p.;



  • l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie è quello del dolo specifico, in quanto il soggetto agente deve agire allo scopo di mettere in circolazione le monete Per la sussistenza del dolo è necessario che al momento della ricezione il soggetto agente sia a conoscenza del fatto che le monete sono false e voglia comunque acquisirle.


 


 


Art. 457 Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede


 


Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in


buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 309.800


 


La fattispecie in esame punisce la condotta di chi spende o mette in circolazione monete che egli sa essere frutto di falsificazione, pur avendole ricevute in buona fede.


 


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla spendita o dalla messa in circolazione di monete


alterate o contraffatte;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, ovverosia la consapevolezza e volontà da parte del soggetto agente di spendere o mettere in circolazione banconote false ricevute in buona Ai fini dell’integrazione del reato occorre infatti che il soggetto agente al momento della ricezione delle monete contraffatte o alterate fosse in buona fede e che si accorga della falsificazione solo in un momento successivo all’accettazione delle stesse. Il soggetto agisce, sia pure illecitamente e deprecabilmente, riversando pertanto su altri il danno che subirebbe se sopportasse passivamente la ricezione delle monete false e per questa ragione si prevede una pena meno severa di quelle previste in altre ipotesi di falso nummario.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel ricevere da un cliente banconote false e nel rimetterle in circolazione una volta accertata la falsità, per evitare il danno pecuniario patito dalla ricezione della banconota falsa.


 


 


Art. 459 Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati


 


Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all’acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.


Agli effetti della legge penale si intendono per “valori di bollo" la carta bollata, le marche da bollo, i


francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 826.133.33 (in relazione all’art. 453 c.p.)


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 550.755,55 (in relazione all’art. 455 c.p. con riferimento all’art. 453 c.p.) Sanzioni pecuniarie: da € 8.600 a € 344.222,22 (in relazione all’art. 455 c.p. con riferimento all’art. 454 c.p.) Sanzioni pecuniarie: da € 17.200 a € 206.533,33 (in relazione all’art. 457 e art. 464 co. 2 c.p.)


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui siano contraffatti od alterati valori di bollo, o nel caso in cui qualcuno introduca nello Stato, acquisti, detenga o metta in circolazione valori di bollo contraffatti.


 


Le modalità di perpetrazione del reato sono analoghe a quelle previste dagli artt. 453, 455 e 457 c.p., salvo per il fatto che in questo caso elemento materiale del reato sono valori di bollo, ossia la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.


 


 


Art. 460 Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo


 


Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 309,00 a € 1.032,00.


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui sia oggetto di contraffazione la carta filigranata utilizzata per la produzione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo. In particolare viene punito sia colui che abbia concorso a falsificare la carta filigranata stessa, sia chiunque la acquisti, la detenga o la alieni.


 


 


Art. 461 Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata


 


Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane, programmi informatici o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 103,00 a € 516,00.


 


La stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno per ad oggetto ologrammi o altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o l’alterazione.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


Il legislatore ha previsto la punibilità anche delle condotte meramente preparatorie rispetto alla commissione dei reati di cui sopra.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo della fattispecie in esame consiste nel fabbricare, acquistare, detenere, alienare filigrane, programmi informatici, strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata, od ologrammi o altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o l’alterazione;

  • l’elemento soggettivo è il dolo Non è infatti richiesto ai fini della punibilità della condotta in esame che l’autore del reato abbia agito allo scopo di falsificare effettivamente qualcosa, ma è sufficiente che egli fosse a conoscenza che gli strumenti da lui fabbricati, acquistati, detenuti o alienati fossero idonei esclusivamente a produrre la contraffazione o l’alterazione di monete, valori di bollo o carta filigranata;

  • si tratta di un reato di natura sussidiaria rispetto ai precedenti delitti analizzati, perché trova


applicazione soltanto quando non è configurabile un’ipotesi delittuosa diversa.


 


 


Art. 464 Uso di valori di bollo contraffatti o alterati


 


Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nella alterazione, fa uso di valori di bollo


contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a € 516,00.


 


Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell’articolo 457, ridotta di un


terzo.


 


Sanzioni pecuniarie: primo comma da € 25.800 a € 464.700 Sanzioni pecuniarie: secondo comma da € 25.800 a € 309.800


 


La condotta del reato consiste nel fare uso di valori bollati contraffatti o alterati, senza avere contribuito alla contraffazione o all’alterazione. La pena è ridotta nel caso di buona fede, ossia allorquando il soggetto non conosca, nel momento in cui viene in contatto con il valore di bollo, la sua natura di falso.


 


 


Art. 473 - Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni


 


Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 2.500,00 a € 25.000,00.


 


Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da € 3.500,00 a € 35.000,00 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.


 


I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


L’art. 473 c.p. contempla le ipotesi di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi, nonché di brevetti, disegni e modelli. Il reato è “comune” poiché può essere commesso da chiunque abbia realizzato le condotte descritte.


 


La norma è posta a tutela della fede pubblica in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, nonché nei brevetti, nei disegni e nei modelli, che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non dell’affidamento del singolo: non è quindi necessario, per integrare il reato, che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto29.


 


L’integrazione dell’elemento oggettivo richiede invece la specifica attitudine offensiva della condotta, vale a


dire l’effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori.


 


Non è dunque penalmente rilevante la produzione di un falso grossolano e, in quanto tale, non idoneo a produrre un effettivo rischio di confusione. In tema di prodotti con segni falsi, tuttavia, “perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perché il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche del prodotto e del marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno: tale giudizio va formulato con criteri che consentano una valutazione "ex ante" della riconoscibilità "ictu oculi" della grossolanità della falsificazione”30.


All’uopo, è stato chiarito che:



  • la “contraffazione” consiste nella fabbricazione di prodotti da parte di chi non vi sia legalmente


autorizzato, che risulti idonea ad ingannare i consumatori;



  • l’“alterazione” si realizza attraverso la modificazione parziale di un segno genuino, ottenuta mediante


l’eliminazione od aggiunta di elementi costitutivi marginali.


 


Inoltre, la mera contraffazione delle effigi di marchi risulta di per sé rilevante a prescindere dal loro posizionamento sul prodotto industriale che sono destinate a contrassegnare.


 


Ai fini dell’interpretazione della norma, si intende per:



  • marchio: un insieme di parole o un disegno che costituiscono lo strumento di comunicazione tra imprese e consumatori e che siano idonei a contraddistinguere un determinato prodotto o servizio e a suggerirne la provenienza;

  • altro segno distintivo: gli elementi ulteriori che consentono l’identificazione della provenienza del prodotto, pur non avendo le caratteristiche di un marchio e che possono comprendere, ad esempio, i modelli ornamentali, quando siano indicativi della provenienza del prodotto o rappresentativi dell’impresa che li ha brevettati;


 


 


 


 


 


29 Cfr. Cass., sez V, 5 novembre 2001 n. 1195.


30 Cass. Pen., sez. II, 03 aprile 2008, n.16821.


 


 



  • brevetto31: l’attestato della riferibilità di una nuova invenzione o scoperta industriale a un determinato soggetto, cui lo Stato concede il diritto di esclusiva nello sfruttamento dell’invenzione stessa;

  • modello: l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto32 stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi ed abbiano carattere


L’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del delitto in esame è il dolo generico. Presupposto per il riconoscimento della responsabilità del soggetto agente è che quest’ultimo, oltre alla previsione e volontà dell’azione, sia consapevole dell’esistenza di un titolo di proprietà industriale relativo al marchio o al segno distintivo del prodotto.


L’ultimo capoverso della norma prevede una condizione di punibilità determinata dall’osservanza delle norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla protezione della proprietà industriale. Sulla base di questo dato, unanimemente, la dottrina circoscrive la tutela penale apprestata dall’art. 473 c.p. ai soli marchi registrati33.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare in produzione industriale, consapevolmente, un


modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.


 


 


Art. 474 Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi


 


Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da € 3.500,00 a € 35.000,00.


 


Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.


 


I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


La fattispecie incriminatrice in esame punisce due differenti tipologie di condotta. La prima consiste nell’introdurre nel territorio dello Stato prodotti recanti marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati al fine di trarne profitto; la seconda nel detenere ai fini di vendita, nel porre in vendita o mettere altrimenti in circolazione tali prodotti allo scopo di conseguire un profitto.


 


Il presupposto per il riconoscimento della responsabilità in capo all’autore del reato è l’esclusione del concorso nelle ipotesi delittuose previste dal precedente art. 473 c.p. Infatti, la condotta di cui all’art. 474 c.p., sebbene costituisca una naturale prosecuzione di quella di contraffazione o alterazione del marchio del prodotto industriale, deve risultare svincolata da queste ultime.


 


La dottrina maggioritaria, come per l’art. 473 c.p., ritiene che il bene giuridico tutelato debba rinvenirsi nella


fiducia che il pubblico indeterminato dei consumatori ripone nella generalità dei segni distintivi delle opere


 


31 Ai sensi dell’art. 2, comma 2, D. Lgs. 30/2005 sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove varietà vegetali. I modelli di utilità sono rappresentati dai nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti.


32 Art. 31, comma 1, D. Lgs. 30/2005. Ai sensi del comma 2 dello stesso articolo per prodotto si intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l'altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratore. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo per prodotto complesso si intende un prodotto formato da più componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto.


33 MARINUCCI, Falsità in segni distintivi delle opere dell’ingegno e dei prodotti industriali, in Enc.dir., XVI, 1967, pp.653-665.


 


 


dell’ingegno o dei prodotti industriali.


 


Per la nozione di marchio e segno distintivo, valgono le considerazioni fatte in riferimento all’art. 473 c.p.


 


Si tratta, peraltro, di un reato di pericolo perché la tutela apprestata dal legislatore non si estende alla accertata realizzazione di un danno concreto o dell’inganno, ma viene anticipata al momento in cui si verifica il solo pericolo di cagionare un nocumento alla genuinità e alla correttezza dei rapporti commerciali. Occorre tuttavia che vi sia un pericolo effettivo per il bene giuridico della fede pubblica, infatti, anche in questo caso, non rilevano penalmente le condotte che abbiano quale oggetto materiale un prodotto contraffatto o alterato grossolanamente34.


L’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, cioè dalla volontà cosciente di introdurre, detenere o vendere prodotti con marchio contraffatto all’ulteriore scopo di ricavare un profitto da tale attività illecita.


Anche in questo caso, la tutela penale apprestata dalla norma risulta circoscritta ai soli marchi registrati. Secondo costante giurisprudenza, il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi


può concorrere con il delitto di ricettazione, in quanto la fattispecie astratta dell’art. 474 c.p. non contiene


tutti gli elementi costitutivi della ricettazione.


 


Lo stesso soggetto può quindi commettere entrambi i reati, stante la diversa soggettività giuridica dei due reati. L’art. 474, infatti, è posto a tutela della fede pubblica, mentre l’art. 648 rientra tra i delitti contro il patrimonio, e distinti sono anche gli scopi delle norme: nella ricettazione si vuole evitare la circolazione di prodotti provenienti da delitto, mentre l’altra ipotesi offre una protezione della pubblica fede commerciale.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita, con la consapevolezza di ottenerne un profitto, un bene caratterizzato dalla contraffazione o dall’alterazione di un modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.


 


 


 



  • Delitti contro l’industria e il commercio (art. 25-bis.1)


 


L’articolo 25-bis.1 del Decreto Legislativo 231/01, rubricato “Delitti contro l’industria e il commercio”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti contro l’industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

    2. per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514 la sanzione pecuniaria fino a ottocento



  2. Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – bis.1 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 513 c.p. Turbata libertà dell’industria o del commercio;

  • 513-bis c.p. Illecita concorrenza con minaccia o violenza;

  • 514 c.p. Frodi contro le industrie nazionali;

  • 515 c.p. Frode nell’esercizio del commercio;

  • 516 c.p. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine;

  • art 517 p. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci;


 


34 Per la definizione di falso grossolano si veda quanto riportato al paragrafo precedente, relativo all’art. 473


c.p.


 


 



  • 517-ter c.p. Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale;

  • 517-quater c.p. Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari;


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 513 Turbata libertà dell’industria o del commercio


 


Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da € 103,00 a € 1.032,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Tale ipotesi di reato si configura quando un soggetto tenta di impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio mediante l’impiego di violenza sulle cose o di mezzi fraudolenti.


Si precisa che:



  • il reato è qualificabile come “comune”, dal momento che chiunque può divenire soggetto attivo del


delitto;



  • la condotta consiste nell’adoperare violenza o mezzi fraudolenti con modalità idonee ad impedire l’esercizio dell’attività industriale o commerciale; si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata, trasformata, o ne è mutata la destinazione; per “mezzi fraudolenti” si intendono quei mezzi idonei a trarre in inganno la vittima, come artifici, raggiri e menzogne, restando invece escluse dal novero delle condotte rilevanti altri mezzi illeciti, come, ad esempio, il mantenimento della vittima in condizione di ignoranza;

  • la figura delittuosa richiama una serie di condotte che potrebbero essere definite bagatellari, come piccoli disservizi realizzati al solo scopo di turbare altri soggetti sul mercato, e viene indicata come una delle forme più elementari di aggressione al sistema economico;

  • con riguardo ai tipi di attività di impresa protette dalla norma, secondo l’interpretazione dominante vi rientrano tutti i tipi di attività di impresa che rispettino i requisiti di organizzazione, economicità e professionalità stabiliti dall’art. 2082 c., a prescindere dalla soggettività pubblica o privata dell’impresa stessa;

  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo specifico e consiste, oltre che nella previsione e volontà del fatto - mettere in pericolo l’attività commerciale o industriale -, anche nell’ulteriore fine di cagionare l’impedimento o il turbamento delle attività;

  • si tratta di una fattispecie sussidiaria, come può evincersi dalla clausola di specialità finalizzata ad escludere la configurabilità della fattispecie criminosa in presenza di elementi costitutivi di reati più


Notevole importanza assume il rapporto tra la disposizione in esame e la disciplina civilistica sulla concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., posto che, nella prassi, la condotta tipica viene tenuta dal concorrente sleale o da un suo collaboratore o dipendente.


Ai sensi del suddetto articolo, compie atti di concorrenza sleale chiunque:



  • usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

  • diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

  • si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza


professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.


Secondo la giurisprudenza gli atti di concorrenza sleale non sono tuttavia diretti al turbamento delle attività economiche, ma piuttosto al mero scopo di fare realizzare un utile economico all’agente.


La condotta dell’agente, nel caso di specie, deve essere concretamente idonea a turbare o impedire l’esercizio di un’industria o di un commercio. L’impedimento può essere anche temporaneo o parziale e può verificarsi anche quando l’attività di impresa non sia ancora iniziata ma sia in preparazione. La turbativa, invece, deve riferirsi ad un’attività già iniziata e deve consistere nell’alterazione del suo regolare e libero svolgimento


 


 


 


Art. 513-bis Illecita concorrenza con minaccia o violenza


 


Chiunque nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di


concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni.


 


La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un’attività finanziata in tutto o in parte ed


in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale ipotesi di reato ricorre nel caso in cui siano compiuti, nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, atti di concorrenza caratterizzati dall’uso di violenza o minaccia.


Si tratta di un’incriminazione che si muove in un’ottica di tutela dell’iniziativa economica lecita da forme di aggressione perpetrate dalla criminalità organizzata che, soprattutto in ambienti “ad alta densità mafiosa”, tende sempre più ad inserirsi nel circuito dell’economia lecita. Tuttavia, la mancanza nella norma di qualsiasi riferimento ai fatti di criminalità organizzata, presuppone, comunque, la rilevanza a livello penale anche delle condotte poste in essere da imprenditori non legati a sodalizi criminali


 


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “proprio”, in quanto soggetto agente può essere solo colui che esercita un’attività


industriale, commerciale o produttiva, e quindi un imprenditore;



  • la condotta è costituita da qualunque atto che possa incidere negativamente sulla concorrenza e che si concretizzi in forme di intimidazione tendenti a controllare, o anche solo a condizionare, le attività tutelate dalla norma. Quindi, i comportamenti tipizzati non devono coincidere necessariamente con gli atti di concorrenza sleale previsti dall’art. 2598 c.35, ma è in compenso necessario che essi siano caratterizzati dalla violenza, anche solo psicologica, o dalla minaccia di un male ingiusto;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico: ai fini del riconoscimento della colpevolezza, basta l’accertamento della previsione e volontà di porre in essere le condotte


 


 


Art. 514 Frodi contro le industrie nazionali


 


Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a € 516,00.


 


Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi.


Il reato è comune, potendo essere commesso da chiunque realizzi le condotte di vendita o messa in circolazione di beni non genuini, contrassegnati da nomi, marchi e altri segni distintivi contraffatti o alterati.


Si tratta, peraltro, di reato d’evento, infatti, affinché l’illecito possa dirsi consumato, è necessario che si accerti “il nocumento all’industria nazionale”, ossia un imponente pregiudizio in tutto il paese per l’intero comparto produttivo colpito.


Tale elemento consente di cogliere la differenza tra la fattispecie dell’art. 514 c.p. e quelle, pure rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, descritte dagli artt. 474 e 517 c.p.; infatti, se il predetto danno all’industria nazionale non si verifica, la condotta ricade nella portata applicativa degli artt. 474 e 517


c.p. a seconda che i contrassegni (marchi ed altri segni distintivi) siano registrati o meno.


Per la nozione di marchio e segno distintivo, valgono le considerazioni fatte in riferimento all’art. 473 c.p.


Quanto ai “nomi”, per essi si intendono tutti gli elementi identificativi del prodotto e della sua provenienza costituiti da una parola o da un insieme di parole e non ricompresi nel concetto di marchio.


L’elemento soggettivo consiste nel dolo generico, ovvero nella previsione e volontà di realizzare la condotta creando il nocumento all’industria nazionale e nella consapevolezza circa la non genuinità dei segni distintivi dei prodotti.


 


Art. 515 Frode nell’esercizio del commercio


 


Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 2.065,00.


 


Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a €


103,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


 


 


Tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui nell’ambito di un’operazione commerciale che comporta uno


scambio di beni, venga consegnata una cosa diversa rispetto a quella oggetto di accordo.


 


 


35 Cass. pen., 15 marzo 2005, in Riv. Pen., 2006, p. 353.


 


 


Anche tale fattispecie di reato, come in precedenza sottolineato, è posta a tutela del sistema economico


nazionale, ma con riferimento specifico all’onestà e alla correttezza degli scambi.


Si precisa che:



  • dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel ritenere che la norma descriva un reato “proprio”, in quanto realizzabile soltanto da chi eserciti, anche di fatto, un’attività commerciale, da intendersi in senso lato come scambio di beni e servizi. Occorre dunque che il soggetto agente si trovi nella condizione di partecipare ad una vendita o ad una qualsiasi attività cessione di beni, rivestendo pertanto la qualifica di “venditore” anche nel caso in cui questa non sia la sua attività professionale. Tra i soggetti attivi del reato si possono perciò comprendere anche dipendenti, familiari, rappresentante o socio del titolare della ditta purché abbiano effettuato materialmente la cessione illegale o abbiano concorso alla sua realizzazione36.

  • la condotta rilevante consiste, alternativamente, nella consegna di una cosa mobile per un’altra (aliud pro alio), ovvero in una res diversa da quella dichiarata o pattuita per origine, provenienza, qualità e quantità. All’uopo, si intende per: “origine”: il luogo geografico di produzione del bene che, in virtù di tale legame, acquisti un particolare pregio; “provenienza”: l’indicazione della persona, fisica o giuridica che produce il bene; “qualità”: la composizione fisico-chimica del bene; “quantità”: il dato ponderale o numerico della merce;

  • la condotta di “consegna” si realizza anche nei sistemi di vendita “self service” in cui il prodotto


non soltanto è offerto ma messo a completa disposizione del pubblico;



  • il delitto è a dolo generico, consistente nella previsione e volontà della condotta, mentre restano


irrilevanti i motivi che spingono l’agente.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita un prodotto con caratteristiche qualitative o di materiale pregiato differente rispetto a quello dichiarato al consumatore.


 


Art. 516 Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine


 


Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non


genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da 25.800 a € 774.500


Si precisa che:



  • l’individuazione del soggetto attivo si ricava, per relationem, dall’art. 515 p. sulla “Frode nell’esercizio in commercio”. Infatti, sebbene la norma si riferisca a “chiunque” realizzi una delle condotte descritte, il reato potrebbe essere qualificato come “proprio”, poiché compiuto da colui il quale esercita (anche di fatto) un’attività commerciale;

  • l’elemento oggettivo del reato consiste nel porre in vendita o mettere in circolazione sostanze alimentari non Per “porre in vendita” si intende uno scambio di beni a titolo oneroso, mentre per “mettere in circolazione” si intende l’attività generica di chi pone in contatto la merce con il pubblico, anche gratuitamente;

  • l’oggetto materiale della condotta è costituito dalle sostanze alimentari non genuine, cioè alimenti la cui composizione biochimica è stata alterata in violazione dei requisiti fissati da specifiche normative di settore.

  • la fattispecie delittuosa è caratterizzata dal dolo generico, e cioè dalla consapevolezza del carattere non genuino del prodotto e dalla volontà di presentarlo come genuino;

  • il reato in esame si pone in rapporto di sussidiarietà rispetto al reato previsto dall’art. 515 p. poiché consiste in un’attività preparatoria rispetto a quella materiale della consegna del bene.


 


Art. 517 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci


 


Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Rispetto alla fattispecie disciplinata dall’articolo precedente, quella in commento si differenzia per l’oggetto materiale della condotta costituito dalle opere d’ingegno e dai prodotti industriali recanti nomi, marchi o segni


 


36 Cass. pen., 15 gennaio 2003, n. 18298, in Cass. pen., 2004, p. 1620.


 


 


distintivi idonei a trarre in inganno il compratore su origine, provenienza e qualità dell’opera o del prodotto.


Peraltro, il reato si distingue anche da quello di “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi” di cui all’art. 474 c.p. La norma contiene, in primo luogo, una clausola di sussidiarietà finalizzata ad escludere la configurabilità della fattispecie criminosa in presenza di elementi costitutivi di fattispecie contemplate in altre disposizioni di legge.


Inoltre, mentre l’art. 474 c.p. tutela la fede pubblica contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione o nell’alterazione del marchio o di altri segni distintivi, l’art. 517 c.p. ha lo scopo di assicurare l’onestà degli scambi contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti, sicché trova applicazione anche quando, in assenza di una vera e propria attività di falsificazione, i contrassegni illegittimamente utilizzati risultino equivoci. Inoltre, per la configurabilità della fattispecie, non occorre che il marchio imitato sia registrato o riconosciuto a norma della normativa interna o internazionale.


Si precisa che:



  • la fattispecie incriminatrice prevede due condotte tipiche alternative consistenti nel “porre in vendita” ovvero nel “mettere altrimenti in circolazione” prodotti con attitudine La prima condotta consiste nell’offerta di un determinato bene a titolo oneroso, mentre la seconda ricomprende qualsiasi forma di messa in contatto della merce con il pubblico, anche e titolo oneroso;

  • l’oggetto materiale del reato può essere costituito o da un’opera dell’ingegno o da un prodotto


industriale;



  • per la configurabilità del reato in esame è necessario che vi sia una potenziale induzione in inganno del consumatore, e che la stessa sia prodotta da ‘‘nomi, marchi o segni distintivi". Per la sussistenza di detto reato, dunque, è sufficiente l’uso di nomi, marchi e segni distintivi che, senza essere contraffatti, risultino idonei ad indurre in errore la grande massa dei consumatori circa l’origine, la provenienza o la qualità del prodotto, sicché sono bastevoli anche pochi tratti di rassomiglianza, sebbene superficiale, tra i marchi contrapposti;

  • la potenziale induzione in errore dei consumatori deve ricadere sulla provenienza, sull’origine o sulla qualità dell’opera dell’ingegno o del prodotto industriale. Come è già stato chiarito dalla Suprema Corte, “per "provenienza ed origine" della merce non deve intendersi (ad eccezione delle specifiche ipotesi espressamente previste dalla legge) la provenienza della stessa da un certo luogo di fabbricazione, totale o parziale, bensì la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione e si rende garante della qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti”37;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico e, cioè, dalla previsione e volontà di porre in vendita o mettere in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali recanti nomi, marchi o altri segni distintivi idonei a trarre in inganno i consumatori sulla provenienza, origine o qualità, del


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel porre in vendita un prodotto con l’indicazione geografica di fabbricazione o produzione (ad esempio “made in italy”) differente da quella reale (ad esempio “made in china”), che invece ha minor valore per il cliente38.


 


37 Cass. Pen., sez. III, 23 settembre 2010, n. 37818.


38 L’art. 4, comma 49 e 49-bis della L. 350/2003, come modificati dal D. L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 20 novembre 2009, n. 166 prevedono:


“49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis, ovvero l'uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine senza l'indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura "made in Italy". Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica.


 


 


Art. 517-ter Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale


 


Salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.


 


Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.


 


Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.


 


I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


In via generale, si osserva che l’art. 15 L. 23 luglio 2009, n. 99 ha inserito ex novo la norma in esame nel codice penale e, successivamente, ha inserito la fattispecie in esame nell’elenco di quelle che, se violate, danno origine alla responsabilità amministrativa dell’ente.


L’art. 517-ter c.p. prevede e punisce due diverse tipologie di reato. In particolare il primo comma introduce il delitto di fabbricazione di beni realizzati mediante l’usurpazione di titoli di proprietà industriale, mentre il secondo comma prevede il delitto di commercio di beni realizzati mediante l’usurpazione di titoli di proprietà industriale.


Con riferimento al reato previsto e punito dal primo comma della norma in esame, si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato previsto e punito dal comma 1 è costituito dalla fabbricazione e


dall’utilizzo a livello industriale di prodotti protetti da un titolo di proprietà industriale;



  • ai fini dell’integrazione del reato è necessario che le condotte siano poste in essere con l’usurpazione


o con la violazione del titolo di proprietà industriale. Per “usurpazione” si intende l’atto di far proprio, senza averne il diritto, un bene appartenente ad altri ed in questo caso l’utilizzo uti dominus del titolo di proprietà industriale altrui; per “violazione” invece devono intendersi tutti i comportamenti contrari


o eccedenti rispetto alle prescrizioni imposte relativamente al titolo di proprietà industriale stesso;


 


49-bis - Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.


L’art. 16, comma 1, 2 3 e 4 del D. L. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 20


novembre 2009, n. 166 riporta:


“1. Si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.



  1. Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per le politiche europee e per la semplificazione normativa, possono essere definite le modalità di applicazione del comma

  2. Ai fini dell'applicazione del comma 4, per uso dell'indicazione di vendita o del marchio si intende l’utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l'apposizione degli stessi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al

  3. Chiunque fa uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale "100% made in Italy", "100% Italia", "tutto italiano", in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale, aumentate di un


 


 



  • la fattispecie delittuosa è caratterizzata dal dolo generico e, cioè, dalla previsione e volontà di realizzare le condotte Come espressamente previsto dalla norma, il riconoscimento della colpevolezza è subordinato all’accertamento della conoscenza o della conoscibilità da parte del soggetto agente del titolo di proprietà industriale che viene illegalmente sfruttato o violato.


 


Con riferimento al reato previsto e punito dal secondo comma della norma in esame, si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito da condotte di introduzione nel territorio dello stato, detenzione per la vendita, commercializzazione e scambio in senso lato dei prodotti realizzati secondo le modalità di cui al comma 1;

  • l’oggetto del reato in esame è dunque il frutto di un altro reato e, proprio per tale ragione, ne è punito


penalmente lo sfruttamento economico;



  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, perché è necessario accertare, oltre alla previsione e volontà dell’azione, anche l’ulteriore fine di trarre profitto.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare consapevolmente in produzione industriale, oltre i


limiti previsti dalla licenza, un modello o un disegno tutelato da registrazione da parte di terzi.


 


Art. 517-quater Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari


 


Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti


agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000,00.


 


Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.


 


Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.


 


I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano


state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


 


Come osservato per la norma precedente, anche tale disposizione è stata inserita nel codice penale dalla L.


23 luglio 2009, n. 99 e successivamente richiamata quale reato-presupposto della responsabilità


amministrativa dell’ente.


Si precisa che:


 



  • le condotte incriminate consistono sia nella contraffazione e alterazione dei prodotti oggetto di tutela, sia nella introduzione nel territorio dello Stato, nella detenzione per la vendita, nella commercializzazione e nello scambio in senso lato dei prodotti Per le nozioni di contraffazione e alterazione valgono le considerazioni effettuate in riferimento all’art. 473 c.p. cui si rinvia;

  • l’oggetto materiale della condotta è costituito dalle indicazioni geografiche o denominazioni di origine


di prodotti agroalimentari;



  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, cioè dalla previsione e volontà della condotta


incriminata.


 


La fattispecie si pone in un’ottica di tutela delle c.d. “indicazioni geografiche”, viste non solo come una garanzia di qualità del prodotto, ma come un elemento di scelta da parte del consumatore, che propende per l’acquisto di un prodotto anche in base alla sua provenienza. Ciò può avvenire sia perché il consumatore ritiene che una data provenienza garantisca una certa qualità, sia per altri motivi economici e sociali (si pensi, a titolo di esempio, alla c.d. “filiera corta”, garanzia di genuinità ma anche di rispetto ambientale e di tutela dei lavoratori di un dato territorio)


 


I delitti in esame sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.


 


 



  • Reati societari (art. 25-ter)


 


L’articolo 25-ter del Decreto Legislativo 231/01, rubricato “Reati societari”, così recita:


 



  1. In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, si applicano all’ente le seguenti


sanzioni pecuniarie3940:



  1. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621 del codice civile, la


sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;


a-bis. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote;



  1. per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2622 del codice civile, la


sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;



  1. (abrogata)41;

  2. per la contravvenzione di falso in prospetto, prevista dall’articolo 2623, primo comma, del


codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;



  1. per il delitto di falso in prospetto, previsto dall’articolo 2623, secondo comma, del codice civile,


la sanzione pecuniaria da duecento a trecentotrenta quote;



  1. per la contravvenzione di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, prevista dall’articolo 2624, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;

  2. per il delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, previsto dall’articolo 2624, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;

  3. per il delitto di impedito controllo, previsto dall’articolo 2625, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;

  4. per il delitto di formazione fittizia del capitale, previsto dall’articolo 2632 del codice civile, la


sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;



  1. per il delitto di indebita restituzione dei conferimenti, previsto dall’articolo 2626 del codice


civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;



  1. per la contravvenzione di illegale ripartizione degli utili e delle riserve, prevista dall’articolo


2627 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centotrenta quote;



  1. per il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, previsto


dall’articolo 2628 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centottanta quote;



  1. per il delitto di operazioni in pregiudizio dei creditori, previsto dall’articolo 2629 del codice civile,


la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;



  1. per il delitto di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, previsto dall’articolo


2633 del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;



  1. per il delitto di illecita influenza sull’assemblea, previsto dall’articolo 2636 del codice civile, la


sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;



  1. per il delitto di aggiotaggio, previsto dall’articolo 2637 del codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi previsto dall’articolo 2629-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;

  2. per i delitti di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, previsti dall’articolo 2638, primo e secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;


s-bis.           per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote e, nei casi di istigazione di cui al primo comma dell’articolo 2635-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. Si applicano altresì le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2.


 



  1. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante


entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.


 


 


 


39 Articolo modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica


amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


40 Ai sensi dell’articolo 39, comma 5 della Legge 262/2005, le sanzioni pecuniarie previste dall'articolo 25-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono raddoppiate; pertanto, per i soggetti cui si applicano le disposizioni previste dalla L. 262/2005, i valori minimi e massimi indicati nell’art. 25-ter devono essere intesi raddoppiati.


41 La disposizione di cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 25-ter del Decreto Legislativo 231/01 è stata abrogata dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


 


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – ter del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 2621 c.c. False comunicazioni sociali;

  • 2622 c.c. False comunicazioni sociali delle società quotate;

  • 2623 c.c. Falso in prospetto42;

  • 2624 c.c. Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione43;

  • 2625 c.c. Impedito controllo;

  • 2626 c.c. Indebita restituzione dei conferimenti;

  • art 2627 c. Illegale ripartizione degli utili o delle riserve;

  • 2628 c.c. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali proprie o della società controllante;

  • 2629 c.c. Operazioni in pregiudizio dei creditori;

  • 2629-bis c.c. Omessa comunicazione del conflitto di interessi;

  • 2632 c.c. Formazione fittizia del capitale;

  • 2633 c.c. Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori;

  • 2635 c.c. Corruzione tra privati;

  • 2635-bis c.c. Istigazione alla corruzione tra privati;

  • 2636 c.c. Illecita influenza sull’assemblea;

  • 2637 c.c. Aggiotaggio;

  • 2638 c.c. Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza


 


Gli articoli del codice civile che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 2621 False comunicazioni sociali44


 


Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci


o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa


 


42 L’articolo 2623 del codice civile è abrogato e il relativo reato è stato spostato nel Testo Unico sulla Finanza,


senza che il legislatore abbia attuato un coordinamento tra l’art. 173-bis del TUF e il D. Lgs. 231/01.


Art. 173-bis D. Lgs. 58/98 - (Falso in prospetto). – “1. Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni".


43 Ai sensi dell’articolo 37, comma 34 del D. Lgs. 39/10, l’articolo 2624 del codice civile è abrogato. L’articolo è stato sostituito dall’art. 27 del D. Lgs. 39/10, senza che tuttavia il legislatore coordinasse la nuova norma con l’impianto del D. Lgs. 231/01.


Art. 27 (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) “1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.



  1. Se la condotta di cui al comma 1 ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro

  2. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico, la pena è della reclusione da uno a cinque

  3. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione, la pena di cui al comma 3 è aumentata fino alla metà.

  4. La pena prevista dai commi 3 e 4 si applica a chi dà o promette l'utilità nonché ai direttori generali e ai componenti dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo dell'ente di interesse pubblico assoggettato a revisione legale, che abbiano concorso a commettere il ”


44 Articolo recentemente modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro


la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”;


 


 


appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.


 


La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a €619.600


La Legge 27 maggio 2015, n. 69 è intervenuta modificando il dettato dell’articolo 2621 c.c., prevedendo che il reato di “false comunicazioni sociali” sia ora punito a titolo di delitto, in luogo della precedente disposizione che prevedeva la punibilità a titolo meramente contravvenzionale.


Si realizza il delitto di false comunicazioni sociali, così come riformato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, qualora un soggetto investito di una carica sociale, ivi compresi il dirigente preposto alla redazione di documenti contabili societari, esponga intenzionalmente nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero ometta fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore sulla situazione della società stessa.


Le pene previste per le ipotesi sopra richiamate, si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.


Si precisa che:



  • la norma in esame prevede un’ipotesi di reato proprio, che può essere commesso solo da soggetti in possesso della qualifica di amministratore, direttore generale, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, sindaco o liquidatore. Il reato non può, al contrario, considerarsi integrato nel caso in cui la condotta tipica sia posta in essere da soggetto diverso da quelli precedentemente elencati;

  • la condotta cui si riferisce la norma in commento, riguarda sia il comportamento attivo che quello Pertanto, diventa penalmente rilevante ogni condotta che comporti un occultamento di comunicazioni imposte dalla legge;

  • la condotta attiva, ovvero l’esposizione dei fatti, cui si riferisce l’articolo, deve aver ad oggetto fatti materiali Tra questi ultimi, non rientrano più le “valutazioni”, vale a dire le stime che caratterizzano la maggior parte delle voci di bilancio e che rispondono ad una pluralità di considerazioni fondate su elementi di varia natura;

  • l’esposizione di fatti materiali falsi, e l’omissione di fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge, devono essere idonee a trarre in inganno i destinatari della situazione economica patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. In altre parole, la fraudolenza, che in passato rilevava solo come elemento psicologico del reato, rileva ora anche sul piano dell’attitudine ingannevole della condotta;

  • l’oggetto materiale del reato sono i bilanci, le relazioni, nonché le altre comunicazioni sociali, previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico. Riguardo a queste ultime, la dizione della norma manifesta la volontà del legislatore di espungere dalla fattispecie le comunicazioni interorganiche e le comunicazioni con unico destinatario, pubblico o Tra le prime, (comunicazioni interorganiche), rientrano tutte le comunicazioni che si verificano tra diversi organi della società, tipicamente tra organo d’amministrazione ed organo di controllo. Si pensi, ad esempio, alle falsità nel progetto di bilancio e nella relazione comunicati dagli amministratori al Collegio sindacale, ai sensi dell’art. 2429 c.c. Tra le seconde, ovvero tra le comunicazioni con unico destinatario, si pensi, per i soggetti privati, alla falsa situazione patrimoniale relativa alle condizioni economiche della società, presentata dagli amministratori a istituti di credito, al fine di ottenere finanziamenti. Riguardo ai soggetti pubblici, invece, c’è solo da precisare che, tra questi, non vi rientra l’Amministrazione tributaria, ed infatti, vi è un’alternanza tra false comunicazioni sociali e dichiarazione dei redditi o IVA fraudolenta o infedele. Si noti, inoltre, che la norma prevede che le comunicazioni sociali affette da falsità, per essere penalmente rilevanti, devono essere previste dalla legge. Pertanto, non rientrano nella fattispecie criminosa, ad esempio, gli atti interni e le interviste;

  • si tratta di un reato di pura condotta che, ai fini della configurabilità, non richiede il verificarsi di un evento dannoso;

  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nell’intenzionalità dell’agente di trarre in inganno in ordine all’effettiva situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, unita al proposito di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri;

  • il reato, in seguito alla riforma, è perseguibile d’ufficio.


 


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel sopravvalutare in maniera significativa e materiale le


rimanenze finali, con la finalità di migliorare sensibilmente il risultato dell’esercizio.


 


 


Art. 2621-bis Fatti di lieve entità45


 


Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.


 


Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.


 


Sanzione pecuniaria: da € 25.800 a € 309.800


 


La Legge 27 maggio 2015, n. 69 introduce all’interno dell’ordinamento l’articolo 2621-bis, il quale individua


delle ipotesi di riduzione di pena per la commissione del reato di cui all’art. 2621 c.c.:


 


o se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni. La lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa;


o nel caso in cui il reato di falso in bilancio riguardi le società che non sono soggette al fallimento (quelle, nei tre esercizi precedenti o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, abbiano avuto un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila, abbiano realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila e abbiano un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila), è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale)e la pena applicabile dovrà essere ricompresa tra i sei mesi e i tre anni.


 


In ogni caso, le disposizioni di cui agli articoli 2621 e 2621-bis vanno coordinate con la previsione di al nuovo art. 2621-ter che prevede una ipotesi speciale di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Ai fini della valutazione sulla tenuità del fatto, spetta al Giudice il compito di verificare l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori, in conseguenza dei fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis.


 


 


Art. 2622 False comunicazioni sociali delle società quotate46


 


Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.


 


Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:



  • le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione


alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;



  • le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;

  • le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un


mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;



  • le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo


 


 


45 Articolo recentemente introdotto dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro


la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


46 Articolo recentemente modificato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”.


 


 


Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 929.400


L’art. 2622 c.c., così come riformato dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69, si occupa delle falsità nelle


comunicazioni sociali delle società quotate.


Deve essere rilevato come tale reato, a differenza di quanto avveniva ante riforma, si configura come un reato di pericolo, nel senso che non è più determinante per la non punibilità il fatto che ci sia stato un effettivo danno arrecato ai soci o creditori. Quello che diventa essenziale, e che viene dunque punito, è l’intento comunque di arrecare un danno attraverso false comunicazioni.


La nuova Legge inoltre introduce un sensibile aumento delle pene previste che, nella nuova formulazione, sono ricomprese fra un minimo di tre anni ed un massimo di otto anni.


Per gli altri elementi caratterizzanti la fattispecie incriminatrice del reato si rimanda alle considerazioni già svolte sub art. 2621 c.c.


 


[Art. 2623 Falso in prospetto47


 


Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti ai fini della sollecitazione all’investimento o dell’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo ad indurre in errore i suddetti destinatari è punito, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino ad un anno.


 


Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari del prospetto, la pena è della reclusione da uno a tre anni.]


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2623 co.1 c.c.


richiamato sostanzialmente dall’art. 24 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58)


Sanzioni pecuniarie: da €103.200 a 1.022.340 € (con riferimento all’ormai abrogato art. 2623 co.2 c.c. richiamato sostanzialmente dall’art. 24 D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58)


Il reato in oggetto, ora descritto nell’art. 173-bis, comma 1, del D. Lgs. 58/98 (mentre l’art. 2623 c.c. è stato espressamente abrogato), risponde all’esigenza sentita dal legislatore di distinguere il comportamento di chi falsifica i “prospetti” e i “documenti”, da quello che ha per oggetto le comunicazioni sociali, di cui ai precedenti articoli 2621 e 2622 c.c.


Il legislatore non ha attuato un coordinamento tra l’art. 173 bis del TUF e il D. Lgs. 231/01: pertanto al momento dell’approvazione della presente Parte Speciale il reato di falso in prospetto non è rilevante ai fini della redazione del Modello di organizzazione, gestione e controllo48.


Oggetto del delitto in commento sono, infatti, i prospetti richiesti ai fini della sollecitazione dell’investimento (art. 94, D. Lgs. n. 58/98) o dell’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati (art. 113, D. Lgs. n. 58/98), ovvero dei documenti da pubblicare in occasione di offerte pubbliche di acquisto (OPA), o di scambio (OPS), redatti con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, esponendo false informazioni idonee ad indurre in errore o ad occultare dati o notizie.


Soggetto attivo del reato può essere chiunque rediga materialmente i menzionati documenti esponendo false informazioni od occultando dati e notizie con intenzione fraudolenta.


Nel novellato articolo 173-bis del TUF, rispetto alla precedente formulazione dell’art. 2623 c.c., è rimasta la sola formulazione dell’ipotesi delittuosa, che prevede la reclusione da uno a cinque anni.


 


 


 


 


47 L’articolo 2623 del codice civile è abrogato e il relativo reato è stato spostato nel Testo Unico sulla Finanza,


senza che il legislatore abbia attuato un coordinamento tra l’art. 173-bis del TUF e il D. Lgs. 231/01


Art. 173-bis D. Lgs. 58/98. - (Falso in prospetto). – “1. Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per la sollecitazione all'investimento o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni".


48 Conf. Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.


 


 


 


 


 


 


[Art. 2624 Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione49


 


I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino a un anno.


 


Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.]


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2624 co.1 c.c. richiamato sostanzialmente dall’art. 27 co. 1 D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39)


Sanzioni pecuniarie: € 103.200 a € 1.022.340 (con riferimento all’ormai abrogato art. 2624 co. 2 c.c.


richiamato sostanzialmente dall’art. 27 co. 2 D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39)


Il reato in oggetto è ora descritto nell’art. 27 del D. Lgs. 39/10, mentre l’art. 2624 c.c. è stato espressamente


abrogato.


 


Il legislatore non ha attuato un coordinamento tra l’art. 27 del D. Lgs. 39/10 e il D. Lgs. 231/01: pertanto allo stato attuale il reato di falso nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione non è rilevante ai fini della redazione del Modello di organizzazione, gestione e controllo50.


Proprio a tal proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che “il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione, già previsto dall’abrogato art. 174 bis D. Lgs. n. 58 del 1998 ed ora configurato dall’art. 27 D. Lgs. n. 39 del 2010, non è richiamato nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti che non menzionano le sopra richiamate disposizioni e conseguentemente non può costituire il fondamento della suddetta responsabilità”51. In motivazione la Corte ha altresì precisato che anche l’analoga fattispecie prevista dall’art. 2624 c.c., norma già inserita nei suddetti cataloghi, non può essere più considerata fonte della menzionata responsabilità atteso che il citato articolo, essendo stato abrogato dal D. Lgs. n. 39 del 2010, non è più idoneo a costituire richiamo normativo.


Ad ogni modo si rileva che la fattispecie di cui al citato art. 27 del D. Lgs n. 39/2010 si concretizza allorquando i responsabili della revisione, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni, con l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni stesse, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle suddette comunicazioni. Non è ancora pienamente appurato se la fattispecie sia applicabile solo per le società cui la revisione è obbligatoria per legge oppure sia


 


49 Ai sensi dell’articolo 37, comma 34 del D. Lgs. 39/10, l’articolo 2624 del codice civile è abrogato. L’articolo è stato sostituito dall’art. 27 del D. Lgs. 39/10, senza che tuttavia il legislatore coordinasse la nuova norma con l’impianto del D. Lgs. 231/01


Art. 27 (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) “1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.



  1. Se la condotta di cui al comma 1 ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro

  2. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico, la pena è della reclusione da uno a cinque

  3. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione, la pena di cui al comma 3 è aumentata fino alla metà.

  4. La pena prevista dai commi 3 e 4 si applica a chi dà o promette l'utilità nonché ai direttori generali e ai componenti dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo dell'ente di interesse pubblico assoggettato a revisione legale, che abbiano concorso a commettere il ”


50 Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.


51 Cass. Pen., sez. un., 23 giugno 2011, n. 34476.


 


 


estensibile alle ipotesi di “revisione volontaria”, cioè la revisione adottata per particolari motivi di trasparenza nei confronti degli azionisti e del mercato.


Soggetti attivi del reato possono essere soltanto i responsabili della società di revisione (reato proprio), ma i componenti degli organi di amministrazione e di controllo della società ed i suoi dipendenti possono essere coinvolti a titolo di concorso nel reato.


È, infatti, ipotizzabile il concorso eventuale, ai sensi dell’art. 110 c.p., degli amministratori, dei sindaci, o di altri soggetti della società revisionata, che abbiano determinato o istigato la condotta illecita del responsabile della società di revisione.


Si prevedono ipotesi aggravate per i casi in cui la condotta abbia cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, il fatto sia stato commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico, o se il fatto sia commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione.


 


Art. 2625 Impedito controllo


 


Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci, o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.


 


Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa.


 


La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640


Il combinato disposto del comma 1 e del comma 2 della norma in esame introduce un delitto52 proprio degli amministratori, che consiste nell’impedire od ostacolare, mediante occultamento di documenti od altri idonei artifici, lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali.


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’occultamento di documenti o dall’impiego di altri idonei artifici, volti a impedire e ad ostacolare lo svolgimento di attività di Il modus operandi degli idonei artifici presuppone una nota di frode; quindi, la condotta deve essere idonea a trarre in inganno i soggetti che devono svolgere le attività di controllo;

  • ai fini dell’integrazione del reato non è necessario che la condotta dell’agente determini l’impedimento


del controllo, ma è rilevante anche il solo ostacolo alle attività di verifica;



  • il soggetto passivo del reato, il cui controllo viene impedito o ostacolato, può essere il socio, il sindaco o un qualsiasi esponente degli altri organismi di controllo previsti nei modelli di governo monostico e dualistico della società;

  • si tratta di un reato di danno, per la cui configurazione è necessario che la condotta posta in essere abbia causato un danno per i soci. In assenza di tale danno la condotta è punita quale illecito amministrativo ed è pertanto irrilevante ai sensi del D. 231/2001.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel non fornire in maniera completa la documentazione che sarebbe stata necessaria per una compiuta valutazione dei fatti da parte del Collegio Sindacale, con la finalità di non consentire a questi di includere un aspetto rilevante nella propria relazione, quando ciò determini un danno per i soci.


 


 


Art. 2626 Indebita restituzione dei conferimenti


 


Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640


 


52 Trattasi di illecito sanzionato penalmente nel solo caso del danno ai soci, essendo altrimenti considerato un illecito di carattere amministrativo e pertanto non rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.


 


 


La fattispecie in esame punisce la condotta degli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono anche simulatamente i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di effettuarli.


La fattispecie assolve una fondamentale tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale a garanzia dei diritti dei creditori e dei terzi. Al delitto in esame, chiamato ad operare in tutte quelle fattispecie nelle quali non è possibile configurare gli estremi delle altre fattispecie specifiche di aggressione all’integrità del capitale sociale e del patrimonio, può essere attribuita una funzione di chiusura del sistema.


 


 


Si fa presente che:


 



  • si tratta di un reato proprio degli amministratori, per cui, tuttavia, sono punibili a titolo di concorso di persone nel reato anche quei soci che hanno svolto un’attività di istigazione o di determinazione nei confronti degli amministratori. Il reato non è invece configurabile a carico del socio che sia solo beneficiario della restituzione o della liberazione, senza aver in alcun modo concorso a determinare la volontà dell’amministratore;

  • elemento oggettivo del reato è costituito dalla liberazione dall’obbligo di prestare conferimenti o dalla restituzione degli Tali condotte possono essere poste in essere secondo diverse modalità, anche indirette, come per esempio per compensazione con un credito fittizio nei confronti della società;

  • per integrare la fattispecie non occorre – nel caso della liberazione dell’obbligo di conferimento – che tutti i soci ne siano liberati, ma è sufficiente che lo sia un singolo socio o più soci;

  • oggetto materiale del reato in questione sono solo i conferimenti in denaro, crediti, e beni in natura che sono idonei a costituire il capitale sociale;

  • il momento consumativo del reato coincide con quello in cui viene intaccato il capitale e non anche le riserve;

  • l’elemento soggettivo previsto dalla fattispecie in esame è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà dell’agente di ridurre illegittimamente il capitale sociale attraverso l’indebita restituzione dei conferimenti o la liberazione dei


Si noti che nella fattispecie la restituzione deve avvenire al di fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale. Pertanto il reato è escluso nel caso di restituzione avvenuta in ossequio della disciplina civilistica (per le società per azioni, regolamentata dall’art. 2306 c.c.) e si ritiene applicabile soltanto nel caso in cui si sia operato in difetto di una delibera assembleare, mentre l’art. 2629 di cui infra si ritiene applicabile ai casi in cui – pur in presenza di una delibera assembleare autorizzativa – la riduzione sia avvenuta in violazione delle disposizioni a tutela dei creditori.


Si può infine osservare come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato, poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci53.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riconoscere un credito per servizi fittiziamente erogati ad una società partecipata soltanto parzialmente, con la finalità di recuperare in tutto o in parte l’impegno finanziario derivante dalla sottoscrizione di un aumento di capitale nella società partecipata.


 


Art. 2627 Illegale ripartizione degli utili o delle riserve


 


Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno.


 


La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione


del bilancio estingue il reato.


 


 


 


53 In tal senso vedi anche STALLA, I reati societari come presupposto della responsabilità amministrativa della società: aspetti comuni e differenze rispetto alla disciplina fondamentale del D. Lgs. 231/01 - Relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura in Roma l’11 marzo 2005 che afferma “In pratica, non sarà sempre agevole – per il pubblico ministero – dimostrare che il reato societario è stato realizzato nell'interesse della società. Va intanto osservato che una prima "scrematura" dei reati societari rilevanti al fine di fondare la responsabilità amministrativa della società è operata dallo stesso legislatore del



  1. Lgs 61/02 il quale ha appositamente escluso taluni reati che non solo non possono essere commessi nell'interesse della società, ma che per loro natura vengono necessariamente commessi in danno di questa (la quale assume la veste di parte offesa); è il caso delle infedeltà patrimoniali poste in essere dagli amministratori (e dagli altri soggetti equiparati) in conflitto di interessi e con intenzionalità di danno sociale (artt. 2634 e 2635 cod. civ.). Per altri reati, viceversa contemplati dall'art. 25 ter, la configurabilità di un interesse sociale appare puramente teorica, perché si tratta di condotte normalmente ispirate dall'obiettivo di illecitamente favorire non certo la società in quanto tale (che ne risulta, anzi, per lo più danneggiata nell'integrità del capitale o del patrimonio) ma soci determinati. È il caso, ad esempio, del reato di indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 cod. civ.), di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 cod. civ.), ed anche di formazione fittizia del capitale sociale (art. 2632 cod. civ.).


Per altri reati ancora, come il falso in prospetto (art. 2623 cod. civ.), l'impedito controllo in danno dei soci (art. 2625 2^ co. cod. civ.) o l'aggiotaggio (art. 2637 cod. civ.), l'interesse della società può invece configurarsi, ancorché questo sia destinato ad assumere, il più delle volte, un ruolo secondario rispetto all'obiettivo – disinformativo o speculativo – personale dell'agente.”


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 402.740


La fattispecie in esame punisce la condotta degli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite.


Si fa presente che:


 



  • si tratta di reato proprio che può essere commesso soltanto da soggetti che ricoprano la carica di amministratori della società;

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla ripartizione di utili o riserve al di fuori dei casi consentiti dalla legge;

  • elemento materiale del reato sono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati a riserva o riserve che per espresse disposizioni di legge non possono essere distribuiti. Ai fini della punibilità del reato in esame, rileva tanto l’utile di esercizio quanto l’utile complessivo derivante dallo stato patrimoniale, pari all’utile d’esercizio meno le perdite non ancora coperte più l’utile riportato a nuovo e le riserve accantonate in precedenti esercizi (c.d. utile di bilancio). Tra gli utili “destinati per legge a riserva” devono poi ricomprendersi solo gli utili destinati a costituire le riserve legali, mentre non rilevano le distribuzioni tratte da riserve facoltative; non integra pertanto gli estremi dell’illegale ripartizione di riserve la distribuzione di utili effettivamente conseguiti ma destinati per statuto a


Si sottolinea che la restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per


l’approvazione del bilancio estingue il reato;


Per le stesse ragioni esposte in corrispondenza della fattispecie di reato precedentemente analizzata, può evidenziarsi come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel distribuire riserve obbligatorie non altrimenti distribuibili, con la finalità di permettere ad alcuni soci di sottoscrivere un aumento di capitale.


 


Art. 2628 Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali proprie o della società controllante


 


Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.


 


La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.


Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640


Il reato si perfeziona con l’acquisto o la sottoscrizione di azioni o quote sociali proprie, o emesse dalla società controllante, tali da cagionare una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.


Si precisa che:



  • si tratta di reato proprio che può essere commesso soltanto da soggetti che ricoprano la carica di amministratori della società;

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’acquisto o dalla sottoscrizione di azioni o quote non consentiti dalla legge. Ad esempio con riferimento all’art. 2357 c.c. per le società per azioni, sono penalmente rilevanti l’acquisto o la sottoscrizione effettuati con utili non distribuibili e con riserve non disponibili e con riferimento ad azioni non interamente liberate. Si noti che l’art. 2474 c.c. prevede un divieto assoluto di acquisto o sottoscrizione di azioni di quote proprie per le società a responsabilità limitata;

  • l’oggetto del reato possono essere azioni o quote sociali proprie o emesse dalla società controllante;

  • si tratta di un reato di evento che richiede il verificarsi di una lesione all’integrità del capitale sociale


o delle riserve non disponibili. In assenza di tale lesione il reato non può essere configurato;


 


 



  • l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di cagionare una diminuzione del capitale sociale o delle riserve obbligatorie, tramite l’illegale acquisto o sottoscrizione di azioni o quote sociali.


Si fa presente che se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio, relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare azioni proprie con riserve non distribuibili, con la finalità di sostenere il corso del titolo.


 


 


Art. 2629 Operazioni in pregiudizio dei creditori


 


Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.


 


Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340


La fattispecie si realizza con l’effettuazione, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, di


riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, tali da cagionare un danno ai creditori. Si precisa che:



  • si tratta di reato proprio che può essere commesso soltanto da soggetti che ricoprano la carica di amministratori della società;

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalle operazioni di riduzione del capitale sociale, di fusione o di scissione, quando le stesse siano poste in essere in contrasto con disposizioni normative volte a tutelare il credito vantato da soggetti terzi nei confronti della società;

  • si tratta di un reato d’evento che può dirsi integrato solo nel caso in cui dalle suddette operazioni effettuate in violazione di legge discenda un danno effettivo per i creditori sociali;

  • l’elemento psicologico previsto dalla fattispecie è il dolo generico che deve consistere nella previsione e volontà (o quantomeno nell’accettazione del rischio) da parte del soggetto agente di cagionare un danno ai creditori sociali tramite l’effettuazione di operazioni societarie in violazione di L’agente deve pertanto essere consapevole che le operazioni poste in essere violino specifiche disposizioni di legge dettate a tutela dei creditori sociali.


 


Si sottolinea che il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riconoscere sistematicamente crediti per servizi fittiziamente erogati ad una società partecipata soltanto parzialmente, con la finalità di giungere ad una situazione di perdita significativa, tale da richiedere una riduzione del capitale sociale della stessa.


 


 


Art. 2629-bis Omessa comunicazione del conflitto di interessi


 


L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


 


La legge 28 dicembre 2005 n. 262 ha introdotto una nuova fattispecie di reato per l’amministratore o il


componente del consiglio di gestione di una delle società o altro soggetto giuridico espressamente individuati


 


 


dalla norma, in caso di violazione degli obblighi previsti dall’art. 2391 comma 1 c.c.54. Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso solo dagli amministratori e dai componenti del consiglio di gestione di alcune tipologie prestabilite di società, quali:

    • società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’unione europea;

    • società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante55;

    • società e altri soggetti giuridici operanti nel settore bancario e degli istituti di credito56;

    • società e altri soggetti giuridici operanti nel settore dell’intermediazione finanziaria57;

    • società e altri soggetti giuridici operanti nel settore delle assicurazioni private58;

    • [soggetti sottoposti a vigilanza ai sensi del D. 21 aprile 1993, n.124]59;



  • l’elemento oggettivo del reato consiste nella violazione da parte dell’amministratore degli obblighi previsti dall’art. 2391 c., ovverosia:

    • l’obbligo di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale la sussistenza di un suo conflitto di interessi relativamente ad una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata;




 


 


54 Art. 2391 c.c.: “1. L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.



  1. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione.

  2. Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della

  3. L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.

  4. L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico


55 L’art. 116 del D. Lgs. 58/1998, citato dalla norma in esame, si limita a rinviare alla Consob il compito di stabilire i criteri per individuare gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante. Questi ultimi sono dunque definiti dall'art. 2-bis del regolamento Consob n. 11971/1999.


Art. 2-bis del regolamento Consob n. 11971/1999. Definizione di emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante.


“1. Sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali, contestualmente:



  1. abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%;

  2. non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’articolo 2435 bis, primo


comma, del codice civile.



  1. I limiti di cui al comma precedente si considerano superati soltanto se le azioni alternativamente:

    • abbiano costituito oggetto di un’offerta al pubblico di sottoscrizione e vendita o corrispettivo di un'offerta




pubblica di scambio;



  • abbiano costituito oggetto di un collocamento, in qualsiasi forma realizzato, anche rivolto a soli investitori qualificati come definiti ai sensi dell'articolo 34-ter, comma 1, lettera b);

  • siano negoziate su sistemi multilaterali di negoziazione con il consenso dell'emittente o del socio di controllo;

  • siano emesse da banche e siano acquistate o sottoscritte presso le loro sedi o



  1. Non si considerano emittenti diffusi quegli emittenti le cui azioni sono soggette a limiti legali alla circolazione riguardanti anche l'esercizio dei diritti aventi contenuto patrimoniale, ovvero il cui oggetto sociale prevede esclusivamente lo svolgimento di attività non lucrative di utilità sociale o volte al godimento da parte dei soci di un bene o di un

  2. Sono emittenti obbligazioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani dotati di un patrimonio netto non inferiore a 5 milioni di euro e con un numero di obbligazionisti superiore a duecento”. 56 Ovvero i soggetti posti a vigilanza secondo il disposto del decreto legislativo 1 settembre 1993, 385.


57 Ovvero i soggetti posti a vigilanza secondo il disposto del decreto legislativo n. 58 del 1998.


58 Ovvero i soggetti posti a vigilanza secondo il disposto del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private.


59 Il D. Lgs 124/1993, che disciplinava il settore della previdenza complementare, è stato abrogato, a decorrere dal 01 gennaio 2008, dal D. Lgs. 252/2005. Il riferimento, pertanto, risulta ad oggi del tutto privo di significato, in assenza di allineamento dell’art. 2629-bis con la nuova normativa disciplinante la materia.


 


 



  • se si tratta di amministratore delegato, l’obbligo di astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale;

  • se si tratta di amministratore unico, l’obbligo di dare notizia del conflitto di interessi alla


prima assemblea utile;



  • gli obblighi suddetti ricorrono in tutti i casi in cui l’amministratore o una terza persona allo stesso legata abbia un interesse personale in un’operazione che interessi anche alla società. Tale interesse deve essere potenzialmente idoneo ad influenzare la libertà decisionale dell’amministratore stesso e a mettere a rischio la sua lealtà nei confronti della società;

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo generico. Il soggetto attivo deve dunque agire consapevolmente e con l’intenzione di violare gli obblighi impostigli dall’art. 2391 c.


 


Si noti che il nostro ordinamento prevede il reato di “Infedeltà patrimoniale” (art. 2634 c.c.) che già sanziona le ipotesi di conflitto di interessi degli amministratori, direttori generali e liquidatori che, “avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale”. È pertanto da ritenersi che, l’art. 2629-bis si ponga, rispetto all’art. 2634 c.c., in rapporto di specialità, determinato dalla particolare qualifica che deve avere il soggetto attivo ai fini dell’integrazione del reato in esame.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’omettere di comunicare compiutamente la natura e la portata di una determinata operazione per la quale l’amministratore ha un interesse in proprio o per conto di terzi, con la finalità di garantire il soddisfacimento dei propri obiettivi.


 


 


Art. 2632 Formazione fittizia del capitale


 


Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale della società mediante attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 557.640


Il reato punisce la condotta degli amministratori e dei soci conferenti che, anche in parte, formano o aumentano fittiziamente il capitale della società, mediante attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale. Sono altresì considerate la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; sopravvalutazione in modo rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero il patrimonio della società, nel caso di trasformazione.


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso soltanto dai soggetti che rivestano la qualifica di amministratori o di soci conferenti;

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla formazione o dall’aumento fittizio, anche solo in parte, del capitale sociale. Tali alterazioni fittizie possono essere ottenute:

    • con l’attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale;




o tramite sottoscrizione reciproca di azioni o quote. In questo caso il requisito della reciprocità non presuppone la contestualità e la connessione delle due operazioni;


o con sopravvalutazione dei conferimenti dei beni in natura o di crediti o del patrimonio della società in caso di trasformazione. Si sottolinea che in tal caso, ai fini dell’integrazione del reato, è necessario che la sopravvalutazione sia rilevante e che la norma tende a penalizzare le valutazioni irragionevoli sia in correlazione alla natura dei beni valutati sia in correlazione ai criteri di valutazione adottati. Nel caso in cui la sopravvalutazione riguardi il patrimonio della società trasformata si prende in considerazione il patrimonio della società nel suo complesso e cioè l’insieme di tutti valori attivi, dopo aver detratto le passività;



  • l’elemento psicologico previsto dalla fattispecie in esame è il dolo


 


Per le stesse ragioni esposte in corrispondenza della fattispecie di reato prevista all’art. 2626 c.c., può evidenziarsi come sia arduo configurare la responsabilità amministrativa dell’ente per questa fattispecie di reato poiché è difficile configurare anche solo astrattamente un interesse della società, atteso che ne è vittima la maggioranza dei soci.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel sopravvalutare in maniera rilevante il patrimonio immobiliare in occasione di un aumento di capitale riservato in natura, con la finalità di consolidare il controllo sulla società.


 


 


 


 


Art. 2633 Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori


 


I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.


Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340


Il reato si perfeziona con la ripartizione di beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o


dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, che cagioni un danno ai creditori.


Si specifica che:



  • presupposto del reato è la pendenza di una procedura di liquidazione, per il verificarsi di una delle cause di scioglimento della società di cui all’art. 2272 c.;

  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso solo dai soggetti che rivestano la qualifica di liquidatori, o in quanto nominati dall’Assemblea dei soci e dal Presidente del Tribunale, o di fatto60. Può essere chiamato, a titolo di concorso, a rispondere del medesimo reato chiunque con la propria condotta istighi o agevoli il fatto del liquidatore;

  • la condotta incriminata consiste nell’anticipazione della ripartizione dei beni sociali tra i soci, ad un momento antecedente al soddisfacimento dei creditori sociali o all’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli;

  • si tratta di un reato di evento per la cui integrazione si richiede il verificarsi di un danno ai creditori;

  • elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generico, che prevede che il soggetto agente debba prevedere la possibilità e volere - o quantomeno accettare il rischio di - provocare lesione degli interessi e del patrimonio dei creditori.


 


 


Art. 2635 Corruzione tra privati61


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.


 


Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.


 


Chi, anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, è punito con le pene ivi previste.


 


Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.


 


Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.


 


Fermo quanto previsto dall’articolo 2641, la misura della confisca per valore equivalente non può essere


inferiore al valore delle utilità date, promesse o offerte.


 


Sanzioni pecuniarie: da €103.200 a € 929.400


 


 


60 Come nel caso dei soci che procedessero alla ripartizione dell’attivo senza aver nominato i liquidatori,


divenendo così loro stessi liquidatori di fatto.


61 Articolo recentemente modificato dal Decreto Legislativo 15 marzo 2017, n. 38, recante “Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato”.


 


 


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


L’ipotesi di reato in esame è integrata ogni qualvolta un amministratore, un direttore generale, un dirigente preposto alla redazione di documenti contabili, un sindaco o un liquidatore, un altro soggetto che eserciti funzioni direttive od un soggetto sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti menzionati compiono od omettono atti in violazione degli obblighi loro imposti, in seguito ad una dazione o alla promessa di denaro o di altra utilità.


Si specifica che:



  • presupposto del reato in esame è che i soggetti corrotti, seppure siano privati cittadini, appartengano


ad una compagine sociale o siano esponenti di un’altra forma di ente privato;



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso, oltre che dagli amministratori, dai direttori generali, dai dirigenti preposti alla redazione di documenti contabili, dai sindaci, dai liquidatori e da soggetti esercenti funzioni direttive, anche da qualsiasi altro soggetto purché sottoposto alla direzione dei soggetti indicati al comma 1;

  • la condotta incriminata consiste nella violazione degli obblighi imposti dall’ufficio ricoperto o dei più generici obblighi di fedeltà, determinata dalla percezione o dalla ricezione di una promessa di denaro o di altra utilità;

  • elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generico, che richiede che il soggetto agente intenda violare gli obblighi inerenti il proprio ufficio o i più generali obblighi di fedeltà in cambio di denaro o altra utilità.


Il terzo comma della norma in esame prevede che sia punito per la commissione del delitto in esame anche il corruttore, ovverosia il soggetto che ha provveduto ad effettuare la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità, anche per interposta persona.


 


 


Art. 2635-bis Istigazione alla corruzione tra privati.


 


Chiunque offre o promette denaro o altra utilità non dovuti agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi un’attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 2635, ridotta di un terzo.


 


La pena di cui al primo comma si applica agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, ai sindaci e ai liquidatori, di società o enti privati, nonché a chi svolge in essi attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive, che sollecitano per sé o per altri, anche per interposta persona, una promessa o dazione di denaro o di altra utilità, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata.


 


Si procede a querela della persona offesa.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 619.600


Sanzioni interdittive: da 3 sino a 24 mesi


 


Il reato di istigazione alla corruzione tra privati costituisce come ipotesi di reato autonoma condotte che altrimenti integrerebbero il mero tentativo di commissione del reato di corruzione tra privati. Il primo periodo della fattispecie incriminatrice, infatti, prevede che sia punito colui che offre o promette denaro o altra utilità ai soggetti individuati come possibili autori del reato di corruzione tra privati, nel caso in cui l’offerta o la promessa non siano accettate, mentre il secondo periodo punisce l’amministratore, il direttore generale, il dirigente preposto alla redazione di documenti contabili, il sindaco o il liquidatore, l’altro soggetto che eserciti funzioni direttive o il soggetto sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti menzionati che sollecitano la dazione o la promessa di denaro od altra utilità, nel caso in cui il destinatario non raccolga le sollecitazioni.


 


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque, nella condotta prevista dal primo periodo, e dai soggetti previsti come possibili autori del delitto di corruzione tra privati, nella condotta punita dal secondo periodo;

  • l’elemento oggettivo è duplice e può sostanziarsi:


 


 


o nell’offrire o promettere denaro o altra utilità ad un possibile autore del reato di corruzione


tra privati, affinché violi i propri doveri verso la società o l’ente privato di appartenenza;



  • nel, trovandosi nella condizione prevista per essere potenziale autore di corruzione tra privati, sollecitare ad un terzo la dazione di denaro o di altra utilità, per violare i propri doveri verso la società o l’ente privato di appartenenza;



  • il reato si consuma nel momento in cui viene offerta, promessa o sollecitata la dazione di denaro o di altra utilità, senza che si trovi l’accordo tra le due parti in Al contrario, nel caso in cui l’accordo fosse raggiunto, sarebbe configurabile il reato di corruzione tra privati, previsto dall’art. 2635 c.c.;

  • l’elemento soggettivo consiste nella consapevolezza e volontà del soggetto agente di offrire o promettere la dazione o di


 


 


Art. 2636 Illecita influenza sull’assemblea


 


Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.022.340


La fattispecie in esame, che punisce la condotta di chi, «con atti simulati o fraudolenti», determina la maggioranza in assemblea allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, identifica il bene giuridico protetto nel corretto funzionamento dell’organo assembleare, assicurato dal rispetto del principio maggioritario, attraverso cui si esprime la volontà assembleare e si attua l’interesse sociale. La norma incriminatrice, in sostanza, mira a tutelare la trasparenza e la regolarità del processo formativo della volontà dell’assemblea.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune, ma nella sostanza si può ipotizzare che soltanto i soci (evidentemente di relativo peso) e gli amministratori possano effettivamente essere soggetti attivi del reato.

  • la “condotta tipica” prevede che si determini, con atti simulati o con frode, la maggioranza in assemblea allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto. La creazione di una maggioranza artificiosa in assemblea può essere tipizzata con le seguenti modalità: l’impiego di azioni o quote non collocate, l’esercizio del diritto di voto sotto altro nome, ed una terza categoria residuale che include gli altri atti simulati o fraudolenti, “tali, cioè, da palesare una realtà difforme da quella effettiva ovvero idonei a trarre in inganno e a provocare la deviazione della volontà assembleare verso deliberazioni convergenti da quelle che sarebbero state adottate in assenza della simulazione o della frode”62.

  • la locuzione "atti simulati" contenuta nella norma incriminatrice non va intesa in senso civilistico, ma deve essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più In altri termini, “la locuzione "atti simulati" non evoca soltanto l’istituto della simulazione regolato dagli art. 1414 e ss. c.c., ma include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze richieste per l’approvazione delle delibere assembleari e di conseguire, così, risultati vietati dalla legge o dallo statuto della società”63. La locuzione “atti fraudolenti” presuppone invece una condotta di frode caratterizzata da comportamenti artificiosi, connotati da una componente simulatoria idonea a realizzare un inganno64.

  • si tratta di un reato di evento, che si perfeziona con l’effettiva determinazione di una maggioranza


assembleare non genuina in conseguenza di atti simulati o fraudolenti;



  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie è il dolo specifico. L’autore del reato deve infatti agire, con coscienza e volontà di compiere atti idonei a condizionare le decisioni dell’assemblea determinandone la maggioranza, allo scopo ulteriore di procurare un ingiusto profitto a sé o ad


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nella convocazione dell’assemblea dei soci in luoghi e orari anomali e pretestuosi, con la finalità di disincentivare la partecipazione dei soci di minoranza e per tale via consolidare il quorum deliberativo.


 


 


 


 


 


62 Cass. Pen., sez. I, 03 marzo 2009, n.17854.


63 Cass. Pen., sez. I, 03 marzo 2009, n.17854.


64 Cass. Pen., sez. V, 19 gennaio 2004, n. 7317.


 


 


Art. 2637 Aggiotaggio


 


Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non sia stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


La realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie false ovvero si pongano in essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di società o di gruppi societari.


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito o dalla divulgazione di notizie false o dalla realizzazione di


operazioni simulate o di altri artifici;



  • con riferimento alla prima tipologia di condotta, per notizia si intende una indicazione sufficientemente precisa di circostanze di fatto, non essendo pertanto sufficienti le semplici voci, i d. rumors e le previsioni soggettive. Si ha una notizia falsa quando, creando una falsa rappresentazione della realtà, sia tale da trarre in inganno gli operatori determinando un rialzo o ribasso dei prezzi non regolare. Si sottolinea inoltre che non può essere ravvisato l’estremo della divulgazione quando le notizie non siano state diffuse o rese pubbliche, ma siano dirette solo a poche persone;

  • con riferimento alla seconda tipologia di condotta, occorre precisare che alle “operazioni simulate” vanno ricondotte sia le operazioni che le parti non hanno in alcun modo inteso realizzare, sia le operazioni che presentano un’apparenza difforme da quelle effettivamente volute;

  • per “altri artifici” si intende qualsiasi comportamento che sia di per sé idoneo ad indurre in


errore il pubblico;



  • affinché il reato sia configurabile è necessario che la notizia, la simulazione o l’artificio siano idonei a produrre ripercussioni sul prezzo di strumenti finanziari non quotati, provocandone la sensibile alterazione, o ad incidere significativamente sull’affidamento che il pubblico ripone sulla stabilità patrimoniale di banche e gruppi bancari;

  • si tratta di un reato di pura condotta, che può dirsi integrato anche nel caso in cui non si verifichi alcuna alterazione nel prezzo degli strumenti finanziari o non risulti compromesso l’affidamento del pubblico nei confronti di alcun istituto di credito;

  • l’elemento psicologico previsto dalla norma in esame è il dolo


 


 


Art. 2638 Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza


 



  1. Gli amministratori, i direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.


 



  1. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le


 



  1. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, 58.


 


3bis Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza.


 


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.239.200


 


La condotta criminosa si realizza attraverso l’esposizione nelle comunicazioni previste dalla legge alle autorità di vigilanza, al fine di ostacolarne le funzioni, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti alla vigilanza, ovvero con l’occultamento con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati, concernenti la situazione medesima o attraverso l’omissione delle comunicazioni dovute.


 


La figura di reato risponde all’esigenza di coordinare ed armonizzare le fattispecie riguardanti le numerose ipotesi, esistenti nella disciplina previgente, di falsità nelle comunicazioni agli organi di vigilanza, di ostacolo allo svolgimento delle funzioni, di omesse comunicazioni alle autorità medesime.


 


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo dai soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, tra i quali possono essere annoverati a titolo esemplificativo gli amministratori, i dirigenti generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, i liquidatori e i sindaci;

  • l’elemento oggettivo comprende sia condotte a carattere commissivo, quali l’esposizione all’interno delle comunicazioni all’autorità previste dalla legge di fatti materiali non veri o l’occultamento attraverso mezzi fraudolenti di fatti di cui l’autorità avrebbe dovuto essere informata, sia una condotta di tipo omissivo, consistente nel non provvedere ad effettuare le comunicazioni dovute;

  • elemento psicologico richiesto dalla norma è, anche in questo caso, il dolo


 


Viene così completata secondo il legislatore la tutela penale dell’informazione societaria, in questo caso nella sua destinazione alle autorità di vigilanza.


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel non fornire in maniera completa la documentazione che sarebbe stata necessaria per una compiuta valutazione dei fatti da parte di Consob, con la finalità di ridurre la possibilità di subire una sanzione a carico della società.


 


 


 



  • Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25-quater)65


 


L’articolo 25–quater del D. Lgs. 231/01, rubricato “Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine


democratico”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

    1. se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore a dieci anni, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote;

    2. se il delitto è punito con la pena della reclusione non inferiore a dieci anni o con l’ergastolo, la




sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.



  1. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, si applicano le sanzioni interdittive


previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.



  1. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma

  2. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano altresì in relazione alla commissione di delitti, diversi da quelli indicati nel comma 1, che siano comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall’articolo 2 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre


 


 


65 Tali reati prevedono la sanzione pecuniaria da € 51.600 a € 1.084.300 se il delitto presupposto è punito con la reclusione inferiore a 10 anni; se, invece, il delitto presupposto è punito con la reclusione non inferiore a 10 anni o con l’ergastolo, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e € 1.549.000. È, inoltre prevista, in caso di condanna, l’applicazione di sanzioni interdittive per una durata non inferiore a 12 mesi (fino a un massimo di 24 mesi). Tuttavia, se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di uno dei suddetti reati, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


 


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quater del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 270 c.p. Associazioni sovversive

  • 270-bis c.p. Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione


dell’ordine democratico



  • 270-ter c.p. Assistenza agli associati

  • 270-quater c.p. Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale

  • 270-quater.1 c.p. Organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo

  • 270-quinquies c.p. Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale

  • 270-quinquies.1 c.p. Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo

  • 270-quinquies.2 c.p. Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro

  • 270-sexies c.p. Condotte con finalità di terrorismo

  • 280 c.p. Attentato per finalità terroristiche o di eversione

  • 280-bis c.p. Atto di terrorismo con ordini micidiali o esplosivi

  • 280-ter c.p. Atti di terrorismo nucleare

  • 289-bis Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione

  • 302 c.p. Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo

  • 304 c.p. Cospirazione politica mediante accordo;

  • 305 c.p. Cospirazione politica mediante associazione;

  • 306 c.p. Banda armata: formazione e partecipazione;

  • 307 c.p. Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata;

  • 1 L. n. 342/1976 Impossessamento, dirottamento e distruzione di un aereo;

  • 2, L. n. 342/1976 Danneggiamento delle installazioni a terra;

  • 3, L. n. 422/1989 Sanzioni;

  • 5, D. Lgs. n. 625/1979 Pentimento operoso;

  • 1 D. L. 15 dicembre 1979, n. 625 convertito, con modificazioni, nella L. 6 febbraio 1980, n. 15;

  • 2 Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, New York, 9 dicembre 1999.


 


Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 270 c.p. Associazioni sovversive


 


Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.


 


Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.


 


Tale ipotesi di reato tende a colpire le organizzazioni che si propongono di sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato


Si precisa che:


 


 



  • si tratta di un reato “comune” in quanto può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • l’elemento oggettivo è costituito dalle condotte tipiche dei reati di tipo associativo, quali la promozione, la costituzione, l’organizzazione, la direzione, il finanziamento o la semplice partecipazione ad una congregazione criminale che ha per scopo l’attuazione di un disegno criminoso;

  • ciò che diverge, rispetto alle più tradizionali fattispecie incriminatrici di reati associativi, è che in questo caso il programma criminoso alla base dell’associazione perseguita ha uno scopo ben determinato, quale la sovversione dell’ordinamento economico o sociale dello Stato ovvero la soppressione dell’ordinamento politico e giuridico dello Stato;

  • l’elemento soggettivo è caratterizzato dalla coscienza e volontà di aderire alle idee dell’associazione e


di condividere lo scopo sovversivo oggetto del programma associativo.


 


 


Art. 270-bis Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione


dell’ordine democratico


 


Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.


 


Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.


 


Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti


contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.


 


Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.


Tale ipotesi di reato tende a colpire le organizzazioni che si propongono di compiere atti di violenza finalizzati


al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico.


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato “comune” in quanto può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • l’elemento oggettivo è costituito dalle condotte tipiche dei reati di tipo associativo, quali la promozione, la costituzione, l’organizzazione, la direzione, il finanziamento o la semplice partecipazione ad una congregazione criminale che ha per scopo l’attuazione di un disegno criminoso;

  • ciò che diverge, rispetto alle più tradizionali fattispecie incriminatrici di reati associativi, è che in questo caso il programma criminoso alla base dell’associazione perseguita ha uno scopo ben determinato, quale il terrorismo o l’eversione dell’ordine democratico, ed caratterizzata dall’impiego della violenza quale metodo sistematico per raggiungere i fini politici oggetto del programma associativo;



  • per “eversione dell’ordine democratico” si intende lo sconvolgimento dell’assetto costituzionale che viene conseguito “disarticolandone le strutture ed impedendone il funzionamento66”;

  • per la definizione di “terrorismo” si veda infra il paragrafo relativo all’art. 270–sexies p.

    • l’elemento soggettivo è caratterizzato dalla coscienza e volontà di aderire alle idee dell’associazione e




di condividere lo scopo eversivo o terroristico oggetto del programma associativo.


 


 


Art. 270-ter Assistenza agli associati


 


Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270-bis è punito con la reclusione fino a quattro anni.


 


La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuativamente. Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.


 


Tale ipotesi di reato è di tipo “monosoggettivo” e sussidiario a quello descritto all’art. 270-bis in quanto può


 


66 Cfr. Cass. pen., sez I, 5 novembre 1987


 


 


configurarsi solo qualora la condotta dell’agente non integri gli estremi della “partecipazione” al delitto


associativo.


Si precisa che:



  • la condotta si sostanzia nel procurare asilo, ricovero o scampo, nonché un sostentamento alimentare, mezzi di trasporto e di comunicazione a soggetti partecipanti alle associazioni con finalità incriminata;

  • l’elemento soggettivo è caratterizzato nella coscienza e volontà di fornire supporto o aiuto a soggetti appartenenti ad associazioni con finalità incriminata;

  • il reato non è punibile se commesso in favore di un prossimo congiunto.


 


Art. 270-quater Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale


 


Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni.


 


Fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, e salvo il caso di addestramento, la persona arruolata è punita


con la pena della reclusione da cinque a otto anni67.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero, ponga in essere i comportamenti incriminati. È estremamente probabile tuttavia, che il soggetto agente faccia parte, o comunque collabori con un’associazione finalizzata al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico;

  • elemento oggettivo del reato è costituito dal reclutamento e dalla persuasione di una o più persone affinché compiano atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo;

  • è un reato di mera condotta in quanto non sono richieste né l’effettiva e concreta realizzazione del progetto terroristico, né la realizzazione degli atti di violenza per cui i soggetti sono stati reclutati; la condotta di reclutamento con finalità di terrorismo si considera già di per sé idonea a costituire un pericolo per l’integrità del bene protetto, ossia l’ordine pubblico;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico poiché, in questo caso, è rilevante anche l’ulteriore fine della sovversione dell’ordinamento democratico oltre alla coscienza e volontà dell’azione.


La fattispecie è stata recentemente modificata dall’art. 1, comma 1, del D.L. 18.2.2015, n. 7, estendendo la punibilità anche alla persona addestrata.


 


 


Art. 270-quater.1 Organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo


 


Fuori dai casi di cui agli articoli 270 bis e 270 quater, chiunque organizza, finanzia o propaganda viaggi in territorio estero finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270 sexies, è punito con la reclusione da cinque a otto anni.


 


L’articolo in esame è stato aggiunto dall’art. 1, comma 2, D.L. 18.2.2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati. È estremamente probabile tuttavia, che il soggetto


 


 


 


67 Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, D.L. 18.2.2015, n. 7, convertito con modificazioni dalla L. 17.4.2015,



  1. 43.


 


 


agente faccia parte, o comunque collabori con un’associazione finalizzata al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dell’organizzazione, dal finanziamento o dalla


propaganda di viaggi all’estero finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo;



  • è un reato di mera condotta in quanto non sono richieste né l’effettiva e concreta realizzazione del progetto terroristico, né l’effettivo trasferimento dei terroristi; la condotta di organizzazione di trasferimenti con finalità di terrorismo si considera già di per sé idonea a costituire un pericolo per l’integrità del bene protetto, ossia l’ordine pubblico;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico poiché, in questo caso, è rilevante anche l’ulteriore fine della sovversione dell’ordinamento democratico oltre alla coscienza e volontà dell’azione.


 


 


Si tratta di fattispecie a carattere residuale e svolge una funzione di chiusura: in virtù della clausola di sussidiarietà espressa si applica, infatti, se il fatto non integra il delitto associativo di cui all’art. 270 bis ovvero il reato di arruolamento di cui all’art. 270 quater.


 


 


Art. 270-quinquies Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale


 


Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata, nonché della persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies.


 


Le pene previste dal presente articolo sono aumentate se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.


 


Tale ipotesi di reato si configura nei confronti di chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270-bis, addestri o comunque fornisca istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.


Lo scopo dell’introduzione di questo articolo risiede nel tentativo di punire comportamenti ritenuti sufficienti per ritenere sussistenti organizzazioni terroristiche senza la necessità di fornire la dimostrazione della loro effettiva esistenza.


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo della fattispecie delittuosa in esame può consistere in due diverse tipologie di condotta: l’"addestramento", ossia un’attività che non è limitata al trasferimento di informazioni ma prevede una vera e propria somministrazione di specifiche nozioni volte a formare i destinatari e a renderli idonei ad una funzione determinata o ad un comportamento specifico; e l’"informazione", ossia la raccolta e comunicazione di dati utili nell’ambito di un’attività;

  • la punibilità è estesa anche all’"addestrato", ossia colui che, al di là dell’attitudine soggettiva di esso discente o dell’efficacia soggettiva del docente, si rende pienamente disponibile alla ricezione non episodica di quelle specifiche nozioni alle quali si è fatto sopra


 


 


La fattispecie è stata recentemente modificata dall’art. 1, comma 3, del D.L. 18.2.2015, n. 7, estendendo la punibilità anche alla persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies. Contestualmente è stata altresì prevista la circostanza aggravante speciale per il caso di commissione del reato attraverso l’ausilio di strumenti informatici o telematici, sempre più diffusamente utilizzati per la formazione di nuovi terroristi.


 


 


Art. 270-quinquies.1 Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo


 


Chiunque, al di fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quater.1, raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270-sexies è punito con la reclusione da sette a quindici anni, indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte.


Chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro indicati al primo comma è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.


 


L’articolo si propone di punire chi raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro che siano destinati ad essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento di condotte con finalità di terrorismo.


 


A completamento della tutela così apprestata, il secondo comma della norma incrimina le condotte di chi deposita o custodisce i beni o il denaro destinati alla commissione delle azioni con finalità di terrorismo.


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dall’erogazione, messa a disposizione e conservazione di


utilità finalizzate al compimento delle condotte terroristiche;



  • è un reato di mera condotta in quanto la disposizione precisa che tali comportamenti sono puniti indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per il compimento delle citate condotte, lasciando così trasparire la volontà di anticipare la tutela penale ad atti preparatori di condotte con finalità di terrorismo;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico in quanto l’intento del soggetto agente è quello


di sostenere economicamente atti di terrorismo.


Quanto invece al rapporto tra la nuova fattispecie e i singoli reati finanziati, il testo della norma lascia impregiudicata la possibilità che il finanziatore possa rispondere a titolo di concorso nelle singole condotte di terrorismo rese possibili dal finanziamento stesso.


 


 


Art. 270-quinquies.2 Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro


Chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro, sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all’articolo 270-sexies, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000.


La norma colpisce chi sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dalla sottrazione, distruzione, dispersione, soppressione o deterioramento di beni o denaro sottoposti a sequestro preventivo perché destinati a finanziare condotte terroristiche.


 


Art. 270-sexies Condotte con finalità di terrorismo


 


Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.


 


Si configurano come attuate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o per il contesto, possano arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e siano compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o


 


 


astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture pubbliche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.


 


 


Art. 280 Attentato per finalità terroristiche o di eversione


Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita od all’incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.


Se dall’attentato all’incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.


Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.


Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato


alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato all’incolumità, la reclusione di anni trenta.


Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.


Tale ipotesi di reato si sostanzia nell’attentare alla vita o all’incolumità fisica di una persona, e si consuma col compimento di atti diretti a porre in pericolo l’altrui vita o incolumità personale. L’attentato deve essere posto in essere per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine dello Stato.


Art. 280-bis Atto di terrorismo con ordini micidiali o esplosivi


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, è punito con la reclusione da due a cinque anni.


Ai fini del presente articolo, per dispositivi esplosivi o comunque micidiali si intendono le armi e le


materie ad esse assimilate indicate nell’articolo 585 e idonee a causare importanti danni materiali.


Se il fatto è diretto contro la sede della Presidenza della Repubblica, delle Assemblee legislative, della Corte costituzionale, di organi del Governo o comunque di organi previsti dalla Costituzione o da leggi costituzionali, la pena è aumentata fino alla metà.


Se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica ovvero un grave danno per l’economia nazionale, si applica la reclusione da cinque a dieci anni.


Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.


 


 


Tale ipotesi di reato si sostanzia nel compiere atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali al fine di perseguire una finalità terroristica. Con tale fattispecie di reato il legislatore ha voluto sanzionare sia il danneggiamento dei beni mobili o immobili altrui, sia le particolari modalità con cui il danneggiamento vuole essere perpetrato, che comportano un gravissimo pericolo per la pubblica incolumità.


 


 


Art. 280 ter Atti di terrorismo nucleare


È punito con la reclusione non inferiore ad anni quindici chiunque, con le finalità di terrorismo di cui


all’articolo 270-sexies:



  • procura a sé o ad altri materia radioattiva;

  • crea un ordigno nucleare o ne viene altrimenti in possesso.


È punito con la reclusione non inferiore ad anni venti chiunque, con le finalità di terrorismo di cui


all’articolo 270-sexies:


 


 



  • utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare;

  • utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o con il concreto pericolo che rilasci materia


Le pene di cui al primo e al secondo comma si applicano altresì quando la condotta ivi descritta abbia ad oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici.


 


 


L’articolo 4, comma 1, lett. c), della L. 28 luglio 2016, n. 153 ha introdotto tra i reati contro la personalità


interna dello stato la nuova figura di atti di terrorismo nucleare.


 


L’incriminazione recepisce sostanzialmente i contenuti dell’art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione degli atti di terrorismo nucleare (New York, 14 settembre 2005). In base al primo comma dell’articolo è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni chi alternativamente procura a sé o ad altri materia radioattiva oppure crea o viene altrimenti in possesso di un ordigno nucleare.


 


Il secondo comma disciplina uno stadio dell’offesa più avanzato, reprimendo con la severa sanzione della reclusione non inferiore a venti anni la condotta di chi utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare oppure utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o determinando il concreto pericolo che rilasci materia radioattiva.


 


Le disposizioni dei due commi citati devono essere lette correlativamente all’art. 3 della legge che detta una


serie di definizioni attinenti alla sfera nucleare. Così:


 



  1. per «materia radioattiva» si intendono le materie nucleari e altre sostanze radioattive contenenti nuclidi che sono caratterizzati da disintegrazione spontanea, con contestuale emissione di uno o più tipi di radiazione ionizzante come particelle alfa, beta, neutroni o raggi gamma, e che, per le loro proprietà radiologiche o fissili, possono causare la morte, gravi lesioni alle persone o danni rilevanti a beni o all'ambiente;

  2. per «materie nucleari» si intendono il plutonio, eccetto quello con una concentrazione isotopica superiore all'80 per cento nel plutonio 238, l'uranio 233, l'uranio arricchito negli isotopi 235 o 233, l'uranio contenente una miscela di isotopi come si manifesta in natura in forma diversa da quella di minerale o residuo di minerale, ovvero ogni materiale contenente una o più delle suddette categorie;

  3. per «uranio arricchito negli isotopi 235 o 233» si intende l'uranio contenente l'isotopo 235 o 233 o entrambi in una quantità tale che il rapporto di quantità della somma di questi isotopi con l'isotopo 238 è maggiore del rapporto dell'isotopo 235 rispetto all'isotopo 238 che si manifesta in natura;

  4. per «impianto nucleare» si intendono 1) ogni reattore nucleare, inclusi i reattori installati in natanti, veicoli, aeromobili od oggetti spaziali da utilizzare come fonte di energia per la propulsione di tali natanti, veicoli, aeromobili od oggetti spaziali ovvero per ogni altro scopo; 2) ogni impianto o mezzo di trasporto utilizzato per la produzione, l'immagazzinamento, il trattamento o il trasporto di materia radioattiva;

  5. per «ordigno nucleare» si intendono 1) ogni congegno esplosivo nucleare; 2) ogni dispositivo a dispersione di materia radioattiva od ogni ordigno a emissione di radiazioni che, in ragione delle sue proprietà radiologiche, causa la morte, gravi lesioni personali o danni sostanziali a beni o all'ambiente;


 


Il terzo comma dell’articolo estende le pene dei primi due commi all’eventualità che la condotta abbia ad


oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici.


 


 


Art. 289-bis Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione


Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico sequestra una persona è


punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.


Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.


Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.


Il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà è punito con la reclusione da due a otto anni; se il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da otto a diciotto anni.


Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.


 


 


 


Tale ipotesi di reato si sostanzia nella privazione della libertà personale di un soggetto al fine di incutere terrore nella collettività con azioni dirette non contro le singole persone, ma contro quello che esse rappresentano. Costituisce circostanza aggravante l’aver procurato la morte, voluta o non voluta, del sequestrato mentre costituisce situazione attenuante, l’essersi dissociato dal vincolo associativo e dalle convinzioni terroristiche ed eversive del gruppo. favorendo il rilascio della vittima.


 


 


Art. 302 Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo


Chiunque istiga taluno a commettere uno dei delitti, non colposi, preveduti dai capi primo e secondo di questo titolo, per i quali la legge stabilisce (la pena di morte o) l’ergastolo o la reclusione, è punito, se la istigazione non è accolta, ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a otto anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.


Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si


riferisce l’istigazione.


Tale ipotesi di reato consiste nell’istigare qualcuno a commettere uno dei reati contro la personalità interna


ed internazionale dello Stato disciplinati dagli articoli precedentemente analizzati.


 


 


Art. 304 c.p. Cospirazione politica mediante accordo


 


Quando più persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che partecipano all’accordo sono puniti, se il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a sei anni.


Per i promotori la pena è aumentata.


 


Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si


riferisce l’accordo.


 


Il delitto in esame derogando al principio stabilito dall’art.115, secondo cui il mero accordo a commettere un reato non costituisce reato, salvo che la legge disponga diversamente, stabilisce la punibilità degli atti preparatori, in quanto eleva a reato un comportamento che incarna una forma di potenziale pericolo per le istituzioni.


L’esigenza è quella di evitare la riunione degli intenti criminosi, il loro reciproco rafforzamento e le conseguenze che ne deriverebbero.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dall’accordo tra più soggetti avente l’obiettivo di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302;

  • è un reato di mera condotta in quanto non è richiesta l’effettiva e concreta realizzazione del reato di cui all’articolo 302 p.


 


 


Art. 305 c.p. Cospirazione politica mediante associazione


 


Quando tre o più persone si associano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che promuovono, costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.


 


Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da due a otto anni. I capi dell’associazione soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.


Le pene sono aumentate se l’associazione tende a commettere due o più dei delitti sopra indicati.


 


Il presente reato si differenzia dal precedente art. 304 c.p. in quanto è caratterizzato dalla presenza permanente di un’organizzazione associativa, e non da un mero accordo finalizzato al compimento di una delle condotte criminose contemplate all’art. 302 c.p.


 


 


Art. 306 c.p. Banda armata: formazione e partecipazione


 


Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici anni.


 


Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni. I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.


L’attività sottoposta a pena detentiva è quella di promozione, costituzione e organizzazione di bande armate. In assenza di una definizione normativa si considera “Banda armata” un gruppo di soggetti tra cui intercorre un vincolo di permanente collegamento al fine specifico di commettere reati con in supporto di armi; che siano organizzati in modo idoneo alla scopo e soggetti al comando di uno o più capi.


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • l’articolo 306 prevede due autonome ipotesi delittuose:

    1. la formazione di una banda armata al comma 1 (reato plurisoggettivo);

    2. la partecipazione alla banda armata al comma 2 (reato monosoggettivo).




 


 


Art. 307 c.p. Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata


 


Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all’associazione o alla banda indicate nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.


 


La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuatamente.


 


Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.


 


Agli effetti della legge penale, si intendono per i "prossimi congiunti" gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole.


 


Il delitto in esame si differenzia dal concorso nei reati di cui agli artt. 305 e 306 relativamente al destinatario dell’aiuto. Infatti gli articoli richiamati si applicano qualora l’aiuto è prestato al singolo nell’interesse dell’intera associazione o banda. Se invece tale aiuto è rivolto al singolo associato o membro della banda o comunque ad una pluralità di soggetti singolarmente intesi trova applicazione la disposizione in esame.


 


È causa personale di esenzione dalla pena l’aver commesso il fatto in favore di un prossimo congiunto


costituisce una causa personale di esenzione da pena.


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito, fuori dai casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dall’aver fornito rifugio, vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione ai soggetti attivi dei reati agli articoli 305 e 306 c.p.


 


 


Art. 1 L. n. 342/1976 Impossessamento, dirottamento e distruzione di un aereo


 


Chiunque con violenza o minaccia commette un fatto diretto all’impossessamento di un aereo e chiunque con violenza, minaccia o frode commette un fatto diretto al dirottamento o alla distruzione di un aereo è punito con la reclusione da 7 a 21 anni.


La pena è aumentata se l’autore consegue l’intento.


La pena non può essere inferiore a 12 anni di reclusione se dal fatto derivano lesioni personali ai passeggeri ovvero ai membri dell’equipaggio.


Si applica la pena della reclusione da 24 a 30 anni se dal fatto deriva la morte di una o più persone.


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dal comportamento di chi con violenza, minaccia o frode


s’impossessi di un aereo con il fine di dirottarlo o distruggerlo;



  • l’elemento soggettivo è di dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;

  • l’entità della pena varia a seconda della realizzazione dell’evento e dalla gravità degli effetti sui passeggeri ovvero sui membri dell’equipaggio.


 


 


Art. 2, L.n. 342/1976 Danneggiamento delle installazioni a terra


 


Chiunque al fine di dirottare o distruggere un aereo danneggia le installazioni a terra relative alla


navigazione aerea o ne altera le modalità di uso è punito con le pene indicate nell’articolo precedente.


 


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” perché può essere compiuto da chiunque, cittadino o straniero,


ponga in essere i comportamenti incriminati;



  • elemento oggettivo del reato è costituito dal comportamento di chi danneggia le installazioni a terra relative alla navigazione aerea o ne altera le modalità di uso al fine di dirottare o distruggere un aereo;

  • l’elemento soggettivo è di dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;


 


 


Art. 3, L.n. 422/1989 Sanzioni


 


Chiunque, con violenza o minaccia, si impossessa di una nave o di una installazione fissa ovvero esercita il controllo su di essa è punito con la reclusione da otto a ventiquattro anni.


 


Alla stessa pena soggiace, se il fatto è tale da porre in pericolo la sicurezza della navigazione di una nave ovvero la sicurezza di una installazione fissa, chiunque:



  1. distrugge o danneggia la nave o il suo carico ovvero l’installazione;

  2. distrugge o danneggia gravemente attrezzature o servizi di navigazione marittima, o ne altera gravemente il funzionamento;

  3. comunica intenzionalmente false informazioni attinenti alla navigazione;

  4. commette atti di violenza contro una persona che si trovi a bordo della nave o della installazione;


 


Chiunque minaccia di commettere uno dei fatti previsti nelle lettere a), b), e d) del comma 2 è punito con la reclusione da uno a tre anni.


 


Chiunque, nel commettere uno dei fatti previsti dai commi 1 e 2, cagiona la morte di una persona è


punito con l’ergastolo.


 


Chiunque nel commettere uno dei fatti previsti dai commi 1 e 2, cagiona a ciascuno lesioni personali è punito ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale ma le pene sono aumentate.


 


Quando per le modalità dell’azione e per la tenuità del danno o il fatto è lieve entità, le pene indicate nei commi 1 e 2 sono ridotte da un terzo a due terzi.


 


Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando il fatto è previsto come più grave reato da altra disposizione di legge.


 


 


[Art. 5, D. Lgs. n. 625/1979 Pentimento operoso


 


Fuori del caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo 56 del codice penale, non è punibile il colpevole di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico che volontariamente impedisce l’evento e fornisce elementi di prova determinanti per la esatta ricostruzione del fatto e per la individuazione degli eventuali concorrenti.


 


Rientrante tra le attenuanti comuni, di cui all’art. 62, n. 6 seconda parte c.p., il pentimento operoso si realizza quando colui che delinque si sia adoperato, prima della realizzazione dell’evento, in modo spontaneo ed efficace per evitare il realizzarsi del reato di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico che si era inizialmente proposto di compiere.


Tale attenuante presuppone non solo la volontarietà ma anche la spontaneità del comportamento riparatore in quanto deve essere determinato da motivi interni e non da ragioni meramente opportunistiche.]68


 


 


[Art. 1 D. L. 15 dicembre 1979, n. 625 convertito, con modificazioni, nella L. 6 febbraio 1980,



  1. 15


Per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, punibili con pena diversa dall’ergastolo, la pena è aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato


 


 


[omissis]


 


 


Tale norma prevede, come circostanza aggravante applicabile a qualsiasi reato il fatto che il reato


stesso sia stato “commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”.


Parte della Dottrina estende l’ambito applicativo dell’art. 25-quater del D. Lgs. 231/2001 anche ai tutti i reati commessi in presenza della circostanza aggravante in esame. Ne consegue che qualsiasi delitto previsto dal codice penale o dalle leggi speciali, anche diverso da quelli espressamente diretti a punire il terrorismo, potrebbe diventare, purché commesso con dette finalità, uno di quelli suscettibili di costituire, a norma dell’art. 25-quater, presupposto per l’affermazione della responsabilità dell’ente.


Tale posizione non sembra tuttavia condivisibile giacché, oltre a comportare l’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente oltre i confini della determinatezza, pare in contrasto con il dato letterale dell’art. 25- quater. La norma citata richiama, infatti, i delitti “aventi” finalità di terrorismo e non “commessi” con finalità terroristiche. Sembra dunque necessario che le finalità terroristiche siano elemento costitutivo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, e che non sia sufficiente ai sensi del D. Lgs. 231/2001 che un qualsiasi reato sia commesso con tale intenzione]69.


 


 


Art. 2 Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, New York, 9 dicembre 1999


 



  1. Commette reato ai sensi della presente Convenzione ogni persona che, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, illecitamente e deliberatamente fornisce o raccoglie fondi nell’intento di vederli utilizzati, o sapendo che saranno utilizzati, in tutto o in parte, al fine di commettere:

  2. un atto che costituisce reato ai sensi e secondo la definizione di uno dei trattati enumerati


nell’allegato;



  1. ogni altro atto destinato ad uccidere o a ferire gravemente un civile o ogni altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato quando, per sua natura o contesto, tale atto sia finalizzato ad intimidire una popolazione o a costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere, un atto

  2. a) Nel depositare il suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, lo Stato Parte che non ha aderito ad un trattato elencato nell’allegato di cui al comma a) del paragrafo 1 del presente articolo può dichiarare che, qualora la presente Convenzione gli sia applicata, tale trattato è considerato non figurare in detto allegato. Tale dichiarazione si annulla non appena il trattato entra in vigore per lo Stato Parte, che ne fa notifica al

  3. b) Lo Stato Parte che cessa di essere parte ad un trattato elencato nell’allegato, può fare, riguardo a


tale trattato, la dichiarazione prevista nel presente articolo.



  1. Affinché un atto costituisca reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, non occorre che i fondi siano stati effettivamente utilizzati per commettere un reato di cui ai commi a) o b) del medesimo paragrafo

  2. Commette altresì reato chiunque tenti di commettere reato ai sensi del paragrafo 1 del presente

  3. Commette altresì reato chiunque:

  4. partecipa in quanto complice ad un reato ai sensi dei paragrafi 1 o 4 del presente articolo;

  5. organizza la perpetrazione di un reato ai sensi dei paragrafi 1 o 4 del presente articolo o dà ordine ad altre persone di commetterlo;

  6. contribuisce alla perpetrazione di uno o più dei reati di cui ai paragrafi 1 o 4 del presente articolo, ad opera di un gruppo che agisce di comune


Tale contributo deve essere deliberato e deve:



  1. sia mirare ad agevolare l’attività criminale del gruppo o servire ai suoi scopi, se tale attività o tali scopi presuppongono la perpetrazione di un reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo;

  2. sia essere fornito sapendo che il gruppo ha intenzione di commettere un reato ai sensi del paragrafo 1 del presente


 


 


Perché una condotta possa rientrare in una delle suddette fattispecie non è necessario che i fondi siano effettivamente utilizzati per compiere i reati summenzionati, risultando già di per sé sufficiente la mera destinazione a tale scopo.


Anche il semplice tentativo di finanziamento di atti terroristici è considerato reato ai sensi del quarto


 


 


comma della norma in esame.


Si considera colpevole di reato anche chi partecipi come complice, chi organizzi o diriga altre persone al fine di commettere un reato o contribuisca al compimento di uno o più reati con un gruppo di persone che agiscono con una finalità comune, qualora tali condotte riguardino la commissione di reati con finalità di terrorismo, di cui sopra.


 


 



  • Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1)


 


L’articolo 25-quater1 del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”,


così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 583-bis del codice penale si applicano all’ente, nella cui struttura è commesso il delitto, la sanzione pecuniaria da 300 a 700 quote e le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un Nel caso in cui si tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato l’accreditamento.

  2. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati al comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.084.300


Sanzioni interdittive: da 12 mesi a 24 mesi (nel caso si tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato


l’accreditamento).


Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quater1 del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 583-bis c.p. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 583-bis Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili


 


Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.


 


Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.


 


La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.


 


La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice


di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal


 


 


genitore o dal tutore, rispettivamente:



  • la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale;

  • l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di


 


Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.


 


 


Tale ipotesi di reato è di tipo “comune” in quanto può essere compiuto da chiunque ponga in essere i


comportamenti incriminati sopra descritti. Si precisa che:



  • la condotta si sostanzia nel cagionare una mutilazione degli organi genitali femminili (clitoridectomia, escissione e infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo) dalla quale deriva una menomazione sessuale ovvero una malattia nel corpo o nella mente;

  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come previsione e volontà di provocare a taluno lesioni personali;

  • le condotte incriminate dalla fattispecie in esame, assumono rilevanza ai sensi del D. Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti allorquando siano poste in essere da soggetti operanti per conto della società o di sua unità organizzativa determinate azioni volte a praticare, consentire o agevolare pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili in assenza di esigenze terapeutiche che lo prescrivano.


 


 



  • Delitti contro la personalità individuale (art. 25-quinquies)


 


L’articolo 25 – quinquies del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Delitti contro la personalità individuale”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del


codice penale si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:



  1. per i delitti di cui agli articoli 600, 601, 602 e 603-bis la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote;

  2. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater1, e 600-quinquies, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

  3. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater1, nonché per il delitto di cui all’articolo 609-undecies la sanzione pecuniaria da duecento a settecento



  1. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettere a) e b), si applicano le sanzioni


interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.



  1. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – quinquies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù;

  • 600-bis c.p. Prostituzione minorile;

  • 600-ter c.p. Pornografia minorile;

  • 600-quater c.p. Detenzione di materiale pornografico;


 


 



  • 600-quater1 c.p. Pornografia virtuale;

  • 600-quinquies c.p. Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile;

  • 601 c.p. Tratta di persone:

  • 602 c.p. Acquisto e alienazione di schiavi

  • 603-bis c.p. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

  • 609-undecies c.p. Adescamento di minorenni.


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 600 Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù


 


Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.


La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


Tale ipotesi di reato è posta a tutela della personalità individuale, ed in particolare della dignità della persona


e della personalità umana, intesa come libertà di agire e volere secondo scelte proprie dell’individuo.


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque, cittadino o straniero, ponga in essere una simile condotta ai danni di un cittadino o di uno straniero sul territorio dello Stato italiano, o ai danni di un cittadino italiano in territorio estero;

  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito da diversi comportamenti, quali:



  • ridurre una persona in schiavitù - tale concetto è delineata dalla Convenzione di Ginevra del 25 settembre del 1926 (recepita dal R.D. n. 1723 del 1928), che la definisce come lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o uno di essi70;

  • ridurre una persona in servitù: ossia ridurre mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, la vittima del reato in una condizione continuativa di soggezione fisica o psicologica allo scopo di costringerla a prestazioni lavorative o sessuali, ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che comportino lo sfruttamento;

    • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come previsione e volontà di ridurre taluno in schiavitù o servitù;




 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel favorire l’ingresso illegale nel nostro paese di ragazzi o ragazze


 


 


70 La condizione analoga alla schiavitù è quella di fatto, con connotati volta a volta diversi, ma fondamentalmente identici nell’ambito dei rapporti interpersonali, nei quali un individuo ha un potere pieno e incontrollato sull’altro, assoggettato appunto al suo dominio; si ricomprende, pertanto, la servitù per debiti; la servitù per la lavorazione della terra; le istituzioni o pratiche in virtù delle quali una donna è promessa o data in matrimonio dietro un corrispettivo, senza che abbia la facoltà di rifiutare, nonché le istituzioni o le pratiche per le quali il marito, la famiglia ed il clan hanno il diritto di cedere la donna ad un terzo, a titolo oneroso o altrimenti; le istituzioni o le pratiche in forza delle quali un fanciullo o un adolescente minore degli anni diciotto è consegnato dai suoi genitori o da uno di loro sia dal suo tutore, ad un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro di detto fanciullo o adolescente.


 


 


di paesi più poveri, per poi costringerli a lavorare ad orari e condizioni disumani71.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


71 La condotta descritta potrebbe essere configurata, a titolo esemplificativo, anche nell’ipotesi remota del concorso nel reato di un soggetto appaltante insieme all’appaltatore o al sub-appaltatore, riconducibile all’ipotesi di dolo eventuale del primo soggetto, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema delle condizioni lavorative cui sono sottoposte i lavoratori presso terzi appaltatori, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità che possano esistere situazioni di evidente irregolarità o di possibile sfruttamento dei lavoratori presso i terzi o presso eventuali subappaltatori.


 


 


Art. 600-bis Prostituzione minorile


 


È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.000 a euro 150.000 chiunque:



  • recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto;

  • favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae 72


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000.73


 


La fattispecie incriminatrice in esame è volta a tutelare il minore da ogni forma di sfruttamento e di violenza sessuale, nonché a salvaguardare il corretto sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale dello stesso.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune” in quanto può essere compiuto da chiunque ponga in essere i


comportamenti incriminati sopra descritti;



  • l’elemento oggettivo del reato si sostanzia nel:

    • indurre alla prostituzione un minore: l’induzione consiste in una suggestione in grado di persuadere il soggetto passivo a porre in essere una determinata attività; la prostituzione è l’attività di un uomo o di una donna per la quale questi compiono atti sessuali in cambio di una somma di denaro;




o favorire la prostituzione: il favoreggiamento si configura quando il soggetto agente con il


proprio comportamento rende possibile o agevola l’esercizio della prostituzione;



  • sfruttare la prostituzione: lo sfruttamento consiste nell’approfittare di coloro che fanno commercio del proprio corpo, traendone un vantaggio, generalmente economico (ad esempio recependone parte dei guadagni);

  • compiere atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica: quest’ultima tipologia di condotta prevista e punita dal secondo comma della norma in esame, determina la punibilità del cliente, c.d. “utilizzatore finale”; si sottolinea che per “atti sessuali” non si intende esclusivamente la congiunzione carnale, ben rientrando in tale definizione “qualsiasi atto di manomissione del corpo altrui –non già soltanto delle parti intime- diverso dalla congiunzione carnale e suscettibile di esercitare la concupiscenza sessuale del soggetto attivo”74 e che tali atti, ai fini dell’integrazione del reato in esame, devono essere consensuali;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come previsione e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. Il soggetto agente, ai fini dell’integrazione del reato, deve essere a conoscenza della minore età del soggetto passivo del reato, o quanto meno deve figurarsela e compiere ugualmente la condotta incriminata, accettando il rischio che la stessa dispieghi i suoi effetti su un


 


Art. 600-ter Pornografia minorile


 


È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:



  • utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico;

  • recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.75


 


Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per


 


73 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300 Sanzioni interdittive: se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001


74 Definizione di Padovani.


75 Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


 


 


via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento e allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582,00 a euro 51.645,00.76


 


Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549,00 a euro 5.164,00.77


 


Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità.


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro


1.500 a euro 6.000.


 


Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.


 


 


Tale fattispecie incriminatrice è volta a punire lo sfruttamento di minori a fini pornografici, tramite l’incriminazione di una pluralità di condotte, relative alla produzione o allo scambio di materiale pedopornografico.


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune”, in quanto può essere compiuta da chiunque ponga in essere i


comportamenti incriminati sopra descritti;



  • soggetto passivo del reato in esame può essere solo una persona minore degli anni diciotto, senza alcuna differenziazione di età al di sotto di tale soglia;

  • l’elemento oggettivo del reato può sostanziarsi nel:

    • utilizzare minori per realizzare esibizioni pornografiche o per produrre materiale pornografico: “utilizzare” consiste in questo caso nel rendere protagonisti di esibizioni pornografiche soggetti minori degli anni 18, senza che rilevi ai fini dell’integrazione del reato che questi siano o meno consenzienti; “materiale pornografico” comprende tutto ciò che consiste in raffigurazione e rappresentazione attinenti alla sfera sessuale, come congiunzioni carnali, atti di libidine, gesti erotici ;

    • indurre minori a partecipare ad esibizioni pornografiche: l’induzione consiste in una suggestione in grado di persuadere il soggetto passivo a porre in essere volontariamente una determinata attività;

    • commerciare in materiale pedopornografico: per commercio deve intendersi la cessione, effettuata a titolo imprenditoriale e a scopo di lucro, del materiale pedopornografico;

    • distribuire, divulgare, diffondere o pubblicare suddetto materiale: ai fini dell’integrazione del delitto in esame, “distribuire” significa cedere il materiale incriminato ad una pluralità di persone, perché ne possano usufruire; “divulgare” vuol dire rendere accessibile il materiale per un numero indeterminato di persone; “diffondere” vuol dire far circolare il materiale pornografico; “pubblicizzare” significa mettere in contatto il colpevole con un numero indeterminato di persone, al fine di rendere noto a queste la sussistenza e la disponibilità, presso il medesimo, di materiale pedopornografico, con l’indicazione delle modalità necessarie per l’effettuazione dell’eventuale acquisto;

    • distribuire o divulgare notizie o informazioni, con qualunque mezzo, anche telematico, per adescare o sfruttare sessualmente dei minori: il “mezzo telematico” è un mezzo di comunicazione caratterizzato dall’utilizzazione di reti informatiche collegate alle vie telefoniche (i.e. internet);




 


76 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


77 Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


 


 


o offrire o cedere, anche gratuitamente, materiale pornografico prodotto attraverso lo sfruttamento sessuale dei minori: “cedere” implica che il prodotto esce dalla sfera di disponibilità di un soggetto e passa in quella di un’altra persona;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma Anche in questo caso, ai fini dell’integrazione del reato occorre che il soggetto agente sia consapevole o quanto meno si figuri che i soggetti rappresentati dal materiale incriminato siano persone minori degli anni 18.


 


Art. 600-quater Detenzione di materiale pornografico


 


Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549,00.


La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300 Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


Tale ipotesi di reato punisce gli utenti o utilizzatori finali di materiale pedopornografico. Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque;

  • soggetto passivo del reato in esame, in quanto raffigurato nel materiale incriminato, può essere solo una persona minore degli anni diciotto, senza alcuna differenziazione di età al di sotto di tale soglia;

  • la condotta si sostanzia nel:

    • procurarsi materiale pornografico prodotto mediante utilizzazione sessuale di minori: “procurarsi” implica un comportamento atto ad acquisire la disponibilità materiale del prodotto pornografico; il “materiale pornografico” comprende ciò che consiste in raffigurazioni e rappresentazioni attinenti alla sfera sessuale, come congiunzioni carnali, atti di libidine, gesti erotici, ecc;

    • detenere lo stesso materiale: “detenere” vuol dire trovarsi nella condizione di avere la




disponibilità del materiale pornografico;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice; anche in questo caso, ai fini dell’integrazione del reato occorre che il soggetto agente sia consapevole o quanto meno si figuri che i soggetti rappresentati dal materiale incriminato siano persone minori degli anni


 


 


Art. 600-quater.1 Pornografia virtuale


 


Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.


Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.


 


Tale ipotesi di reato è di “pericolo astratto”, perché la produzione e la diffusione di siffatto materiale sono tali da incentivare quei comportamenti devianti, in grado, a loro volta, di originare ulteriori condotte lesive del bene giuridico finale dell’integrità psicofisica del minore.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito dalla commissione di una delle condotte previste e punite dall’art. 600-ter c.p. effettuata utilizzando immagini di minori o parti di esse anche di carattere virtuale mediante l’ausilio di tecniche grafiche e di mezzi di comunicazione telematica, o dalla detenzione di materiale così prodotto;


 


 



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;


 


 


Art. 600-quinquies Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile


 


Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493,00 a euro 154.937,00.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 77.400 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


Tale ipotesi di reato punisce coloro che sfruttano la pratica del turismo sessuale, nei casi in cui questo abbia da oggetto minori.


Si precisa che:


 



  • la condotta si sostanzia nell’organizzare o propagandare viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori. Ai sensi della norma in esame, per “organizzare” significa predisporre tutto quanto necessario e richiesto dal cliente ai fini della sua vacanza volta alla fruizione di prostituzione minorile; “propagandare” vuol dire diffondere una notizia attraverso i vari mezzi di comunicazione ai fini di attrarre e persuadere una clientela;

  • l’elemento soggettivo è il dolo specifico, poiché oltre alla coscienza e volontà del fatto, vi è l’ulteriore


fine di permette la fruizione e fruire di attività di prostituzione a danno di minori;


 


Art. 601 Tratta di persone


 


È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.


 


Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età.


La pena per il comandante o l’ufficiale della nave nazionale o straniera, che commette alcuno dei fatti previsti dal primo o dal secondo comma o vi concorre, è aumentata fino a un terzo.


Il componente dell’equipaggio di nave nazionale o straniera destinata, prima della partenza o in corso di navigazione, alla tratta è punito, ancorché non sia stato compiuto alcun fatto previsto dal primo o dal secondo comma o di commercio di schiavi, con la reclusione da tre a dieci anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


 


Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. 4.3.2014, n. 24, in attuazione della direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e poi modificato con l’aggiunta dei commi 3 e 4 dall’art. 2, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21.


 


Anche in questo caso, come per il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù, il reato in esame è volto a reprimere comportamenti lesivi della personalità individuale e della dignità umana. Sono infatti punite dalla norma in esame le condotte volte a limitare la libertà di circolazione dei soggetti, operate con l’uso della forza, sia fisica che morale.


 


Si precisa che:


 


 



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque;

  • in seguito alla riforma normativa, l’elemento oggettivo del reato può sostanziarsi:


o nel reclutamento, nell’introduzione nel territorio dello Stato, nel trasferimento anche al di fuori di esso, nel trasporto, nella cessione dell’autorità sulla persona, nell’ospitalità ad una o più persone che si trovino nelle condizioni di cui all’art. 600;



  • nella realizzazione delle condotte sopra descritte su una o più persone mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o altri vantaggi alla persona che su di essa ha l’autorità;



  • l’elemento soggettivo è il dolo specifico, in quanto il soggetto attivo deve agire allo scopo di indurre o costringere le vittime a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di


 


Se le condotte di tratta di persona sono commesse su un soggetto minore, anche al di fuori delle modalità sopra descritte, si applicano le pene previste dal comma 1.


 


 


Art. 602 Acquisto e alienazione di schiavi


 


Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all’articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


 


Si precisa che:


 



  • la condotta si sostanzia nell’alienare o cedere una persona che si trova in stato di schiavitù o servitù: “alienare” significa trasferire a titolo oneroso, la titolarità del diritto di proprietà in capo ad un soggetto diverso dall’alienante; “cedere” vuol dire trasferire a qualcuno anche a titolo gratuito, determinati diritti, tramite negozi giuridici;

  • l’elemento soggettivo è di dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma


 


 


Art. 603-bis Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:



  • recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

  • utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di


 


Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.


 


Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:



  • la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

  • la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

  • la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

  • la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative


 


Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:



  • il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

  • il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

  • l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


 


Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è stato modificato con l’entrata in vigore della Legge 19 ottobre 2016 n. 199 nominata “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”.


 


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque recluti un lavoratore ovvero utilizzi manodopera;

  • l’elemento oggettivo del reato si sostanzia in una duplice ed alternativa condotta consistente nel:



  • reclutare manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento mediante approfittamento dello stato di bisogno in cui versano i lavoratori;

  • utilizzare, assumere o impiegare manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione, sottoponendola a condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno in cui versa;

    • per “sfruttamento”, come specificato dalla norma, deve intendersi:



  • la reiterata corresponsione di retribuzioni che sia palesemente difforme da quanto previsto dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

  • la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al periodo di riposo, al


riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria ed alle ferie;



  • la violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

  • la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza od a situazioni alloggiative

    • l’elemento soggettivo è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà da parte dell’agente di




compiere una delle condotte previste dal comma 1 della norma in esame;



  • il secondo comma stabilisce degli incrementi di pena per il soggetto attivo del reato nel caso in cui i fatti previsti dal comma 1 siano commessi tramite violenza e minaccia.


 


 


Art. 609 – undecies Adescamento di minorenni


 


 


 


Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.084.300


Se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001.


 


Il reato è stato introdotto all’interno del codice penale dall’art. 4, L. 1 ottobre 2012, n. 172, in attuazione della


Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.


 


Il reato di adescamento di minori è finalizzato ad anticipare la soglia di punibilità ai comportamenti strumentali alla commissione di altri e più gravi reati. Il Legislatore, preso atto della maggior tutela richiesta per beni giuridici protetti, attraverso la fattispecie incriminatrice in esame fa sì che siano punibili anche coloro che pur non essendo riusciti ad attentare all’integrità fisica e morale di un minore, abbiano posto in essere una condotta finalizzata all’approccio con l’intenzione di compiere successivamente altro più grave reato.


 


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque;

  • l’elemento oggettivo del reato si sostanzia nell’adescare un soggetto di età inferiore ai 16 anni;


o per “adescamento”, come specificato dalla norma, deve intendersi il compimento qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore e, dunque, ad abbassarne le difese, che sia compiuto attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione;



  • l’elemento soggettivo è il dolo specifico, in quanto il soggetto attivo deve agire allo scopo di commettere altro più grave reato contro l’integrità fisica e morale del minore. Ai fini della sussistenza del dolo, è necessario che il soggetto agente sia consapevole che l’età anagrafica del minore è inferiore agli anni 16;

  • si tratta di un reato di natura sussidiaria o residuale, che si ritiene integrato nel solo caso in cui il fatto commesso dal soggetto non costituisca più grave reato; pertanto, il reato di adescamento di minore sarà integrato nel solo caso in cui il soggetto agente non riesca nei suoi intenti o si ravveda prima di realizzare il reato-scopo che lo ha portato ad approcciare il


 


 


 



  • Abusi di mercato


 


L’articolo 25–sexies del D. Lgs. 231/01 (rubricato “Abusi di mercato”) così recita:


 



  1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, 58, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

  2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente


è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.


 


Il Legislatore che ha novellato la parte V, titolo I–bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, attraverso le disposizioni di cui all’articolo 187-quinquies e rovesciando l’usuale schema di richiamo delle fattispecie di illecito operato fino ad allora dal legislatore in sede di ampliamento dell’ambito di responsabilità amministrativa degli enti, ha introdotto due illeciti amministrativi (speculari alle fattispecie di reato sopra richiamate) di abuso di informazioni privilegiate o manipolazione del mercato previsti rispettivamente dagli articoli 187–bis e 187–ter del TUF.


 


L’articolo 187-quinquies (rubricato “Responsabilità dell’ente”) così recita:


 



  1. L’ente è responsabile del pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa


irrogata per gli illeciti di cui al presente capo commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:



  1. da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di


una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che


 


 


esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;



  1. da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).



  1. Se, in seguito alla commissione degli illeciti di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o

  2. L’ente non è responsabile se dimostra che le persone indicate nel comma 1 hanno agito esclusivamente nell’interesse proprio o di

  3. In relazione agli illeciti di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 6, 7, 8 e 12 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Il Ministero della giustizia formula le osservazioni di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sentita la Consob, con riguardo agli illeciti previsti dal presente ”


 


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – sexies del D. Lgs. 231/01 e gli illeciti amministrativi presupposto


introdotti dall’art. 187 – quinquies del D. Lgs. 58/98 sono i seguenti:


 



  • 184 D. Lgs. 58/1998 Abuso di informazioni privilegiate;

  • 185 D. Lgs. 58/1998 Manipolazione di mercato;

  • 187-bis D. Lgs. 58/1998 Abuso di informazioni privilegiate;

  • 187-ter D. Lgs. 58/1998 Manipolazione di mercato;


 


Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnati da una sintetica illustrazione del reato e dell’illecito amministrativo e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 184 TUF Abuso di informazioni privilegiate78


 



  1. È punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 20.000,00 a euro 3.000.000,00 chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:


 



  1. acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;


 



  1. comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio o di un sondaggio di mercato effettuato ai sensi dell’articolo 11 del regolamento (UE) n. 596/2014;


 



  1. raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).


 



  1. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma


 



  1. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel


 


3-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro 103.291,00 e dell’arresto fino a tre anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove


questo sia di rilevante entità).


Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente è di


rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.


 


La fattispecie è caratterizzata dall’esigenza di tutela del mercato e punisce chi, in ragione del proprio ruolo e in possesso di informazioni privilegiate di cui all’art. 181 D. Lgs. 58/98, dolosamente compie attività in proprio o per conto di terzi sugli strumenti finanziari, utilizzando le informazioni medesime; comunica ad


 


78 Ai sensi dell’art. 39, co. 1, della legge. n. 262 del 28.12.2005, le pene previste nel presente Titolo sono raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.


 


 


altri dette informazioni o raccomanda altri affinché essi compiano le attività di acquisto, vendita o altre operazioni.


 


Per potersi parlare di “informazione privilegiata” si deve trattare di un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari.


 


Rientrano nel novero delle informazioni privilegiate non solo i fatti accaduti nella sfera di attività degli emittenti ma tutte le informazioni di carattere preciso concernenti gli stessi emittenti o gli strumenti finanziari, capaci di influenzare, se rese pubbliche, sensibilmente il prezzo di tali strumenti.


 


Un’informazione si ritiene di carattere preciso se:


 



  • si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà;

  • è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di


circostanze o dell’evento di cui al punto precedente sui prezzi degli strumenti finanziari.


 


Per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari si intende un’informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento.


 


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato “comune”, poiché ai fini dell’integrazione del reato non si richiede che il soggetto attivo sia in possesso di una particolare qualifica soggettiva; tuttavia, è necessario che l’agente si trovi ad essere in possesso di informazioni privilegiate “in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’ attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio”, oppure “a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose”;

  • l’elemento oggettivo del reato può consistere nel:



  • utilizzare le informazioni per acquistare, vendere o compiere altre operazioni su strumenti finanziari, direttamente o indirettamente e per conto proprio o di terzi;

  • comunicare ad altri le informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio della propria attività;

  • utilizzare le informazioni per raccomandare o indurre altri a compiere operazioni su strumenti finanziari;

    • l’oggetto su cui materialmente la condotta delittuosa dispiega i suoi effetti è costituito dagli strumenti




finanziari come definiti dall’art. 180 del D. Lgs. 58/199879;


 


79In base alla norma citata si considerano “ "strumenti finanziari": 1) gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea nonché qualsiasi altro strumento ammesso o per il quale è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato di un Paese dell'Unione europea; 2) gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, per i quali l'ammissione è stata richiesta o autorizzata dall'emittente”.


Si ritiene pertanto riportare il testo dell’art. 1 comma 2 del citato decreto:


“Per "strumenti finanziari" si intendono:



  1. valori mobiliari;

  2. strumenti del mercato monetario;

  3. quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;

  4. contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap", accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

  5. contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap", accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con


 


 



  • l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice in esame è il dolo generico, inteso come


coscienza e volontà del soggetto agente di porre in essere la condotta tipica.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare azioni dell’emittente qualche giorno prima della pubblicazione del progetto di bilancio, sulla base delle informazioni privilegiate cui si ha accesso in ragione del proprio ruolo presso l’emittente.


 


 


Art. 185 TUF Manipolazione del mercato80


 



  1. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 000,00 a euro 5.000.000,00.


 



  1. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel


 


2-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numeri 2), 2-bis) e 2-ter), limitatamente agli strumenti finanziari il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario di cui ai numeri 2) e 2-bis) ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore, o relative alle aste su una piattaforma d’asta autorizzata come un mercato


regolamentato di quote di emissioni, la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro


centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni[1046].


 


2-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche:



  1. ai fatti concernenti i contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all’ingrosso, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore degli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a);

  2. ai fatti concernenti gli strumenti finanziari, compresi i contratti derivati o gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore di un contratto a pronti su merci, qualora il prezzo o il valore dipendano dal prezzo o dal valore di tali strumenti finanziari;

  3. ai fatti concernenti gli indici di riferimento (benchmark)


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove


questo sia di rilevante entità)


Nel caso della manipolazione di mercato, la realizzazione della fattispecie prevede che si diffondano notizie


 


esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;



  1. contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap" e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;

  2. contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap", contratti a termine ("forward") e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f) che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;

  3. strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;

  4. contratti finanziari differenziali;

  5. contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap", contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini”.


80 Ai sensi dell’art. 39, co. 1, della legge. n. 262 del 28.12.2005, le pene previste nel presente Titolo sono


raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.


 


 


false ovvero si pongano in essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari quotati.


 


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla diffusione di notizie false o dalla realizzazione di operazioni simulate o di altri artifici;

    • per notizia si intende una indicazione sufficientemente precisa di circostanze di fatto non essendo pertanto sufficienti le semplici voci, i d. rumors e le previsioni soggettive. Si ha una notizia falsa quando questa, creando una falsa rappresentazione della realtà, sia tale da trarre in inganno gli operatori determinando un rialzo o ribasso dei prezzi non regolare. Per l’integrazione del reato occorre che tali notizie false vengano divulgate; non si ravvisa l’estremo della divulgazione quando le notizie non siano state diffuse o rese pubbliche, ma siano dirette solo a poche persone;

    • alle operazioni simulate vanno ricondotte sia le operazioni che le parti non hanno in alcun modo inteso realizzare, sia le operazioni che presentano un’apparenza difforme da quelle effettivamente volute;

    • per altri artifici si intende “qualsiasi comportamento che, mediante inganno, sia idoneo ad




alterare il corso normale dei prezzi”;



  • affinché il reato sia configurabile non è sufficiente la mera realizzazione delle attività previste dalla Occorre infatti altresì che la notizia, l’operazione simulata o l’artificio siano idonei a produrre l’effetto della sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati;

  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della fattispecie in esame è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà dell’agente di porre in essere la condotta


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel diffondere, in ragione del proprio ruolo apicale presso l’emittente, un’indicazione sufficientemente precisa dell’ottenimento di un importante prestito bancario in un momento di grave tensione finanziaria, quando invece si è soltanto in fase di istruttoria, con la finalità di permettere un pronto recupero al corso del titolo.


 


Art. 187-bis TUF Abuso di informazioni privilegiate


 



  1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila euro a cinque milioni di euro chiunque viola il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate di cui all’articolo 14 del regolamento (UE) n. 596/2014[1051].

  2. [abrogato]

  3. [abrogato]

  4. [abrogato]

  5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il profitto conseguito ovvero le perdite evitate per effetto dell’illecito quando, tenuto conto dei criteri elencati all’articolo 194-bis e della entità del prodotto o del profitto dell’illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo[1055].

  6. Per le fattispecie previste dal presente articolo il tentativo è equiparato alla


 


Sanzione amministrativa pecuniaria per il soggetto agente: da € 20.000 a € 3.000.000 (aumentabili fino al triplo o fino al maggior importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito) Sanzioni pecuniarie per l’ente: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove questo sia di rilevante entità)


 


Art. 187-ter TUF Manipolazione del mercato



  1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila euro a cinque milioni di euro chiunque viola il divieto di manipolazione del mercato di cui all’articolo 15 del regolamento (UE) 596/2014.

  2. Si applica la disposizione dell’articolo 187-bis , comma

  3. [abrogato]

  4. Non può essere assoggettato a sanzione amministrativa ai sensi del presente articolo chi dimostri di avere agito per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato

  5. [abrogato]

  6. [abrogato]

  7. [abrogato]


 


 


 


Sanzioni amministrative pecuniarie: da € 20.000 a € 5.000.000 per il soggetto agente (aumentabili fino al


triplo o fino al maggior importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito)


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000 (aumentabili fino a dieci volte il prodotto o il profitto, laddove


questo sia di rilevante entità)


 


Si precisa che, a differenza del corrispondente reato di cui all’art. 185 TUF, è rilevante la diffusione tramite mezzi di informazione (compreso Internet) di informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. Non è invece prevista la condotta tipicamente dolosa dell’intento ingannatorio derivante dal porre “in essere operazioni simulate o altri artifizi”, caratteristico del corrispondente reato, mentre si noti che le notizie possono essere anche semplicemente fuorvianti.


A differenza di quanto previsto dall’art 185 TUF, per l’integrazione dell’illecito amministrativo in esame non occorre che le notizie diffuse siano di idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, risultando sufficiente la loro falsità.


 


Si noti infine che l’elenco dei comportamenti di cui all’articolo non è definitivo, ma potrà essere integrato da


Consob.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel diffondere nell’apposita sezione del sito internet dell’emittente un comunicato stampa difforme rispetto a quello diffuso al mercato per il tramite dei canali istituzionali, senza intervenire per la correzione del primo comunicato, di natura in tal senso fuorviante.


 


 



  • Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25-septies)


L’articolo 25 – septies del D. Lgs. 231/01, come modificato dall’art. 300 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, così recita:


 



  1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 5581, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

  2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’art. 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un


 


81 Art. 55. Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente



  1. è punito con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 500 a 6.400 euro il datore di lavoro:

    1. per la violazione dell’articolo 29, comma 1);

    2. che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), o per la violazione dell'articolo 34, comma 2;



  2. Nei casi previsti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell'arresto da quattro mesi a otto mesi se la violazione è commessa:

    1. nelle aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f). g);

    2. in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all'articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;

    3. per le attività disciplinate dal titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.



  3. omissis

  4. omissis

  5. omissis

  6. omissis


 


Si ricorda che l’articolo 29, comma 1 recita:


“Art. 29. Modalità di effettuazione della valutazione dei rischi



  1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all'articolo ”


Per completezza, si precisa che l’art. 31, comma 6, elenca una serie di attività maggiormente a rischio, nelle quali è obbligatoria in ogni caso l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva. In particolare si citano i casi di aziende industriali di cui all’art. 2 del D.lgs 17 agosto 1999, n. 334 e successive modifiche ed integrazioni (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto; delle centrali termoelettriche; degli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del Dlgs 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni (Attuazione delle direttive EURATOM 80 / 836, 84 / 467, 84 / 466, 89 / 618, 90 / 641 e 92 / 3 in materia di radiazioni ionizzanti); delle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; delle aziende estrattive con oltre 50 lavoratori; delle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.


L’articolo 268 del Decreto classifica gli agenti biologici e in particolare le lettere c) e d) classificano gli agenti del gruppo 3 (agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche) o del gruppo 4 (agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche).


I rischi da atmosfere esplosive sono disciplinati dal Titolo XI del D. Lgs. 81/08.


I rischi da esposizione a sostanze pericolose dei tipi cancerogeni e mutageni sono disciplinati dal Titolo IX, Capo II del D. Lgs. 81/08.


I rischi da esposizione alle attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto sono disciplinati dal Titolo IX, Capo III del D. Lgs. 81/08.


Le attività disciplinate dal Titolo IV, caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno, sono quelle relative ai cantieri temporanei e mobili.


 


 



  1. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – septies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 589 c.p. Omicidio colposo

  • 590 c.p. Lesioni personali colpose;


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 589 Omicidio colposo


 


Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.


Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.


Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.


Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.


 


Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 589 c.p. commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e


sicurezza sul lavoro, da € 64.400 a € 774.500.


Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 589 c.p. commesso con violazione dell’art. 55, comma 2 del Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro la sanzione pecuniaria è prevista nella misura fissa di € 1.549.000. Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi.


 


Il reato si consuma nel momento in cui si verifica la morte ed è un reato comune, che può essere commesso da chiunque.


 


L’elemento oggettivo consiste in una condotta che si sostanzia nel cagionare la morte di taluno a causa di un qualunque comportamento colposo, vale a dire contrario alle regole cautelari imposte dall’ordinamento giuridico.


 


È circostanza aggravante del reato comune l’aver violato le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro; similarmente si ricorda che la responsabilità dell’ente è possibile soltanto se il reato si consuma in violazione delle norme anti-infortunistiche e a tutela dell’igiene e della salute sul lavoro.


 


A seguito della Legge n. 3/2018 viene inserita quale ulteriore circostanza aggravante l’aver commesso il fatto nell’esercizio abusivo di una professione per la quale sia richiesta una abilitazione speciale dello Stato o un’arte sanitaria.


 


Il tema è stato oggetto di numerosi interventi normativi. Innanzitutto, l'art. 3, 1° co., D.L. 13.9.2012, n. 158, convertito in L. 8.11.2012, n. 189, ha escluso espressamente la responsabilità per colpa lieve dell'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attenesse a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, fermo restando l'obbligo di risarcimento civilistico ex art. 2043


c.c. Tale disposizione è stata successivamente abrogata dall'art. 6, L. 8.3.2017, n. 24, che ha contestualmente


 


 


introdotto nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, sulla responsabilità del sanitario per omicidio e lesioni personali colpose. La riforma del 2017 ha nuovamente escluso qualsiasi rilevanza alla distinzione tra colpa grave e colpa lieve nella responsabilità medico-chirurgica ed ha istituito un sistema di riconoscimento formale delle linee guida e delle buone pratiche mediche che assumono rilevanza nella valutazione della responsabilità colposa.


 


Art. 590 Lesioni personali colpose


 


Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.


Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.


Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.


Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.


Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pensa della reclusione non può superare gli anni cinque.


Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.


 


Sanzioni pecuniarie: delitto ex art. 590 comma 3 commesso con violazione delle norme sulla tutela della


salute e sicurezza sul lavoro da € 25.800 a € 387.250


Sanzioni interdittive: da 3 a 6 mesi


 


Nel caso di specie l’interesse tutelato è l’incolumità fisica della persona. La condotta consiste in un qualsiasi comportamento colposo dal quale deriva una lesione personale di natura grave o gravissima, a norma dell’articolo 583 del codice civile.


 


La lesione è grave quando dal fatto deriva:


 



  • una malattia che mette in pericolo la vita della persona;

  • un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni;

  • l’indebolimento permanente di un senso o di un organo.


 


La lesione è gravissima quando dal fatto deriva:


 



  • una malattia certamente o probabilmente insanabile;

  • la perdita di un senso;

  • la perdita di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile;

  • la perdita dell’uso di un organo;

  • la perdita della capacità di procreare;

  • una permanente e grave difficoltà della favella;

  • la deformazione del viso;

  • lo sfregio permanente del viso.


 


Inoltre, nell’art. 25-septies, lo specifico richiamo al comma 3 dell’art. 590 c.p., il quale individua una circostanza aggravante ad effetto speciale soltanto nella violazione delle norme “per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” e non anche in quelle sulla tutela dell’igiene e della salute del lavoro, potrebbe far sorgere il dubbio in ossequio al principio di stretta legalità di cui all’art. 2 del D. Lgs. 231/01, che non sia ravvisabile la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alla fattispecie di lesioni colpose gravi o gravissime derivanti da malattia professionale.


 


Tuttavia, a favore di un’interpretazione estensiva, che ricomprenda nelle lesioni colpose gravi o gravissime anche le malattie professionali, si può richiamare quella giurisprudenza che in tema di infortuni sul lavoro tende a far coincidere il concetto infortunio-malattia, nonché il riferimento testuale dell’art. 25-septies alle norme “a tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”, che induce a ritenere che il legislatore abbia inteso, con


 


 


riguardo alle lesioni colpose gravi o gravissime, estendere la responsabilità degli enti alle malattie professionali.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel causare una mutilazione che renda inservibile un braccio di una persona, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza di norme concernenti la disciplina della circolazione stradale, causando un sinistro in corrispondenza del passaggio pedonale, a causa dell’alta velocità.


 



  • Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (art. 25-octies)


 


L’art. 25-octies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio”, introdotto all’interno dell’ambito applicativo della responsabilità amministrativa degli enti dal D. Lgs. 231/2007 e recentemente modificato ed integrato dalla L. 186/2014, così recita:


 



  1. In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000

  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a due

  3. In relazione agli illeciti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero della giustizia, sentito il parere dell’UIF, formula le osservazioni di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, 231.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – octies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 648 c.p. Ricettazione;

  • 648-bis c.p. Riciclaggio;

  • 648-ter c.p. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;

  • 648-ter.1 c.p. Autoriciclaggio.


 


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


 


Art. 648 Ricettazione


 


Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis). (3)


 


La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità.


 


Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.


 


 


Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e


€ 1.549.000.


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale ipotesi di reato si realizza non solo nel momento dell’acquisto, della ricezione o dell’occultamento del denaro o di beni ma anche nel momento dell’intromissione. Infatti, la fattispecie criminosa in questione punisce penalmente anche il soggetto che in qualsiasi modo interviene, anche come semplice intermediario nel negozio di acquisto di cose provenienti dal delitto, o a qualsiasi titolo interviene nel loro occultamento. Inoltre, il reato di ricettazione si configura anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.


Si precisa che:



  • presupposto indefettibile ai fini della configurabilità della fattispecie in esame è l’esistenza di un delitto presupposto (ma non è necessario che tale reato sia giudizialmente accertato) dal quale provengono le cose oggetto dell’azione Occorre, infatti, ai sensi della norma in esame, che il bene oggetto di ricettazione provenga dalla violazione di una fattispecie delittuosa, non essendo sufficiente ad integrare gli estremi del reato in esame la condotta effettuata sul prodotto di una contravvenzione o di un illecito amministrativo. Non è invece necessario che il bene provenga dalla commissione di un delitto appartenente alla famiglia dei reati contro il patrimonio, ben potendo il reato presupposto essere posto a tutela di un qualsiasi altro bene giuridico;

  • l’elemento oggettivo del reato consiste nel:

    • eseguire qualsiasi attività negoziale che consente di trasferire il possesso del bene, gratuitamente o dietro pagamento di un corrispettivo, da un soggetto ad un altro;

    • conseguire il possesso del bene in maniera diversa da quella precedentemente esposta;




o nascondere e/o occultare il bene dopo averlo avuto a disposizione;


o mettere in relazione il soggetto che ha commesso il reato presupposto e colui che esegue la condotta tipica della ricettazione;



  • oggetto materiale del reato è, come in parte già anticipato, il prezzo, il frutto o il prodotto di un altro delitto;

  • l’elemento soggettivo è il dolo specifico, perché oltre alla coscienza e volontà del fatto tipico, vi è l’ulteriore scopo di procurare a sé o ad altri un


 


 


Con l’art.8 del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, rubricato “Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione”, è stata introdotta l’aggravante specifica di cui al secondo periodo del primo comma, nel caso in cui oggetto del reato sia provento di rapina o di estorsione aggravate ai sensi dell’art. 628, comma 3, c.p.82 o si tratti di componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’acquistare dei beni o delle materie prime che provengono da un furto83, con conseguente vantaggio economico derivante dal minor costo sostenuto.


 


 


82 Art. 628 c.p. Rapina. “[omissis]


La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098:



  • se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;

  • se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire;

  • se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416- bis;


3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;


3-ter) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;


3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena


fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro; 3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne;


3-sexies) se il fatto è commesso in presenza di un minore”.


83 Al fine della configurabilità del reato è sufficiente che si abbia la certezza dell’esistenza del delitto da cui proviene il bene, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti; secondo una parte della dottrina è configurabile anche il dolo eventuale, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema della provenienza forse illegittima del bene, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità di


 


 


 


Art. 648-bis Riciclaggio


 


Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 a euro 25.000.


 


La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.


La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.


 


Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.


Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e


€ 1.549. 000.


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale ipotesi di reato “comune” tutela il “patrimonio” e “l’ordine economico” attraverso la punibilità di


comportamenti atti a sfruttare capitali illegittimamente acquisiti mettendoli in circolazione sul mercato. Si precisa che:



  • la condotta incriminata presuppone l’esistenza di un reato che non necessariamente deve avere ad oggetto la creazione di capitali illeciti, ma può consistere in qualsiasi delitto non colposo, compreso lo stesso riciclaggio (cd. Riciclaggio indiretto). Anche in questo caso, come per la ricettazione, si richiede che il reato presupposto abbia natura delittuosa;

  • l’elemento oggettivo della fattispecie in esame consiste nel:

    • rimpiazzare o trasferire la titolarità di denaro o altri beni provenienti da un reato;

    • compiere azioni volte ad ostacolare l’accertamento della provenienza illecita del denaro, dei




beni o di altre utilità derivanti dalla commissione di altri reati.



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, caratterizzato dalla coscienza e volontà del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;

  • costituisce circostanza aggravante l’aver agito nell’esercizio di un’attività professionale, mentre costituisce circostanza attenuante la provenienza dei proventi da un delitto – presupposto - per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’accettare in pagamento denaro che provenga da una attività


illecita84, così ostacolando la provenienza delittuosa.


 


 


Art. 648-ter Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita


Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.


La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.


La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’articolo 648. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.


 


 


 


una sua provenienza delittuosa; se invece è rimproverabile una mera negligenza, si applicherebbe il reato di


cui all’art. 712 c.p. – Acquisto di cose di sospetta provenienza.


84 Al fine della configurabilità del reato è sufficiente che si abbia la certezza dell’esistenza del delitto da cui proviene il denaro, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti; secondo una parte della dottrina è configurabile anche il dolo eventuale, ovvero quando l’agente, pur ponendosi il problema della provenienza forse illegittima del denaro, lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza della soluzione, accettando l’eventualità di una sua provenienza delittuosa.


 


 


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.


Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della


reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e


€ 1.549.000.


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


 


Tale ipotesi di reato tutela il “patrimonio” e “l’ordine economico” attraverso la punibilità di comportamenti


atti a turbare la libera concorrenza nel mercato. Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo consiste nell’investire, a scopo di lucro, in via continuativa, denaro beni o altre


utilità provenienti da delitto;



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, caratterizzato dalla coscienza e volontà del fatto tipico previsto


dalla norma incriminatrice;



  • la norma in esame trova applicazione soltanto quando non sono configurabili i delitti di ricettazione e riciclaggio, si tratta infatti di fattispecie sussidiaria;


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nell’utilizzare nel processo produttivo i beni o le materie prime


che provengono da un furto.


 


 


Art. 648-ter.1 Autoriciclaggio (85)


Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.


Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.


Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.


Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.


La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.


La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.


Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.239.200.


Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della


reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria prevista è compresa tra € 103.200 e


€ 1.549.000.


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


La Legge n. 186 del 15 dicembre 2014 ha introdotto nel sistema penale il delitto di autoriciclaggio, accogliendo quindi le raccomandazioni internazionali (ed in particolare dalla Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione e la Convenzione Onu, ratificate in Italia con la legge 28 giugno 2012 n. 110 e con la legge 16 marzo 2006 n. 146) che già prevedevano l’autoriciclaggio come ipotesi delittuosa autonoma.


 


Va evidenziato che:


 


 


85 La fattispecie incriminatrice in esame è stata introdotta all’interno dell’ordinamento penale italiano dall’art.


3, comma 3, L. 15 dicembre 2014, n. 186.


 


 



  • l’elemento oggettivo si sostanzia nella condotta dell’autore di un delitto non colposo che impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti da tale delitto;

  • si tratta di un reato proprio che si discosta dalle fattispecie di “riciclaggio” e di “reimpiego” proprio per la qualifica soggettiva del suo soggetto agente che deve necessariamente coincidere con il soggetto autore del reato dal quale derivano le risorse da impiegare, sostituire, trasferire o con un suo concorrente;

  • il reato si consuma nel momento in cui vengano poste in essere le azioni di impiego, sostituzione e trasferimento, senza che rilevi che le stesse riescano effettivamente ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni su cui si estrinsecano, risultando sufficiente la loro idoneità a tale scopo;

  • l’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, caratterizzato dalla coscienza e volontà


del fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice;



  • è prevista una condizione di non punibilità nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale;

  • costituisce circostanza aggravante il caso in cui i fatti siano stati commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale, mentre opera una circostanza attenuante specifica nei casi in cui l’autore del reato si adoperi “per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto”;

  • è previsto che il reato di autoriciclaggio trovi applicazione anche qualora l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non sia imputabile o punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale


 


Un esempio interessante in cui potrà trovare applicazione la nuova fattispecie incriminatrice è l’ipotesi di chi presenta una dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. n. 74/2000. In questo caso, il denaro proveniente da tale delitto è l’imposta risparmiata per effetto della condotta evasiva. Se il contribuente che ha commesso il reato (delitto non colposo) impiega tali proventi nell’ambito di attività imprenditoriali o di attività finanziarie, oltre al reato di dichiarazione infedele sarà integrato anche quello di autoriciclaggio.


 


 



  • Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (art. 25-novies)


 


L’art. 25-novies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Delitti in materia di violazione del diritto d’autore”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 171, primo comma, lettera a-bis) e terzo comma, 171-bis, 171-ter, 171-septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, 633, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.

  2. Nel caso di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 174- quinquies della citata legge 633 del 1941.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi;



  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art 25-novies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 171 commi 1 lett. a-bis) e 3 L. 633/41

  • 171-bis L. 633/41

  • 171-ter L. 633/41

  • 171-septies L. 633/41

  • 171-octies L. 633/41


 


Tali fattispecie di reato sono previste dal Titolo II, Capo III, Sezione II – dedicata alle “Difese e sanzioni penali”



  • della 22 aprile 1941, n. 633 in tema di “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.


 


Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 171 commi 1 lett. a-bis) e 3


 


Salvo quanto disposto dall’art. 171-bis e dall’articolo 171-ter è punito con la multa da euro 51 a euro


2.065 chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma:


 


(…omissis)


 


a-bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante


connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;


 


(…omissis)


 


La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a euro 516 se i reati di cui sopra sono commessi sopra un’opera altrui non destinata alla pubblicazione, ovvero con usurpazione della paternità dell’opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera medesima, qualora ne risulti offesa all’onore od alla reputazione dell’autore.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


 


La disposizione è volta a tutelare il diritto d’autore da abusive riproduzioni ed esecuzioni delle opere protette.


Il comma 1 lett. a-bis) dell’art. 171 è prevalentemente diretto alla tutela del diritto patrimoniale d’autore,


inteso come diritto allo sfruttamento esclusivo a fini commerciali dell’opera dell’ingegno.


Si precisa che:


 


 



  • si tratta di un reato comune, che può essere perpetrato da parte di chiunque;

  • l’elemento oggettivo del reato consiste nella diffusione tra il pubblico di un’opera protetta dal diritto d’autore o di una sola parte di essa, attraverso l’immissione della stessa in un sistema di reti Si tratta di un reato a forma libera, poiché si consuma indipendentemente dalle modalità concrete di realizzazione della fattispecie, tuttavia ai fini dell’integrazione del reato è necessario che l’opera sia diffusa tramite un sistema di reti telematiche (i.e. internet) ed è punibile soltanto il soggetto che per primo l’abbia immessa in tale sistema;

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo generico. Ai fini della configurazione del reato, infatti, non rileva lo scopo personale dell’agente (l’eventuale fine di ottenere un profitto) né l’uso dell’opera che si consente al pubblico mediante la


 


 


La previsione di cui al comma 3 dell’art. 171 è posta a tutela dei diritti morali e personali dell’autore, ma non introduce un’ipotesi autonoma di reato bensì una circostanza aggravante di tutte le fattispecie previste al comma 1.


Ai fini del riconoscimento della responsabilità amministrativa dell’ente, la circostanza aggravante in questione, configurabile nei casi in cui la condotta sia realizzata su di “un’opera altrui non destinata alla pubblicazione”, ovvero “con usurpazione della paternità dell’opera” oppure “con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera medesima” e soltanto se dalla stessa derivi “offesa all’onore e alla reputazione dell’autore”, rileva solo se innestata sulla condotta prevista e punita dal comma 1 lett. a-bis).


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita di tipo omissivo nell’immettere tramite peer-to-peer ovvero caricare su un sito web opere dell’ingegno altrui, per esempio un articolo oppure un’opera cinematografica, senza averne diritto.


 


 


Art. 171-bis


 



  1. Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 582 a euro 15.493. La stessa pena si applica se il fatto concerne qualsiasi mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione funzionale di dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità.


 



  1. Chiunque, al fine di trarne profitto, su supporti non contrassegnati SIAE riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero esegue l’estrazione o il reimpiego della banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 102-bis e 102-ter, ovvero distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati, è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 582 a euro 15.493. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


Le fattispecie incriminatrici sono state descritte dal legislatore in maniera analitica al fine di adeguare perennemente l’apparato normativo alla rapida evoluzione tecnologica. In tal modo, è stata apprestata una forma di tutela diffusa da condotte illecite che hanno come oggetto software o il contenuto di banche dati illegittimamente riprodotti su supporti non contrassegnati dalla SIAE.


 


Per quanto concerne il reato introdotto dal primo comma della norma in esame, si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo è costituito dalla duplicazione abusiva di software, o dall’importazione, dalla


distribuzione, dalla vendita, dalla detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale, o dalla


 


 


concessione in locazione di programmi contenuti su supporti non contenenti il contrassegno della SIAE86;



  • ai fini dell’integrazione del reato la duplicazione deve essere effettuata abusivamente, ovvero l’autore del reato deve creare copie di un determinato programma informatico in mancanza di autorizzazione o in violazione delle disposizioni poste a tutela del diritto di autore sul programma stesso;


o la mera detenzione di un programma contenuto su un supporto non contrassegnato non costituisce condotta illecita ai sensi della norma in esame. Ai fini della configurabilità del reato è infatti richiesto che la detenzione avvenga per scopo commerciale o imprenditoriale87;



  • oggetto materiale del reato sono i programmi informatici contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), oppure qualsiasi mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione funzionale di dispositivi applicati a disposizione di un programma informatico;

  • l’elemento soggettivo del reato è il dolo Si richiede infatti che il soggetto attivo agisca al fine di trarre profitto dalla realizzazione della condotta criminosa.


 


Con riferimento al reato introdotto dal secondo comma della norma in esame si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo consiste nel:

    • riprodurre, trasferire, distribuire, comunicare o dimostrare in pubblico il contenuto di una banca dati in violazione delle previsioni contenute negli 64-quinquies e 64-sexies della l. 633/1941, e quindi in assenza dell’autorizzazione del costitutore della banca dati stessa. Le condotte assumono rilevanza quando prevedono l’impiego di un supporto non contrassegnato SIAE88;

    • eseguire l’estrazione o il reimpiego di una banca dati in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 102-bis e 102-ter della l. 633/1941. Per “estrazione” di una banca dati si intende “il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma”. Per “reimpiego” si intende invece “qualsivoglia forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione effettuata con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma”. Tali attività acquistano rilevanza ai sensi della norma in esame quando il supporto su cui i dati vengono trasferiti non sia contrassegnato SIAE e quando le stesse contravvengano all’espresso divieto del costitutore della banca dati stessa o quando esse presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca di dati o arrechino un pregiudizio ingiustificato al costitutore della banca di dati (artt. 102-bis e 102-ter della l. 633/1941);

    • distribuire, vendere o concedere in locazione una banca dati;



  • l’oggetto del reato è costituito da una banca dati e dal suo Ai sensi dell’art. 2 n. 9) della l. 633/1941 per “banche dati” devono intendersi “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo”;


 


 


86 La normativa sul diritto d’autore, al fine di tutelare gli autori e gli editori di opere dell’ingegno, ha previsto che, allo scopo di garantirne e tutelarne l’originalità, tutti i supporti materiali contenenti opere dell’ingegno siano contrassegnati dal marchio della Società italiana degli autori e degli editori (SIAE). La disciplina di tale obbligo è contenuta nell’art. 181-bis della L. 633/1941, sotto riportato.


Art. 181-bis. “1. Ai sensi dell'articolo 181 e agli effetti di cui agli articoli 171-bis e 171-ter, la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) appone un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni supporto contenente suoni, voci p immagini in movimento, che reca la fissazione di opere o di parti di opere tra quelle indicate nell'articolo 1, primo comma, destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro. Analogo sistema tecnico per il controllo delle riproduzioni di cui all'articolo 68 potrà essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate.



  1. Il contrassegno è apposto sui supporti di cui al comma 1 ai soli fini della tutela dei diritti relativi alle opere dell'ingegno, previa attestazione da parte del richiedente dell'assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d'autore e sui diritti connessi. In presenza di seri indizi, la SIAE verifica, anche successivamente, circostanze ed elementi rilevanti ai fini dell'apposizione.


(…omissis)”


87 . “È da escludere la responsabilità penale del legale rappresentante di uno studio associato che detiene software privi del marchio Siae. Per configurare il reato di cui all'art. 171 bis l. n. 633/41 non è sufficiente il fine di trarre profitto dall'uso del software-pirata; la detenzione di programmi senza licenza da parte del professionista non integra la fattispecie criminosa perché manca lo scopo commerciale o imprenditoriale sanzionato dalla norma incriminatrice” (Cass. Pen., sez. III, 28 ottobre 2010, n.42429).


88 Per maggiori informazioni sul contrassegno SIAE si veda supra.


 


 



  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo Il soggetto attivo


deve infatti realizzare la condotta criminosa allo scopo di trarne un profitto.


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel riprodurre illecitamente software al fine di vendita, ma anche nel riprodurre ed utilizzare software illecitamente oppure oltre i limiti della licenza all’interno della propria organizzazione al fine di ottenere un vantaggio economico, per esempio dovuto all’immediato risparmio sul relativo costo di acquisto del software.


 


 


Art. 171-ter


 



  1. È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 582 a euro 15.493 chiunque a fini di lucro:



  1. abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento;

  2. abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati;

  3. pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, o distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico le duplicazioni o riproduzioni abusive di                        cui    alle                    lettere          a)                   e                     b);

  4. detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della radio o della televisione con qualsiasi procedimento, videocassette, musicassette, qualsiasi supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, od altro supporto per il quale è prescritta, ai sensi della presente legge, l’apposizione di contrassegno da parte della Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.), privi del contrassegno medesimo o dotati di contrassegno contraffatto o                                                            alterato;

  5. in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad                                   accesso    condizionato;

  6. introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, installa dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l’accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del canone


f-bis) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure. Fra le misure tecnologiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti dell’autorità amministrativa o giurisdizionale;



  1. h) abusivamente rimuove o altera le informazioni elettroniche di cui all’articolo 102 quinquies, ovvero distribuisce, importa a fini di distribuzione, diffonde per radio o per televisione, comunica o mette a disposizione del pubblico opere o altri materiali protetti dai quali siano state rimosse o alterate le informazioni elettroniche


 



  1. È punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 582 a euro 15.493 chiunque:



  1. riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d’autore e                              da                              diritti                           connessi; a-bis) in violazione dell’art. 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore,                                o                                parte                                di                            essa;

  2. esercitando in forma imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi, si rende colpevole dei                  fatti                  previsti                  dal                  comma       1;

  3. promuove o organizza le attività illecite di cui al comma


 



  1. La pena è diminuita se il fatto è di particolare tenuità.


 



  1. La  condanna     per     uno      dei      reati      previsti      nel      comma      1      comporta:



  1. l’applicazione delle pene accessorie di cui agli articoli 30 e 32-bis del codice penale;


 


 



  1. la pubblicazione della sentenza in uno o più quotidiani, di cui almeno uno a diffusione nazionale, e in uno                       o                       più                       periodici    specializzati;

  2. la sospensione per un periodo di un anno della concessione o autorizzazione di diffusione


radiotelevisiva per l’esercizio dell’attività produttiva o commerciale.


 



  1. Gli importi derivanti dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai precedenti commi sono versati all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i pittori e scultori, musicisti, scrittori ed autori


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


Come per l’ipotesi di reato precedentemente analizzata, anche la descrizione delle condotte tipiche nell’art. 171-ter appare molto dettagliata e variegata: i comportamenti sanzionati concernono sia ipotesi di duplicazione e riproduzione di opere tutelate dal diritto d’autore, sia la diffusione, in senso lato, dell’opera stessa.


Le numerose condotte sanzionate si inseriscono nell’ottica di una pretesa “panpenalizzazione” che il


legislatore degli ultimi anni ha perseguito nei confronti della tutela del diritto di autore.


Per l’individuazione dell’elemento oggettivo della fattispecie in esame appare opportuno rimandare direttamente al testo normativo, che essendo molto dettagliato e variegato è già di per sé idoneo a far comprendere le numerose condotte incriminate.


La lunga disposizione tende alla tutela di una serie numerosa di opere dell’ingegno, atte a costituire volta per volta oggetto del reato in esame: opere destinate al circuito radiotelevisivo e cinematografico, incorporate in supporti di qualsiasi tipo contenenti fonogrammi e videogrammi di opere musicali, ma anche opere letterarie, scientifiche o didattiche.


A restringere l’ambito di applicabilità della disposizione, però, vi sono due requisiti: il primo è che le condotte siano poste in essere per fare un uso non personale dell’opera dell’ingegno, e il secondo è che la condotta dell’agente sia sorretta dal dolo specifico, costituito dallo scopo di lucro necessario per integrare il fatto tipico.


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel trasmettere abusivamente a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, o nel trasmettere a mezzo della radio, o nel far ascoltare in pubblico un’opera cinematografica o musicale altrui, al fine di ottenere un vantaggio economico, per esempio dovuto all’immediato risparmio derivante dall’utilizzo di opere destinate alla proiezione o utilizzo domestico.


 


 


Art. 171-septies


 



  1. La pena di cui all’articolo 171-ter, comma 1, si applica anche:



  1. ai produttori o importatori dei supporti non soggetti al contrassegno di cui all’articolo 181-bis, i quali non comunicano alla SIAE entro trenta giorni dalla data di immissione in commercio sul territorio nazionale o di importazione i dati necessari alla univoca identificazione dei supporti medesimi;

  2. salvo che il fatto non costituisca più grave reato, a chiunque dichiari falsamente l’avvenuto assolvimento degli obblighi di cui all’articolo 181-bis, comma 2, della presente


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


La disposizione estende le pene previste dall’art. 171-ter ai produttori e agli importatori che non comunicano alla SIAE, entro trenta giorni dalla data di importazione o di immissione in commercio sul territorio nazionale, i dati necessari all’univoca identificazione dei supporti non soggetti al contrassegno di cui all’art. 181- bis lett. a) l. n. 633 del 1941, e a chiunque dichiari falsamente l’assolvimento dei predetti obblighi.


La disposizione in esame è posta a tutela delle funzioni di controllo della SIAE, in un’ottica di tutela anticipata


del diritto d’autore.


La norma in esame introduce due diverse ipotesi di reato.


Con riferimento al reato introdotto dalla lettera a) si precisa che:



  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso soltanto da chi produce e chi importa nel


territorio dello Stato supporti non soggetti all’obbligo di contrassegno SIAE89;


 


89 Per maggiori informazioni sul contrassegno SIAE si veda supra il paragrafo relativo all’art. 171-bis della L. 633/1941.


 


 



  • la portata della norma si coglie esclusivamente alla luce della regolamentazione del contrassegno SIAE e delle eccezioni all’obbligo dell’apposizione stabilite dall’art. 181-bis e del relativo regolamento di attuazione (D.P.C.M. 23 febbraio 2009, 31). L’ambito di applicazione del reato in esame è infatti circoscritto alle ipotesi in cui il supporto contenente un’opera dell’ingegno non sia soggetto all’obbligo di recare il contrassegno della Società italiana degli autori e degli editori (SIAE). Ciò accade, a norma dell’art. 181-bis comma 3 della L. 633/1941 quando “fermo restando l’assolvimento degli obblighi relativi ai diritti di cui alla presente legge, il contrassegno, secondo modalità e nelle ipotesi previste nel regolamento di cui al comma 4, che tiene conto di apposite convenzioni stipulate tra la SIAE e le categorie interessate, può non essere apposto sui supporti contenenti programmi per elaboratore disciplinati dal decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 518, utilizzati esclusivamente mediante elaboratore elettronico, sempre che tali programmi non contengano suoni, voci o sequenze di immagini in movimento tali da costituire opere fonografiche, cinematografiche o audiovisive intere, non realizzate espressamente per il programma per elaboratore, ovvero loro brani o parti eccedenti il cinquanta per cento dell’opera intera da cui sono tratti, che diano luogo a concorrenza all’utilizzazione economica delle opere medesime. In tali ipotesi la legittimità dei prodotti, anche ai fini della tutela penale di cui all’articolo 171-bis, è comprovata da apposite dichiarazioni identificative che produttori e importatori preventivamente rendono alla SIAE”;

  • l’elemento oggettivo della fattispecie è costituito dall’omessa comunicazione alla SIAE entro trenta giorni dalla data di immissione in commercio sul territorio nazionale o di importazione i dati necessari alla univoca identificazione dei supporti non soggetti all’obbligo di essere contrassegnati. Si tratta pertanto di un reato di pericolo che si consuma con la mera violazione di tale obbligo;

  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generico, inteso come


coscienza e volontà di non effettuare una comunicazione dovuta.


Con riferimento al reato previsto e punito dalla lettera b) della norma in esame si specifica che:



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque;

  • l’elemento oggettivo si sostanzia nella falsa attestazione, da parte di colui che richiede l’apposizione del contrassegno SIAE, dell’assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. Anche in questo caso si tratta di un reato di pericolo, non essendo necessario che si verifichi un danno effettivo per il titolare del diritto d’autore;

  • si tratta di un’ipotesi di reato sussidiaria, come può evincersi dalla clausola “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”;

  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato in esame è il dolo


 


Art. 171-octies


 



  1. Qualora il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 25.822 chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale

  2. La pena non è inferiore a due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


La norma in commento prevede l’applicazione di sanzioni penali nei confronti di chiunque, a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza, per uso pubblico e privato, apparecchi atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato.


Si specifica che:



  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito da una pluralità di condotte eterogenee quali la produzione, la messa in vendita, l’importazione, la promozione, l’istallazione, la modifica, e l’utilizzo sia pubblico che privato di un particolare tipo di strumento;

  • oggetto del reato in esame sono gli apparati, o le parti di apparati, volti a decodificare trasmissioni audiovisive rivolte ad un pubblico limitato e selezionato, ovvero tutti quegli strumenti che consentono


 


 


di visualizzare un programma televisivo criptato o di visualizzare canali a pagamento o limitati a determinati utenti;



  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato in esame è il dolo Il soggetto attivo, infatti, oltre a realizzare la condotta consapevolmente e intenzionalmente, deve riproporsi di porre in essere una frode ai danni del titolare dei diritti d’autore sulle trasmissioni audiovisive criptate che gli appartati oggetto del reato sono atti a decodificare.


Giova rilevare che la tutela penale dei programmi ad accesso condizionato è ripartita tra la disposizione in esame e le norme contenute nelle lettere f) e f-bis) dell’art. 171-ter. Gli eventuali problemi di coordinamento si risolvono sulla base del diverso scopo perseguito tramite la realizzazione delle condotte – fine di lucro nell’art. 171-ter e fine fraudolento nell’art. 171-octies.


 



  • Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria


(art. 25-decies)


 


L’art. 25 – decies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni


mendaci all’autorità giudiziaria” così recita:


 



  1. In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 377-bis del codice penale, si applica all’ente


la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.


 


Il reato in commento costituiva già un presupposto per la responsabilità della persona giuridica grazie al rinvio operato dall’art. 10 della L. n. 146 del 2006, ma la rilevanza ai fini del D. Lgs. 231/01 risultava limitata ai casi il cui la condotta fosse stata realizzata in più di uno Stato o con l’implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività illecite in più Stati.


 


Con il recente intervento normativo, invece, tale fattispecie delittuosa implica la responsabilità dell’ente


indipendentemente dal requisito della transnazionalità.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25 – decies sono i seguenti:


 



  • 377-bis c.p. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci


all’autorità giudiziaria


Gli articoli del codice penale che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 377-bis Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci


all’autorità giudiziaria


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti all’autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


 


 


Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune che può essere commesso da chiunque ponga in essere i comportamenti incriminati. La fattispecie incriminatrice in esame, tuttavia, richiede che a rivestire una speciale qualifica sia il soggetto passivo del reato. Occorre infatti che la condotta incriminata sia posta in essere nei confronti di un soggetto chiamato a rendere dichiarazioni dinanzi all’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale, e che pertanto assuma la qualifica di testimone, persona informata sui fatti, perito, consulente tecnico o interprete, quando questi rientri tra i soggetti che possono avvalersi della facoltà di non rispondere (ad esempio persona sottoposta alle indagini, imputato in procedimento connesso);

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Si tratta di un reato a forma vincolata, in quanto la norma richiede espressamente che la condotta sia realizzata mediante violenza, minaccia, od offerta o promessa di denaro o di altra utilità;

  • il reato si consuma nel momento in cui viene posta in essere la condotta costrittiva o quando il


denaro o l’altra utilità vengono offerti e promessi;


 


 



  • è un reato sussidiario in quanto trova applicazione solo quando la condotta criminosa posta in


essere non è riconducibile ad un’altra più grave figura criminosa;



  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico poiché, in questo caso, è rilevante anche l’ulteriore scopo di indurre taluno a comportarsi in un determinato modo oltre alla previsione e volontà dell’azione.


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita nel chiamare l’imputato, prima dell’esame testimoniale, con una telefonata nella quale questi sia minacciato di subire gravi lesioni personali se, durante la deposizione, dichiari quanto a sua conoscenza.


 


 



  • Reati ambientali (art. 25-undecies)


 


L’art. 25-undecies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Reati ambientali” così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni


pecuniarie:



  1. per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;

  2. per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;

  3. per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;

  4. per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;

  5. per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell’articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote;

  6. per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

  7. per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta


 


1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a)90.



  1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, 152, si applicano


all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:



  1. per i reati di cu all’articolo 137:

    • per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

    • per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento



  2. per i reati di cui all’articolo 256:

    • per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

    • per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

    • per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;



  3. per i reati di cui all’articolo 257:

    • per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

    • per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;



  4. per la violazione dell’articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta


a duecentocinquanta quote;



  1. per la violazione dell’articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a


duecentocinquanta quote;



  1. per il delitto di cui all’articolo 260 (richiamo da intendersi riferito all’art. 452-quaterdecies del codice penale ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo 1 marzo 2018 21), la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;

  2. per la violazione dell’articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;

  3. per la violazione dell’articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta

  4. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, 150, si applicano all’ente le


 


90 Il comma 1 ed il comma 1-bis dell’art. 25-undecies sono stati modificati dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68


“Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente” entrata in vigore il 29 maggio 2015.


 


 


seguenti sanzioni pecuniarie:



  1. per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

  2. per la violazione dell’articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

  3. per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge 150 del 1992, rispettivamente:

    • la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;

    • la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;

    • la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;

    • la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di



  4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall’articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, 549, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

  5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, 202, si applicano


all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:



  1. per il reato di cui all’articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

  2. per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

  3. per il reato di cui all’articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento

  4. Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto


dall’articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.



  1. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e

  2. , si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001,

  3. 231, per una durata non superiore a sei mesi.

  4. Se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, .si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 231.


 


I reati presupposto introdotti dall’art 25-undecies del D. Lgs. 231/01 sono i seguenti:


 



  • 452-bis c.p. Inquinamento ambientale;

  • 452-quater c.p. Disastro ambientale;

  • 452-quinquies c.p. Delitti colposi contro l’ambiente;

  • 452-sexies c.p. Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività;

  • 452-octies c.p. Circostanze aggravanti;

  • 452 quaterdecies c.p. Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti;

  • 727-bis c.p. Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette;

  • 733-bis c.p. Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto;

  • 1 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio di esemplari di specie dell’allegato A;

  • 2 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio degli esemplari di specie dell’allegato B ed allegato


C;



  • 3-bis L. 7 febbraio 1992, n. 150;

  • 6 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Divieto di detenzione di esemplari costituenti pericolo per la


salute e l’incolumità pubblica;



  • 137 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale;

  • 256 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Attività di gestione di rifiuti non autorizzata;

  • 257 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Bonifica dei siti;

  • 258 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari;

  • 259 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Traffico illecito di rifiuti;

  • 260-bis D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti;

  • 279 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sanzioni;

  • 3 L. del 28 dicembre 1993, n. 549 - Misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente


- Cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive;



  • 8 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa


all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento doloso;



  • 9 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa


all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento colposo;


 


 



  • 452-quaterdecies c.p.Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti91.


 


Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


La Legge 22 maggio 2015, n. 68 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” inserisce nel Codice Penale un nuovo titolo (il Titolo VI-bis) dedicato ai delitti contro l’ambiente, all’interno del quale sono previste nuove fattispecie di reato, talune delle quali confluiscono nel novero dei reati presupposto di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/01.


 


Art. 452-bis c.p. Inquinamento ambientale92


 


È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:



  • delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

  • di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della


 


Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.


 


Sanzione pecuniaria: da € 64.500 a € 929.400


Sanzioni interdittive: da 3 a 12 mesi


 


L’art. 452-bis c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del delitto di “inquinamento ambientale”.


 


La definizione di inquinamento data dall’art. 452-bis va parametrata su quella di cui all’articolo 5 del Codice dell’Ambiente (D. Lgs. 152/2006), che definisce l’inquinamento ambientale come “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dal cagionare abusivamente una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sotto-suolo, di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;


o la “compromissione” si distingue dal “deterioramento” per la proiezione dinamica degli effetti, nel senso di una situazione tendenzialmente irrimediabile (compromessa appunto) che può perciò teoricamente ricomprendere condotte causali al tempo stesso minori o maggiori di un’azione di danneggiamento, ma che rispetto a questo abbiano un maggior contenuto di pregiudizio futuro;



  • l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico che consiste nella conoscenza e volontà del soggetto di cagionare una compromissione o deterioramento significativo delle acque o dell’aria, di porzioni estese o significative del suolo o del sotto-suolo, di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;

  • l’aggravante di cui al comma secondo - concepita per l’ipotesi di inquinamento di aree tutelate o in danno di specie animali e vegetali protette - che opera secondo il meccanismo previsto dall’art. 64 p., ossia con aumento della pena sino ad un terzo. Il generico riferimento alle specie “protette” incontra, anche qui, qualche rischio di conflitto con i criteri di certezza e predeterminazione della norma penale; salvo – come probabile – che non si ricorra alla individuazione fornita dall’allegato IV della direttiva 92/43/CE (relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche) e nell’allegato 1 della direttiva 2009/147/CE (concernente la conservazione degli uccelli selvatici), atti però in questa sede legislativa non espressamente richiamati, a differenza di quanto avvenuto con l’introduzione dell’art. 727-bis c.p. in tema di uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali e vegetali selvatiche protette93.


 


 


91 Articolo abrogato dal D. Lgs. n. 21/2018 e sostituito dall’art. 452 quaterdecies c.p. Attività organizzate per


il traffico illecito di rifiuti.


92 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.


93 Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, Settore Penale, Rel. N. III/04/2015;


 


 


Art. 452-quater c.p. Disastro ambientale94


 


Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è


punito con la reclusione da cinque a quindici anni.


 


Costituiscono disastro ambientale alternativamente:



  • l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

  • l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa


e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;



  • l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo95.


Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.


 


Sanzione pecuniaria: da € 103.200 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


 


L’art. 452-quater c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del delitto di “disastro ambientale”.


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo è caratterizzato dal cagionare abusivamente un disastro ambientale; per disastro ambientale si intendono, alternativamente:

    • l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

    • l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e




conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;



  • l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese esposte a pericolo;



  • l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico che consiste nella conoscenza e volontà del soggetto di cagionare un disastro ambientale;

  • il reato in esame, come esplicitato dalla clausola di riserva, è residuarle rispetto al delitto di cui all’articolo


434 c.p.


 


Art. 452-quinquies c.p. Delitti colposi contro l’ambiente96


 


Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.


 


Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale


o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.


 


Sanzione pecuniaria: da € 51.600 a € 774.500


 


Il nuovo art. 452-quinquies c.p. introduce nell’ordinamento giuridico le ipotesi in cui l’inquinamento e/o


disastro siano commessi per colpa, prevedendo una riduzione di pena sino ad un massimo di due terzi.


 


Il secondo comma dell’art. 452-quinquies, aggiunto dal Senato nella penultima lettura e contemplante una ulteriore diminuzione di un terzo della pena per il delitto colposo di pericolo ovvero quando dai comportamenti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater derivi il pericolo di inquinamento ambientale e disastro ambientale.


 


In generale, la norma sembra rispondere all’esigenza di ricomprendere analiticamente ogni condotta


potenzialmente inquinante o disastrosa, sulla scorta della Direttiva Europea sulla protezione penale


 


94 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente. 95 Nella formulazione della fattispecie hanno assunto un ruolo importante – come del resto enunciato in sede di lavori parlamentari – i rilievi contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 327 del 30 luglio 2008. La Corte, in tale occasione, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il principio di determinatezza della formulazione dell’art. 434 c.p. (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), la Corte ha ritenuto necessaria la compresenza di due elementi distinti, il primo dei quali attinente alla natura straordinaria dell’evento di disastro e, il secondo, al pericolo per la pubblica incolumità che da esso deve derivare.


96 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.


 


 


dell’ambiente (Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008) nella misura in cui essa richiede agli Stati


l’incriminazione di quelle condotte da considerarsi “pericolose”.


 


Art. 452-sexies c.p. Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività97


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, ì trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività.


 


La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:



  • delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

  • di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della


 


Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla


metà.


 


Sanzione pecuniaria: da € 64.500 a € 929.400


 


L’art. 452-sexies c.p., introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68, prevede l’inserimento nel nostro


ordinamento giuridico del delitto di “traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività”.


 


Si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato consiste nel cedere, acquistare, ricevere, trasportare, importare, esportare, procurare ad altri, detenere, trasferire, abbandonare o disfarsi illegittimamente di materiale ad alta radioattività;

  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è il dolo generico;

  • la formulazione del secondo comma della disposizione, concernente le aggravanti, riprende la disposizione di cui all’art. 452-bis in tema di inquinamento ambientale. Al riguardo, è dato infatti rilievo penale al pericolo di compromissione o deterioramento delle acque o dell’aria ovvero di porzioni “estese o significative” del suolo o del sottosuolo, ovvero di un “ecosistema”, con l’ulteriore richiamo alla biodiversità anche agraria;

  • al terzo comma, invece, è previsto un ulteriore aggravamento sanzionatorio nelle ipotesi in cui dalla commissione del fatto derivi un pericolo per la vita o per l’incolumità delle


 


 


Art. 452-octies c.p. Circostanze aggravanti98


 


Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.


 


Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate.


 


Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.


 


Sanzione pecuniaria: da € 77.400 a € 1.549.000


 


Il nuovo art. 452-octies c.p. dispone: che sono aumentate le pene previste dall’art. 416 c.p. quando l’associazione è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei reati ambientali previsti dalla novella. La nuova disposizione prevede inoltre un aumento delle pene previste dall’art. 416 bis


c.p. nei casi in cui l’associazione di tipo mafioso è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal titolo VI-bis c.p. ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale. Infine, si prevedono ulteriori aumenti di pena (da un terzo alla metà) se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientali.


 


 


97 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.


98 Articolo introdotto dalla Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente.


 


 


L’introduzione delle circostanze aggravanti ambientali applicabili al reato di associazione a delinquere è chiaramente ispirata – in ottica politico criminale – all’intenzione di contrastare il fenomeno di quelle organizzazioni che generano profitti attraverso la criminalità ambientale.


 


 


Art. 452 quaterdecies c.p. Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti


 



  1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.


 



  1. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto


 



  1. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter, con la limitazione di cui all'articolo


 



  1. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell'ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente.


 



  1. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la


 


Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 77.400 a € 774.500 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 103.200 a € 1.239.200


Sanzioni interdittive: violazione commi 1 e 2, da tre mesi a sei mesi


Interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, nel caso in cui l’ente o una sua unità organizzativa vengano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui al presente articolo


 


L'art. 3, D.Lgs. 1.3.2018, n. 21, in attuazione della delega contenuta all'art. 1, 85° co., lett. q, L. 23.6.2017, n. 103 sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale (su cui si rinvia al commento all'art. 3 bis), ha inserito, all'art. 452 quaterdecies, nel titolo di recente istituzione dedicato ai delitti contro l'ambiente, il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, già previsto all'art. 260, D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, che è stato contestualmente abrogato ma a cui si rimanda ai fini della descrizione del reato in parola.


 


La scelta di introdurre nel codice penale il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti è stata spiegata nella relazione governativa in ragione della autonomia della fattispecie e dei suoi elementi costitutivi rispetto alla disciplina amministrativa dei rifiuti contenuta nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, nonché dell'applicazione a tale delitto di molte delle norme contenute nel nuovo Titolo VI bis, in tema di ravvedimento operoso, confisca, sanzioni accessorie e ablatorie, oltre che dell'attribuzione della competenza per il delitto alla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo.


 


Non vi è correlazione diretta – al di là dell’utilizzo di similare terminologia – con il reato di cui all’art. 259.


 


Occorre precisare che:



  • si tratta di un reato comune, in quanto autore del delitto può essere chiunque. Inoltre si è in presenza di un reato, che seppure si presti ad assumere di fatto carattere associativo e di criminalità organizzata, è monosoggettivo. Non occorre dunque la partecipazione di più persone alla condotta, ben potendo la stessa essere compiuta da un singolo soggetto;

  • l’elemento oggettivo del reato in esame è costituito dallo svolgimento di attività organizzate di gestione abusiva di rifiuti. Ciò che occorre ai fini del reato, infatti, è che l’autore allestisca una struttura organizzativa, di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l’obiettivo Tale struttura non deve necessariamente essere finalizzata alla realizzazione di condotte criminose, ma può altresì essere impiegata per attività del tutto lecite, ed infatti il delitto in esame viene frequentemente perpetrato facendo appoggio su un’impresa autorizzata alla gestione dei rifiuti che abusa del suo titolo abilitativo. La norma in esame, seppure fornisca un’elencazione di attività tipiche che possono essere oggetto dell’organizzazione (cessione, ricezione, trasporto, esportazione e importazione), si appresta in realtà a sanzionare qualsiasi attività organizzata di gestione abusiva, ossia “qualsiasi gestione dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia” (Cass. Sez. V n.40330/2006). L’ambito di applicazione è perciò assai vasto, sebbene incontri come limite il requisito degli “ingenti


 


 


quantitativi di rifiuti” oggetto delle attività. È stato affermato che l’espressione “ingenti quantitativi” fosse eccessivamente vaga e pertanto inidonea a circoscrivere la condotta incriminata, tuttavia la Suprema Corte ha affermato che lo scopo del legislatore fosse evitare irrigidimenti aprioristici e consentire al giudice nella sua valutazione “di tenere conto di una serie di variabili concrete quali la tipologia di rifiuti, la sua qualità e le situazioni specifiche di riferimento” (Cass. Sez. III, 308/2007);si tratta di un reato a dolo specifico, in quanto il soggetto attivo deve agire allo scopo di conseguire un profitto ingiusto, che non deve avere necessariamente natura patrimoniale, ben potendo consistere in un risparmio o in un vantaggio di altra natura.


 


Art. 727-bis c.p. Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette


 


Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a € 4.000,00, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l’ammenda fino a € 4.000,00, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 387.250


 


L’art. 727-bis del codice penale introduce nell’ordinamento giuridico la contravvenzione di “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”.


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito:

    • dall’uccisione, dalla cattura o dalla detenzione di esemplari di specie animali selvatiche protette;

    • dalla distruzione, dal prelievo o dalla detenzione di esemplari di specie vegetale selvatica protetta;



  • ai fini dell’integrazione del reato in esame si richiede che la condotta criminosa riguardi una quantità non trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto non trascurabile sullo stato di conservazione della specie. L’uccisione, la cattura e la detenzione di animali o la distruzione, il prelievo e la detenzione di piante devono avvenire al di fuori dei casi in cui tali condotte siano consentite dalla legge o da altro atto autorizzativo;

  • l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 7 luglio 2011, 121 (Modifiche al codice penale) prevede che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 727-bis del codice penale, per specie animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE”;

  • trattandosi di fattispecie di natura contravvenzionale l’elemento soggettivo richiesto è la Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline;

  • si tratta di un’ipotesi di reato sussidiaria, che si considera integrata salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Per esempio, con riferimento alla condotta di uccisione di esemplari appartenenti a specie animali selvatiche protette, la fattispecie si pone in rapporto sussidiario rispetto al delitto previsto dall’ art. 544-bis c.p. (Uccisione di animali), punito con la pena della reclusione da tre a diciotto mesi, ed integrato da una condotta caratterizzata da crudeltà o senza necessità. Sempre con riferimento alla condotta di uccisione di animale, la nuova fattispecie è destinata a soccombere anche in rapporto a talune fattispecie venatorie punite più severamente, per esempio l’art. 30, comma 1 b), c) ed l) Legge 157/1992), nella parte in cui incrimina l’abbattimento, la detenzione, la cattura di mammiferi o uccelli particolarmente protetti99, o di specifici animali (orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo100), così come il loro commercio o la loro detenzione a fine di commercio. L’art. 727-bis c.p., destinato a soccombere rispetto alle citate fattispecie venatorie e rispetto all’uccisione volontaria di animali (art. 544-bis c.p.), sembra applicabile solo all’uccisione colposa di animali, fuori dell’ambito dell’attività di caccia, oltre che, ovviamente ai casi in cui siano poste in


 


 


99 L’art. 30, co. 1 lett. b) incrimina con l’arresto da due a otto mesi o con l’ammenda da 774 a 2.065 euro chi “abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell’elenco di cui all’art. 2”.


100 L’art. 30, co. 1 lett. c) incrimina con l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da a 1.032 a 6.197


euro chi “abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo”.


 


 


essere le condotte di cattura e detenzione di esemplari di specie animali selvatiche protette o di distruzione, prelievo o detenzione di esemplari di specie vegetali selvatiche protette.


 


 


Art. 733-bis c.p. Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto


 


Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a € 3.000 euro.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 38.700 a € 387.250


 


L’art. 733-bis c.p., novellato dal D. Lgs. 121/2011 introduce nel nostro ordinamento giuridico il reato di


distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto.


Si precisa che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato in esame abbraccia sia le condotte di distruzione dell’habitat, sia di


deterioramento;



  • per “distruzione” deve intendersi il comportamento che renda l’habitat totalmente ed


irreversibilmente inidoneo ad ospitare le specie animali e vegetali di cui era proprio;



  • per aversi “deterioramento” si intende invece la condotta che produca la compromissione dello stato di conservazione. Il concetto sembra da intendersi in senso funzionale più che quantitativo: occorre valutare l’incidenza del deterioramento sulla funzione ecologica rappresentata dall’habitat in questione, fattore che non è necessariamente proporzionale alla quantità del deterioramento in senso La compromissione dello stato di conservazione è da ritenersi tale anche qualora l’habitat possa essere, successivamente, ripristinato, a distanza di tempo significativa, con opere dell’uomo (per esempio, con rimboschimenti e bonifiche) o con il lento passare del tempo (si pensi alla ricrescita spontanea di piante);



  • la condotta descritta è penalmente rilevante quando sia posta in essere “fuori dei casi consentiti”, ovvero in assenza di norme e provvedimenti amministrativi che danno la facoltà o impongono di tenere la condotta tipica, per l’esecuzione per esempio di interventi con finalità anti incendio o per ragioni di pubblica incolumità;

  • ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121 (Modifiche al codice penale) prevede che “habitat all’interno di un sito protetto” sia “qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell’art. 4, paragrafi 1 o 2 della direttiva 2009/147/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE”;

  • anche in questo caso, trattandosi di fattispecie di natura contravvenzionale l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è la colpa. Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o


 


Il reato di danneggiamento di habitat sembra poter concorrere con quello di distruzione o deturpamento di bellezze naturali (art. 734 c.p.), avente diverso bene tutelato, sebbene tali bellezze naturali siano rilevanti nei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità.


 


Deve essere inoltre sottolineato che pur mancando nell’art. 733-bis c.p. la formula “luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità”, propria dell’art. 734 c.p., tutti i luoghi indicati nella prima fattispecie risultano comunque soggetti a vincolo ambientale, con conseguente necessità, per chi intenda modificarne lo stato, di munirsi di previa autorizzazione.


La nuova fattispecie interferisce con le fattispecie penali previste dall’art. 30 della L. 394/1991 (legge quadro sulle aree protette), poste a tutela dei parchi nazionali, delle riserve naturali, sia nazionali che regionali, delle aree marine protette e, secondo la giurisprudenza, anche delle zone umide, delle zone di protezione speciale, delle zone speciali di conservazione e delle altre aree naturali protette”.


 


L’art. 30 della L. 394/1991, al comma 1, primo periodo, prevede la sanzione penale dell’arresto fino a dodici mesi e dell’ammenda da € 103 a € 25.822 per le violazioni delle misure di salvaguardia e del preventivo rilascio del nulla osta per la realizzazione di interventi nelle aree protette; al secondo periodo prevede la sanzione dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda da € 103 a € 12.911 per la violazione del divieto a svolgere determinate attività potenzialmente offensive del patrimonio protetto, tra cui, a titolo esemplificativo la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonché l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale.


 


Tali fattispecie soccombono rispetto al nuovo reato di cui all’art. 733-bis c.p., il quale costituisce figura speciale, riferita a fatti dannosi e più specifici (distruzione e compromissione) rispetto a violazioni più


 


 


generiche delle misure di salvaguardia ovvero attestanti pericoli.


 


Anche dal punto di vista sanzionatorio la nuova fattispecie di reato è punita più severamente rispetto alle


fattispecie dell’art. 30 della L. 394/1991.


 


 


Art. 1 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio di esemplari di specie dell’allegato A


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da € 7.746,85 a € 77.468,53 chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 (relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio) e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate nell’allegato A del Regolamento medesimo e successive modificazioni:

  2. importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ai sensi dell’articolo 11, comma 2a, del Regolamento (CE) 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni;

  3. omette di osservare le prescrizioni finalizzate all’incolumità degli esemplari, specificate in una licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997 (modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commerci) e successive modificazioni;

  4. utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati successivamente;

  5. trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del Regolamento (CE) 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un Paese terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della stessa, ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;

  6. commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997 e successive modificazioni;

  7. detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta


 



  1. In caso di recidiva, si applica la sanzione dell’arresto da tre mesi a due anni e dell’ammenda da € 329,14 a € 103.291,38. Qualora il reato suddetto viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di diciotto mesi.


 


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 38.700 a € 387.250


 


La legge 7 febbraio 1992, n. 150101 disciplina i reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione internazionale sul commercio delle specie animali e vegetali in via d’estinzione firmata a Washington il 3 marzo 1973; la stessa legge prevede una serie di norme per la commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di mammiferi o rettili che possano costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica.


 


La Convenzione di Washington (identificata con l’acronimo C.I.T.E.S. - Convention on International Trade of Endangered Species) regolamenta il commercio, in termini di esportazione, riesportazione, importazione, transito, trasbordo o detenzione a qualunque scopo, di talune specie di animali e piante minacciate di estinzione, nei 130 Paesi che hanno aderito a tale Accordo.


 


L’Unione Europea ha recepito tale Convenzione con il Regolamento CE n.338/97 cui sono seguite, negli anni,


 


101 Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.


 


 


significative modifiche volte a definire sempre più nel dettaglio le specie da proteggere, attraverso la loro classificazione in allegati diversificati.


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato piò sostanziarsi in una pluralità di condotte incriminate, quali:


o esportazione, importazione, riesportazione, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non valido;



  • inosservanza di prescrizioni finalizzate all’incolumità degli esemplari, specificate in una


licenza o in un certificato;



  • utilizzazione di esemplari in modo difforme dalle prescrizioni;


o trasporto o transito senza licenza o certificato;



  • commercializzazione di piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite;

  • attività di detenzione, commercializzazione o cessione di esemplari in assenza di documentazione;



  • oggetto del reato in esame su cui le condotte criminose esplicano i loro effetti sono gli esemplari


appartenenti alle specie elencate nell’allegato A del Reg. CE 338/97102;



  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.


 


Le sanzioni previste sono quelle dell’arresto e dell’ammenda, applicabili congiuntamente in caso di recidiva; in questo ultimo caso, se il reato viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza.


 


 


Art. 2 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Commercio degli esemplari di specie dell’allegato B ed allegato C


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l’ammenda da € 329,14 a € 103.291,38 o con l’arresto da tre mesi ad un anno, chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE)

  2. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996 (relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro Commercio), e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati B e C del Regolamento medesimo e successive modificazioni:

  3. importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ai sensi dell’articolo 11, comma 2a, del Regolamento (CE) 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni;

  4. omette di osservare le prescrizioni finalizzate all’incolumità degli esemplari, specificate in una licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997 (modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commerci), e successive modificazioni;

  5. utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati successivamente;

  6. trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del Regolamento (CE) 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un Paese terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della stessa, ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;

  7. commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997 e successive modificazioni;

  8. detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione, limitatamente alle specie di cui all’allegato B del Regolamento.


 



  1. In caso di recidiva, si applica la sanzione dell’arresto da tre mesi a due anni e dell’ammenda da € 329,14 a € 103.291,38. Qualora il reato suddetto viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di diciotto mesi.


 


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: commi 1 e 2, da € 25.800 a € 387.250


 


Si specifica che:


 



  • l’elemento oggettivo del reato piò sostanziarsi in una pluralità di condotte incriminate, quali:


o esportazione, importazione, riesportazione, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non valido;



  • inosservanza di prescrizioni finalizzate all’incolumità degli esemplari, specificate in una


licenza o in un certificato;



  • utilizzazione di esemplari in modo difforme dalle prescrizioni;


o trasporto o transito senza licenza o certificato;



  • commercializzazione di piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite;

  • attività di detenzione, commercializzazione o cessione di esemplari in assenza di documentazione;



  • oggetto del reato in esame su cui le condotte criminose esplicano i loro effetti sono gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati B e C del CE 338/97103;

  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si


 


 


verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.


 


Le sanzioni previste sono quelle, in alternativa, dell’arresto o dell’ammenda, applicabili congiuntamente in caso di recidiva; in questo ultimo caso, se il reato viene commesso nell’esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza.


 


Art. 3-bis L. 7 febbraio 1992, n. 150


 



  1. Alle fattispecie previste dall’articolo 16, paragrafo 1, lettere a), c), d), e), ed l), del Regolamento (CE)

  2. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive modificazioni, in materia di falsificazione o alterazione di certificati, licenze, notifiche di importazione, dichiarazioni, comunicazioni di informazioni al fine di acquisizione di una licenza o di un certificato, di uso di certificati o licenze falsi o alterati si applicano le pene di cui al libro II, titolo VII, capo III del codice penale.


 


(omissis)


 


L’articolo 3-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150 equipara le falsità o le alterazioni di certificati, licenze, notifiche di importazione, dichiarazioni, comunicazioni di informazioni al fine di acquisizione di una licenza o di un certificato, di uso dei certificati o licenze falsi o alterati agli illeciti previsti dal Libro II, Titolo VII, Capo III del codice penale, in materia di falsità in atti; assumono pertanto particolare rilevanza l’art. 482 c.p. (Falsità materiale commessa dal privato) l’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), l’art. 484 c.p. (Falsità in registri e notificazioni), l’art. 489 c.p. (Uso di atto falso), e l’art. 490 c.p. (Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri).


Per meglio circoscrivere l’ambito applicativo della norma in esame occorre far riferimento al testo dell’art. 16 Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro Commercio104.


 


Art. 6 L. 7 febbraio 1992, n. 150 Divieto di detenzione di esemplari costituenti pericolo per la


salute e l’incolumità pubblica


 



  1. Fatto salvo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1992, 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) è vietato a chiunque detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica.


 



  1. Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro della sanità e con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, stabilisce con proprio decreto i criteri da applicare nell’individuazione delle specie di cui al comma 1 e predispone di conseguenza l’elenco di tali esemplari, prevedendo altresì opportune forme di diffusione dello stesso anche con l’ausilio di associazioni aventi il fine della protezione delle


(omissis)


 



  1. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da € 7.746,85 a € 103.291,38.


(omissis)


 


 


104 Art. 16 Reg. (CE) n. 338/97. Sanzioni.


“1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti adeguati per garantire che siano irrogate sanzioni almeno per


le seguenti violazioni del presente regolamento:



  1. a) introduzione di esemplari nella Comunità ovvero esportazione o riesportazione dalla stessa, senza il prescritto certificato o licenza ovvero con certificato o licenza falsi, falsificati o non validi, ovvero alterati senza l’autorizzazione dell’organo che li ha rilasciati;


(omissis)



  1. falsa dichiarazione oppure comunicazione di informazioni scientemente false al fine di conseguire una licenza o un certificato;

  2. uso di una licenza o certificato falsi, falsificati o non validi, ovvero alterati senza autorizzazione, come mezzo per conseguire una licenza o un certificato comunitario ovvero per qualsiasi altro scopo rilevante ai sensi del presente regolamento;

  3. omessa o falsa notifica all’importazione;


(omissis)



  1. l) falsificazione o alterazione di qualsiasi licenza o certificato rilasciati in conformità del presente regolamento;


(omissis)”.


 


 



  1. Le disposizioni dei commi 1, 3, 4 e 5 non si applicano: a) nei confronti dei giardini zoologici, delle aree protette, dei parchi nazionali, degli acquari e delfinari, dichiarati idonei dalla commissione scientifica di cui all’articolo 4, comma 2, sulla base dei criteri generali fissati previamente dalla commissione stessa; b) nei confronti dei circhi e delle mostre faunistiche permanenti o viaggianti, dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica, sulla base dei criteri generali fissati previamente dalla commissione scientifica di cui all’articolo 4, comma 2.


 


Sanzioni pecuniarie: comma 4, da € 25.800 a € 387.250


L’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150 prevede, fatto salvo quanto stabilito dalle vigenti disposizioni in tema di caccia (Legge 157/92), il divieto di detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica e di esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e la pubblica incolumità.


I criteri da applicare nell’individuazione delle specie di cui al comma 1 dell’art. 6 e l’elenco di tali esemplari sono attualmente disciplinati dal Decreto Ministero dell’Ambiente 19 aprile 1996, come integrato dal Decreto Ministero dell’Ambiente 26 aprile 2001; la giurisprudenza ha sottolineato che si considera specie selvatica sia l’animale di origine selvatica che quello proveniente da nascita in cattività limitata, però, alla prima generazione; similarmente la giurisprudenza ha evidenziato che la detenzione di animali pericolosi non è consentita a prescindere da ogni valutazione sulla concreta nocività dell’animale e sulle sicure modalità della sua custodia.


La sanzione alternativa in caso di violazione è l’arresto o l’ammenda.


 


 


Art. 137 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Norme in materia ambientale


 



  1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila


 



  1. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni e dell’ammenda da 000 euro a 52.000 euro.


 



  1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5 o di cui all’articolo 29-quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due


 


(omissis)



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da € 000,00 a € 30.000,00. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da € 6.000,00 a € 120.000,00.


 



  1. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque


reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma. (omissis)



  1. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l’arresto sino


a tre anni. (omissis)



  1. Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva


 


 


autorizzazione da parte dell’autorità competente.


(omissis)


Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13 da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11 da € 51.600 a € 464.700 Sanzioni interdittive: violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11 da tre mesi a sei mesi


 


L’art. 137 del D. Lgs. 152/2006 disciplina le sanzioni penali con riferimento agli scarichi di acque reflue industriali. La norma, infatti, introduce diversi tipi di illecito di natura contravvenzionale, tutti caratterizzati dal costituire violazioni di diverse prescrizioni normative in materia di smaltimento di acque reflue industriali.


Preliminarmente all’analisi dei singoli reati, occorre fornire alcune definizioni comuni a tutte le fattispecie


disciplinate dalla norma in esame:



  • la definizione di “scarico” è prevista dall’art. 74, comma 1, lettera ff) del D. Lgs. 152/2006 quale qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114105;

  • Il comma 1, lettera h) dell’art. 74 definisce “acque reflue industriali” qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. In tal senso, non rileva, il grado o la natura dell’inquinamento delle acque, ma esclusivamente la natura dell’attività dalle quali esse provengono, così che qualunque tipo di acqua che deriva dallo svolgimento di un’attività produttiva rientra nella definizione delle acque reflue industriali.


 


Per quanto riguarda l’illecito previsto dal combinato disposto del comma 1 e 2 della norma in esame, si precisa


che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’apertura o dall’effettuazione di un nuovo scarico di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione, ovvero il mantenimento di detti scarichi con autorizzazione sospesa o Affinché la condotta sia penalmente rilevante occorre pertanto che il comportamento sia posto in essere in assenza del consenso o contro la volontà dell’autorità competente in materia;

  • ai fini della rilevanza del reato ai sensi del Lgs. 231/2001, l’oggetto del reato deve essere costituito da scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose di cui alle tabelle 5106 e 3/A107 dell’Allegato 5 alla Parte III del Decreto Legislativo108;

  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline;

  • si tratta di un’ipotesi residuale, che trova applicazione nel solo caso in cui la condotta non assuma


già rilevanza penale ai sensi dell’art. 29-quattordecies del Codice dell’Ambiente.


 


Con riferimento all’ipotesi di reato prevista e punita dal terzo comma della norma in esame, si specifica che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali


 


105 L’articolo 114 disciplina le dighe.


106 Tabella 5. Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in rete fognaria, o in tabella 4 per lo scarico sul suolo


1 Arsenico 2 Cadmio 3 Cromo totale 4 Cromo esavalente 5 Mercurio 6 Nichel 7 Piombo 8 Rame 9 Selenio 10 Zinco 11 Fenoli 12 Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti 13 Solventi organici aromatici 14 Solventi organici azotati 15 Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati) 16 Pesticidi fosforiti 17 Composti organici dello stagno 18 Sostanze classificate contemporaneamente "cancerogene" (R45) e "pericolose per l'ambiente acquatico" (R50 e 51/53) ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche.


107 Tabella 3/A - Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi; si riferisce ai specifici limiti di emissione nelle acque reflue industriali, per ciascun ciclo produttivo.


108 L’Allegato 5 si riferisce ai limiti di emissione degli scarichi idrici; in particolare sono rilevanti i paragrafi


dedicati agli scarichi di acque reflue industriali


 


 


senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni richieste dalle autorità


competenti ai sensi degli articoli 107, comma 1109 e 108, comma 4110;



  • l’oggetto della condotta deve essere anche in questo caso costituito dagli scarichi di acque reflue


industriali contenenti le sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5;



  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la colpa. Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline;

  • si tratta di un’ipotesi di reato sussidiaria che si applica, come espressamente previsto dal testo della norma esclusivamente al di fuori delle ipotesi previste dal successivo comma 5 e di quelle previste e punite dall’art. 29-quattordecies del Codice dell’Ambiente.


 


Per quanto concerne il reato di cui al comma 5 dell’art. 137, si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali con superamento dei valori limite fissati dalla tabella 3 o 3/A o, nel caso di scarico sul suolo, dalla tabella 4111 dell’Allegato 5, ovvero dei limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, con riferimento alle sostanze pericolose di cui alla tabella 5 dell’Allegato 5. N questo caso lo scarico è posto in essere in presenza di autorizzazione, ma eccede i limiti legali previsti dal Codice dell’Ambiente;

  • oggetto della condotta criminosa deve essere costituito dagli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose di cui alle tabelle 3, 3/A, 4 e 5 dell’Allegato 5;

  • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la colpa. Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o


 


Il comma 6 dell’art. 137 prevede che la stessa sanzione di cui al comma 5 sia applicata nel caso di condotta posta in essere dal gestore di impianti di depurazione delle acque reflue urbane.


Per quanto concerne la contravvenzione introdotta dal comma 11 della norma in esame:



  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito da qualsiasi condotta posta in essere in violazione


dei divieti di scarico sul suolo previsti dall’art. 103112 e nelle acque sotterranee disposto dall’art.


 


109 Art. 107 (scarichi in reti fognarie):



  1. Ferma restando l'inderogabilità dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della Tabella 5 del medesimo Allegato 5, alla Tabella 3, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dall'Autorità d'ambito competente in base alle caratteristiche dell'impianto, e in modo che sia assicurata la tutela del corpo idrico ricettore nonché il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2.


(omissis)


110 Art. 108 (scarichi di sostanze pericolose): (omissis)



  1. Per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell'attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa Tabella. Gli scarichi contenenti le sostanze pericolose di cui al comma 1 sono assoggettati alle prescrizioni di cui al punto 1.2.3. dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.


111 Tabella 4 - Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo.


112 Art. 103 (scarichi sul suolo): 1. È vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione:



  1. per i casi previsti dall'articolo 100, comma 3;

  2. per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

  3. per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l'impossibilità tecnica o l'eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell'articolo 101, comma 2. Sino all'emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

  4. per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;

  5. per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;


 


 



  1. 104113. La violazione prescinde dal superamento o meno dei parametri indicati negli allegati in considerazione non soltanto del tenore letterale della norma stessa, ma anche per la particolare natura delle risorse interessate dallo scarico.

    • l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della contravvenzione in esame è la Il reato si considera pertanto integrato già quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.




 


Infine, con riferimento all’ipotesi di reato di cui al comma 13 dell’art. 137, occorre specificare che:



  • l’elemento oggettivo del reato contempla lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contenente sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia;


 



  1. per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.

  2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all'articolo 99, comma In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.

  3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1 devono essere conformi ai limiti della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 1 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.


113 Art. 104 (scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) : 1. È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.



  1. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio

  2. In deroga a quanto previsto al comma 1, per i giacimenti a mare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e, per i giacimenti a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, le regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

  3. In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l'autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l'assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo

  4. Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, purché la concentrazione di oli minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all'iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e

  5. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi:

  6. per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l'acqua risultante dall'estrazione di idrocarburi;

  7. per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall'impianto di iniezione o di

  8. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l'assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi

  9. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico è revocata.


 


 



  • la condotta non integra il reato nell’ipotesi in cui lo sversamento fosse stato preventivamente autorizzato dall’autorità competente e le sostanze siano state rilasciate in quantità tali da essere rese rapidamente innocue dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare;

  • tale ipotesi di reato ha natura sussidiaria rispetto ai reati previsti dagli 8 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 per la cui analisi si rimanda ai paragrafi successivi loro dedicati. A differenza di quanto previsto dalle norme citate, il comma 11 dell’articolo in esame introduce un reato comune, di natura contravvenzionale, che può pertanto essere compiuto da chiunque e che richiede l’elemento soggettivo della colpa.


 


Art. 256 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Attività di gestione di rifiuti non autorizzata


 



  1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210114, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito:

  2. con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da € 600,00 a € 26.000,00 se si


tratta di rifiuti non pericolosi;



  1. con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da € 2.600,00 a € 000,00 se si


tratta di rifiuti pericolosi.


 



  1. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e


 



  1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da € 600,00 a € 26.000,00. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da € 5.200,00 a € 52.000,00 se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.


 



  1. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o


 



  1. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di


miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).


 



  1. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b), è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da € 600,00 a € 26.000,00. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.600,00 a € 15.500,00 per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 1 lettera a) e 6, primo periodo, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione dei commi 1 lettera b), 3, primo periodo, e 5 da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 3, secondo periodo, da € 51.600 a € 464.700


N.B. Le indicate sanzioni pecuniarie sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dal comma 4.


Sanzioni interdittive: violazione del comma 3, secondo periodo, da tre mesi a sei mesi


Per gestione dei rifiuti si intende “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario” (art. 183, comma 1, lett. n)).


La norma in esame introduce diverse ipotesi di reato, tutte connotate da condotte configurabili come attività illecite di gestione dei rifiuti.


 


114 L’articolo 210 è stato abrogato dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205


 


 


Con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui al primo comma, si specifica che:



  • si tratta di un reato Non occorre pertanto che la condotta in esame sia tenuta da un soggetto esercente professionalmente un’attività di gestione dei rifiuti, ben potendo il reato essere commesso anche da chi esercita la gestione in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa (Cass. Sez. III 24731/07);

  • l’elemento oggettivo del reato può essere costituito dalla realizzazione di un’attività di gestione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione La gestione è non autorizzata quando viene effettuata in assenza delle autorizzazioni, delle iscrizioni e delle comunicazioni prescritte dalla legge, ed in


 


 


particolare in violazione degli artt. 208115, 209116, 211117, 212118, 214119, 215120 e 216121. È altresì


rilevante l’autorizzazione di cui all’art. 213122, poiché l’autorizzazione integrata ambientale


 


115 Articolo 208. Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.


“1. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto.


[omissis]



  1. L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi:

  2. i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati;

  3. Per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto approvato;

  4. le misure precauzionali e di sicurezza da adottare;

  5. la localizzazione dell'impianto autorizzato;

  6. il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;

  7. le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie;

  8. le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto; le garanzie finanziarie per la gestione della discarica, anche per la fase successiva alla sua chiusura, dovranno essere prestate conformemente a quanto disposto dall'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, 36;

  9. la data di scadenza dell'autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12;

  10. i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico.


[omissis]



  1. L'autorizzazione di cui al comma 1 è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile. A tale fine, almeno centottanta giorni prima della scadenza dell'autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni caso l'attività può essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate. Le prescrizioni dell'autorizzazione possono essere modificate, prima del termine di scadenza e dopo almeno cinque anni dal rilascio, nel caso di condizioni di criticità ambientale, tenendo conto dell'evoluzione delle migliori tecnologie disponibili e nel rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla legge 241 del 1990.


[omissis]


17-bis. L'autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell'amministrazione competente al rilascio della stessa, al Catasto dei rifiuti di cui all'articolo 189 attraverso il Catasto telematico e secondo gli standard concordati con ISPRA che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, dei seguenti elementi identificativi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica:



  1. ragione sociale;

  2. sede legale dell'impresa autorizzata;

  3. sede dell'impianto autorizzato;

  4. attività di gestione autorizzata;

  5. i rifiuti oggetto dell'attività di gestione;

  6. quantità autorizzate;

  7. scadenza dell'autorizzazione.


[omissis]”


116 Articolo 209. Rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale.


“1. Nel rispetto delle normative comunitarie, in sede di espletamento delle procedure previste per il rinnovo delle autorizzazioni all'esercizio di un impianto ovvero per il rinnovo dell'iscrizione all'Albo di cui all'articolo 212, le imprese che risultino registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit , che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE o certificati Uni En Iso 14001, possono sostituire tali autorizzazioni con autocertificazione resa alle autorità competenti, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.



  1. L'autocertificazione di cui al comma 1 deve essere accompagnata da una copia conforme del certificato di registrazione ottenuto ai sensi dei regolamenti e degli standard parametrici di cui al medesimo comma 1, nonché da una denuncia di prosecuzione delle attività, attestante la conformità dell'impresa, dei mezzi e degli impianti alle prescrizioni legislative e regolamentari, con allegata una certificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste.


 



  1. L'autocertificazione e i relativi documenti, di cui ai commi 1 e 2, sostituiscono a tutti gli effetti l'autorizzazione alla prosecuzione, ovvero all'esercizio delle attività previste dalle norme di cui al comma 1 e ad essi si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992, n. 300. Si applicano, altresì, le disposizioni sanzionatone di cui all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, 241.


[omissis]



  1. I titoli abilitativi di cui al presente articolo devono essere comunicati, a cura dell'amministrazione che li rilascia, all'ISPRA, comma 1, che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all'articolo 208, comma 17, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. [omissis]”


117 Articolo 211. Autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione.


“1. I termini di cui agli articoli 208 e 210 sono ridotti alla metà per l'autorizzazione alla realizzazione ed all'esercizio di impianti di ricerca e di sperimentazione qualora siano rispettate le seguenti condizioni:



  1. le attività di gestione degli impianti non comportino utile economico;

  2. gli impianti abbiano una potenzialità non superiore a 5 tonnellate al giorno, salvo deroghe giustificate dall'esigenza di effettuare prove di impianti caratterizzati da innovazioni, che devono però essere limitate alla durata di tali

  3. La durata dell'autorizzazione di cui al comma 1 è di due anni, salvo proroga che può essere concessa previa verifica annuale dei risultati raggiunti e non può comunque superare altri due anni.


[omissis]



  1. L'autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell'amministrazione che la rilascia, all'ISPRA che cura l'inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all'articolo 208, comma 16, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. [omissis]”


118 Articolo 212. Albo nazionale gestori ambientali.



  1. È costituito, presso il Ministero dell'ambiente e tutela del territorio, l'Albo nazionale gestori ambientali, di seguito denominato Albo, articolato in un Comitato nazionale, con sede presso il medesimo Ministero, ed in Sezioni regionali e provinciali, istituite presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano. I componenti del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali e provinciali durano in carica cinque anni.


[omissis]



  1. L'iscrizione all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti Sono esonerati dall'obbligo di cui al presente comma le organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, al decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188, e al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, limitatamente all'attività di intermediazione e commercio senza detenzione di rifiuti oggetto previste nei citati articoli. Per le aziende speciali, i consorzi di comuni e le società di gestione dei servizi pubblici ci cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, l'iscrizione all'Albo è effettuata con apposita comunicazione del comune o del consorzio di comuni alla sezione regionale territorialmente competente ed è valida per i servizi di gestione dei rifiuti urbani prodotti nei medesimi comuni. Le iscrizioni di cui al presente comma, già effettuate alla data di entrata in vigore della presente disposizione, rimangono efficaci fino alla loro naturale scadenza.

  2. L'iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e costituisce titolo per l'esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti; per le altre attività l'iscrizione abilita allo svolgimento delle attività

  3. Gli enti e le imprese iscritte all'Albo per le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti pericolosi sono esonerate dall'obbligo di iscrizione per le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi a condizione che tale ultima attività non comporti variazione della classe per la quale le imprese sono

  4. I produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno, non sono soggetti alle disposizioni di cui ai commi 5, 6, e 7 a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti sono


Detti soggetti non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e sono iscritti in un'apposita sezione dell'Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell'Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con la comunicazione l'interessato attesta sotto la sua responsabilità, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 241 del 1990: a) la sede dell'impresa, l'attività o le attività dai quali sono prodotti i rifiuti; b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti; c) gli estremi identificativi e l'idoneità tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di effettuazione del trasporto medesimo; d) l'avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro rideterminabile ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406. L'iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l'impresa è tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all'iscrizione. Le iscrizioni di cui al presente comma, effettuate entro il 14 aprile 2008 ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, dovranno essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.


 


[omissis]



  1. Sono iscritti all'Albo le imprese e gli operatori logistici presso le stazioni ferroviarie, gli interporti, gli impianti di terminalizzazione, gli scali merci e i porti ai quali, nell'ambito del trasporto intermodale, sono affidati rifiuti in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell'impresa ferroviaria o navale o dell'impresa che effettua il successivo trasporto, nel caso di trasporto navale, il raccomandatario marittimo di cui alla legge 4 aprile 1977, n. 135, è delegato dall'armatore o noleggiatore, che effettuano il trasporto, per gli adempimenti relativi al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a). L'iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e non è subordinata alla prestazione delle garanzie finanziarie.


[omissis]”


119 Articolo 214 Caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate


“1. Le procedure semplificate di cui al presente capo devono garantire in ogni caso un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci ai sensi e nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 177, comma 4.



  1. Con decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute e, per i rifiuti agricoli e le attività che generano i fertilizzanti, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sono adottate per ciascun tipo di attività le norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 215 e 216. Con la medesima procedura si provvede all'aggiornamento delle predette norme tecniche e


[omissis]



  1. Le norme e le condizioni di cui al comma 2 e le procedure semplificate devono garantire che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell'uomo e da non recare pregiudizio all'ambiente. In particolare, ferma restando la disciplina del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, per accedere alle procedure semplificate, le attività di trattamento termico e di recupero energetico devono, inoltre, rispettare le seguenti condizioni:

  2. siano utilizzati combustibili da rifiuti urbani oppure rifiuti speciali individuati per frazioni omogenee;

  3. i limiti di emissione non siano superiori a quelli stabiliti per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti dalla normativa vigente, con particolare riferimento al decreto legislativo 11 maggio 2005, 133;

  4. sia garantita la produzione di una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile calcolata su base annuale;

  5. siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui agli articoli 215, commi 1 e 2, e 216, commi 1, 2 e


[omissis]



  1. La costruzione di impianti che recuperano rifiuti nel rispetto delle condizioni, delle prescrizioni e delle norme tecniche di cui ai commi 2 e 3 è disciplinata dalla normativa nazionale e comunitaria in materia di qualità dell'aria e di inquinamento atmosferico da impianti industriali e dalle altre disposizioni che regolano la costruzione di impianti industriali. L'autorizzazione all'esercizio nei predetti impianti di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi del presente articolo resta comunque sottoposta alle disposizioni di cui agli articoli 208, 209 e 211.


[omissis]”


120 Articolo 215 Autosmaltimento


“1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'articolo 214, commi 1, 2 e 3, e siano tenute in considerazione le migliori tecniche disponibili, le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente.


[omissis]



  1. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni cinque anni e, comunque, in caso di modifica sostanziale delle operazioni di

  2. Restano sottoposte alle disposizioni di cui agli articoli 208, 209, 210 e 211 le attività di autosmaltimento


di rifiuti pericolosi e la discarica di rifiuti.”


121 Articolo 216 Operazioni di recupero


“1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'articolo 214, commi 1, 2 e 3, l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente. Nelle ipotesi di rifiuti elettrici ed elettronici di cui all'articolo 227, comma 1, lettera a), di veicoli fuori uso di cui all'articolo 227, comma 1, lettera c), e di impianti di coincenerimento, l'avvio delle attività è subordinato all'effettuazione di una visita preventiva, da parte della provincia competente per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della predetta comunicazione.


[omissis]



  1. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni cinque anni e comunque in caso di modifica sostanziale delle operazioni di

  2. La procedura semplificata di cui al presente articolo sostituisce, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative delle emissioni determinate dai rifiuti individuati dalle norme tecniche di cui al comma 1 che già


 


 


sostituisce le autorizzazioni di cui agli articoli precedenti e la comunicazione di cui all’art. 216. Si noti che la giurisprudenza ha precisato che la disposizione trova applicazione nel caso in cui il trasgressore operi nell’ambito della tipologia di rifiuto per la quale aveva ricevuto l’autorizzazione, poiché il trattamento di un rifiuto diverso da quello autorizzato equivale a trattamento di rifiuto senza autorizzazione e configura le ipotesi di reato di cui all’articolo 256, primo, secondo e terzo comma. Sono altresì rilevanti la natura personale del titolo abilitativo123, la sua validità124 e il suo ambito di efficacia125;



  • il reato in esame è un reato istantaneo, perciò non si richiede che la condotta si protragga nel tempo,


risultando sufficiente ai fini dell’integrazione anche un singolo episodio di gestione non autorizzata.



  • per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, non occorre che la gestione non autorizzata sia finalizzata al conseguimento di un profitto economico, né che il soggetto agente abbia consapevolezza e volontà di agire in assenza di autorizzazione. Si tratta, infatti, di un reato punito a titolo di colpa, che può scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella gestione, normalmente posti a carico dei soggetti preposti alla direzione dell’azienda;

  • il secondo periodo del primo comma prevede un’ipotesi aggravata nel caso in cui la gestione non autorizzata riguardi rifiuti pericolosi. Per rifiuto pericoloso deve intendersi a norma dell’art. 183 comma 1 lett. b) “qualsiasi rifiuto che presenta una o più caratteristiche di cui all’allegato I della parte quarta del presente decreto126;


 


fissano i limiti di emissione in relazione alle attività di recupero degli stessi, l'autorizzazione di cui all'art. 269 in caso di modifica sostanziale dell'impianto, 7. Le disposizioni semplificate del presente art. non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione:



  1. delle attività per il riciclaggio e per il recupero di materia prima secondaria e di produzione di compost di qualità dai rifiuti provenienti da raccolta differenziata;

  2. delle attività di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere combustibile da rifiuto effettuate nel rispetto delle norme tecniche di cui al comma


[omissis]”


122 Articolo 213. Autorizzazioni integrate ambientali.


“1. Le autorizzazioni integrate ambientali rilasciate ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59,


sostituiscono ad ogni effetto, secondo le modalità ivi previste:



  1. le autorizzazioni di cui al presente capo;

  2. la comunicazione di cui all'articolo 216, limitatamente alle attività non ricadenti nella categoria 5 dell'Allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che, se svolte in procedura semplificata, sono escluse dall'autorizzazione ambientale integrata, ferma restando la possibilità di utilizzare successivamente le procedure semplificate previste dal capo ”


123 Per esempio necessità di un nuovo titolo per trasformazione da società di persone a società di capitali


124 Configurabilità di reato in caso di attività svolta con autorizzazione scaduta.


125 Esercizio dell’attività in luogo diverso da quello autorizzato


126 Si riporta di seguito la classificazione dei rifiuti pericolosi operata dall’all. I alla parte IV del D. Lgs.


152/2006:



  • H1 "Esplosivo": sostanze e preparati che possono esplodere per effetto della fiamma o che sono sensibili agli urti e agli attriti più del dinitrobenzene;

  • H2 "Comburente": sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, presentano una forte reazione esotermica;

  • H3-A "Facilmente infiammabile": sostanze e preparati:

  • liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21° C (compresi i liquidi estremamente infiammabili), o

  • che a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e infiammarsi, o

  • solidi che possono facilmente infiammarsi per la rapida azione di una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo l'allontanamento della sorgente di accensione, o

  • gassosi che si infiammano a contatto con l'aria a pressione normale, o

  • che, a contatto con l'acqua o l'aria umida, sprigionano gas facilmente infiammabili in quantità pericolose;

  • H3-B "Infiammabile": sostanze e preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è pari o superiore a 21° C e inferiore o pari a 55°C;

  • H4 "Irritante": sostanze e preparati non corrosivi il cui contatto immediato, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria;

  • H5 "Nocivo": sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute di gravità limitata;

  • H6 "Tossico": sostanze e preparati (comprese le sostanze e i preparati molto tossici) che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute gravi, acuti o cronici e anche la morte;

  • H7 "Cancerogeno": sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre il cancro o aumentarne l'incidenza;

  • H8 "Corrosivo": sostanze e preparati che, a contatto con tessuti vivi, possono esercitare su di essi un'azione distruttiva;


 


 



  • si tratta di un’ipotesi residuale, che trova applicazione nel solo caso in cui la condotta non assuma già rilevanza penale ai sensi dell’art. 29-quattordecies del Codice dell’Ambiente.


 


Per quanto concerne il reato previsto e punito dal terzo comma della norma in esame, si specifica che:



  • l’elemento oggettivo del reato è rappresentato dalla realizzazione e gestione di discarica abusiva:

    • per “realizzazione” di una discarica si intende l’attività di “destinazione e allestimento a tale scopo di una data area, con l’effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione ” (Cass. Sez. III n. 38318/2004). Le opere di allestimento non sono tuttavia considerate necessarie, potendosi configurare il reato anche in presenza di un accumulo di rifiuti ripetitivo o molto ingente nello stesso luogo, con trasformazione dello stesso dovuta alla presenza dei rifiuti suddetti (Cass. Sez. III n. 163/94);

    • la condotta di “gestione” presuppone invece l’apprestamento di un’area per raccogliervi i rifiuti e consiste nell’attivazione di un’organizzazione, articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine diretta al funzionamento della discarica;

    • il reato di gestione di discarica abusiva può dirsi integrato a prescindere che il contributo del soggetto agente abbia natura commissiva o omissiva. La Suprema Corte ha, infatti, ritenuto che possa configurarsi il reato suddetto anche a carico di colui che si è limitato alla mera tolleranza di uno stato di fatto in contrasto con la fattispecie in esame (Cass. Sez. III 1733/03);



  • per quanto concerne l’elemento soggettivo, il reato di realizzazione o gestione di discarica abusiva è punito a titolo di colpa, che può scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella gestione, normalmente posti a carico dei soggetti preposti alla direzione dell’azienda;

  • anche in tal caso, con il secondo periodo del terzo comma, si prevede un’ipotesi aggravata qualora


la discarica sia destinata al deposito di rifiuti pericolosi127;



  • anche in questo caso, si tratta di un’ipotesi residuale, che trova applicazione nel solo caso in cui la condotta non assuma già rilevanza penale ai sensi dell’art. 29-quattordecies del Codice dell’Ambiente.


 


Con riferimento al reato di cui al comma 4, si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, o dalla carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o Si fa riferimento alle autorizzazioni, iscrizioni e comunicazioni già citate dal primo comma della norma in esame;

    • la condotta di “inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni” incriminata dal comma 4 si differenzia rispetto a quella prevista e punita dal comma 1 in quanto, in questo caso si agisce in presenza di autorizzazione ed entro i limiti di operatività previsti da quest’ultima. La violazione ha infatti ad oggetto prescrizioni di carattere tecnico o amministrativo specificatamente previste per il determinato operatore;

    • la “carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per le iscrizioni o comunicazioni” consiste invece in uno stato di fatto in cui versa il soggetto obbligato ex lege ad adottare tali provvedimenti;



  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato in esame è la colpa.


 


 



  • H9 "Infettivo": sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell'uomo o in altri organismi viventi;

  • H10 "Tossico per la riproduzione": sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre malformazioni congenite non ereditarie o aumentarne la frequenza;

  • H11 "Mutageno": sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne l'incidenza;

  • H12 Rifiuti che, a contatto con l'acqua, l'aria o un acido, sprigionano un gas tossico o molto tossico;

  • H13 "Sensibilizzanti": sostanze o preparati che per inalazione o penetrazione cutanea, possono dar luogo a una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato produce effetti nefasti caratteristici;

  • H14 "Ecotossico": rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali;

  • H15 Rifiuti suscettibili, dopo l'eliminazione, di dare origine in qualche modo ad un'altra sostanza, ad


esempio a un prodotto di lisciviazione avente una delle caratteristiche sopra elencate.”


127 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


 


 


Con riferimento alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 5, si precisa che:



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’attività di miscelazione di rifiuti.

    • la Suprema Corte ha specificato che per “miscelazione di rifiuti” deve intendersi la “mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, sì da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo” (Cass. sez. III, 19333/2009);

    • le attività di miscelazione devono considerarsi penalmente rilevanti ai sensi del comma quinto della norma in esame in tutti i casi in cui le stesse siano effettuate in violazione del divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi128 di cui all’art. 187 del decreto129;



  • l’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’integrazione del reato è la colpa.


 


In riferimento al sesto comma della norma in esame, si specifica che:



  • il reato previsto dal comma in esame costituisce un’ipotesi di reato proprio giacché può essere commesso esclusivamente dal produttore di rifiuti sanitari Infatti, il deposito temporaneo può aver luogo solo presso il luogo di produzione dei rifiuti, prima che si sia provveduto alla raccolta degli stessi, e perciò solamente fino a quando rientrano ancora nella sfera di responsabilità del produttore;

  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dal deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi in violazione dell’art. 227 comma 1 lett. b) che richiama il D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, “Regolamento recante la disciplina dei rifiuti sanitari a norma dell’art. 24 della legge 31 luglio 2002, 179”. Per “deposito temporaneo” si intende ex art. 183 lett. bb) “il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”. Il deposito temporaneo è generalmente ammesso senza necessità di autorizzazione, purché siano rispettate le condizioni previste dall’art. 183 lett. bb)130, poiché si tratta di attività che, pur essendo soggetta al


 


128 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


129 Art. 187 D. Lgs. 152/2006:


“1. È vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi


con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.



  1. In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 a condizione che:

  2. siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 177, comma 4, e l'impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente non risulti accresciuto;

  3. l'operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un'impresa che ha ottenuto un'autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211;

  4. l'operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all'articoli 183, comma 1, lettera nn).

  5. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni specifiche ed in particolare di quelle di cui all'articolo 256, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 è tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati, qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 177, comma )


130 Art. 183 lett. bb) D. Lgs. 152/2006:


“1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;



  • i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

  • il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

  • devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;

  • per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo”.


 


 


rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva, esula da quella di gestione dei rifiuti, costituendone un’operazione preliminare e preparatoria. Il D.P.R. 254/03, tuttavia, nel disciplinare la gestione dei rifiuti sanitari, stabilisce, tra l’altro, disposizioni particolari per il deposito temporaneo di essi e proprio la violazione di tali norme implica la commissione del reato in esame;



  • anche in questo caso, l’elemento psicologico necessario per l’integrazione del reato è la colpa.


 


Art. 257 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Bonifica dei siti


 



  1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da € 600,00 a € 26.000,00, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da € 1.000,00 a


€ 26.000,00.


 



  1. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da € 5.200,00 a € 000,00 se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.


 



  1. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino


 



  1. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma


 


Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 1, da € 25.800 a € 387.250


Sanzioni pecuniarie: violazione del comma 2, da € 38.700 a € 387.250


La norma in esame introduce il reato di omessa bonifica di sito inquinato. Si precisa che:



  • il soggetto agente è colui che si è già reso responsabile dell’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o sotterranee, a carico del quale sorge, in ragione di tale pregressa condotta inquinante, l’obbligo di bonificare il sito contaminato, ossia di provvedere alla rimozione delle conseguenze nocive della sua condotta;

  • si è in presenza di un reato di natura omissiva, poiché l’elemento oggettivo del reato è costituito della mancata esecuzione della bonifica in conformità del progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento previsto. Il reato può ritenersi comunque integrato anche nel caso in cui il soggetto agente proceda a bonificare il sito inquinato ma senza uniformarsi alle indicazioni fornite dall’autorità;

  • trattandosi di fattispecie di natura contravvenzionale l’elemento soggettivo richiesto per la


configurazione del reato è, anche in questo caso, la colpa;



  • al secondo comma si prevede un’ipotesi aggravata qualora l’omessa bonifica riguardi l’inquinamento


provocato da sostanze pericolose.


 


 


Art. 258 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari


 


(omissis)


 



  1. Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 1.600,00 a € 9.300,00. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il


 



  1. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti


 


 


trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da € 260,00 a € 1.550,00. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui al comma 4 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonché nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 190, comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193 da parte dei soggetti obbligati.


 


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: violazione secondo periodo, da € 38.700 a € 387.250


 


Il secondo periodo del quarto comma dell’art. 258 si applica nell’ipotesi in cui un’impresa non aderisca su base volontaria al sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) ed incrimina la condotta di colui che, nel provvedere alla compilazione di un certificato di analisi di rifiuti131, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e di colui che fa uso di un certificato falso durante il trasporto.


 


Vengono individuate due distinte fattispecie di reato, la prima ricollegabile ai delitti di falsità ideologica in atti, giacché consistente nella predisposizione di un certificato formalmente valido, ma contenente informazioni non veritiere, e la seconda allo schema del delitto di uso di atto falso. Tali fattispecie si pongono in rapporto di specialità per materia rispetto ai delitti previsti e puniti dagli artt. 483 e 489 c.p., e sono entrambe punite con la pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.132.


La norma in esame circoscrive l’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice ai casi in cui il certificato di analisi dei rifiuti abbia ad oggetto rifiuti non pericolosi133.


 


 


131 Il certificato di analisi dei rifiuti è un documento contenente la caratterizzazione analitica del rifiuto prima che venga trasportato e smaltito/recuperato. È obbligatorio solo in alcuni casi tassativi:



  • per i rifiuti non pericolosi da ammettere alle procedure semplificate di recupero (art. 8, comma 1, del DM Ambiente 5 febbraio 1998);

  • per i rifiuti pericolosi da ammettere alle procedure semplificate di recupero (art. 7, comma 1, del DM Ambiente 12 giugno 2002 161);

  • per i rifiuti ammissibili in discarica (art. 2 e dell’allegato 3 al DM Ambiente 27 settembre 2010);


132 Art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.


133 La Suprema Corte ha recentemente evidenziato che “deve rilevarsi che il testo del D. Lgs. 3 aprile 2006,



  1. 152, art. 258, comma 4, è stato sostituito dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 35. 11 vecchio testo, vigente al momento del fatto ed applicato dai giudici di merito, stabiliva che "Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all'art. 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti" è punito con una sanzione amministrativa e che "si applica la pena di cui all'art. 483 c.p. nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi" ovvero a "chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto". Il nuovo testo stabilisce invece che "le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all'art. 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'art. 188-bis, comma 2, lett. a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all'art. 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa" mentre "si applica la pena di cui all'art. 483 c.p. a chi, nella predisposizione dì un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico- fisiche dei rifiuti e a chi fa uso dì un certificato falso durante il trasporto". Il testo dell'art. 258, comma 4, attualmente in vigore, quindi, si riferisce alle imprese che trasportano i propri rifiuti e comunque non prevede più l'applicazione della sanzione penale per chi effettua il trasporto di rifiuti pericolosi senza il prescritto formulario o indica nel formulario dati incompleti o inesatti. Contemporaneamente, peraltro, con il D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 36, è stato introdotto nel D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, l'art. 260 bis, che al comma 7 stabilisce che "il trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti è punito con la sanzione amministrativa" e che "si applica la pena di cui all'art. 483


c.p. in caso di trasporto di rifiuti pericolosi".


Il nuovo reato introdotto da questa disposizione, pertanto, riguarda il trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato dalla copia cartacea della scheda Sistri, e non quello non accompagnato dal formulario di cui all'art. 193 o con un formulario con dati incompleti o inesatti.” (Cass. Sez. III, n. 29973/11).


Sembra pertanto potersi evincere dalle motivazioni addotte dalla Corte di Cassazione che attualmente vi sia


un vuoto normativo e che la falsità ideologica in certificato di analisi di rifiuti e l’uso di certificato di analisi


 


 


Deve evidenziarsi tuttavia che il secondo periodo del comma 5 della norma in esame prevede che, nel caso in cui le indicazioni di cui al comma 4 siano formalmente incomplete o inesatte ma contengano tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, non si integra il delitto di cui al comma 4 secondo periodo, ma il responsabile è soggetto esclusivamente a sanzione amministrativa e pertanto la condotta non è rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.


 


Art. 259 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Traffico illecito di rifiuti


 



  1. Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE) 1 febbraio 1993, n. 259134, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso è punito con la pena dell’ammenda da € 1.550,00 a € 26.000,00 e con l’arresto fino a due anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.


 


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: da € 38.700 a € 387.250


 


In seguito all’abrogazione del Reg. (CEE) 259/1993, operata dal Reg. (CE) 1013/2006, non è facile chiarire l’effettiva portata della norma in esame.


 


In teoria, dovrebbe ritenersi che, in seguito all’abrogazione, il Reg. (CEE) 259/1993 non possa più costituire riferimento normativo e che pertanto l’art. 259, che a tale regolamento in toto rimanda, sia destinato a rimanere lettera morta. Tuttavia, il recente inserimento della norma in esame nell’elenco dei reati presupposto per l’applicazione del D. Lgs. 231/01, può far pensare che il mancato adeguamento del testo dell’art. 259 alla intervenuta riforma di diritto comunitario sia dovuto esclusivamente ad una svista del Legislatore nostrano e non ad un abbandono da parte di quest’ultimo dell’intento persecutorio nei confronti di chi infranga la normativa sulle spedizioni di rifiuti.


Purtroppo non si registrano a tutt’oggi interventi giurisprudenziali in grado di dirimere in alcun modo la questione. Allo scopo di garantire una miglior tutela della Società, si sceglie pertanto di analizzare la norma in esame alla luce del disposto del Reg. (CE) 1013/2006 abrogativo del Reg. (CEE) 259/1993 e attualmente vigente in materia di spedizioni di rifiuti.


Per chiarire la portata della norma in esame e per meglio circoscrivere la condotta incriminata occorre fare riferimento alla definizione di “spedizione illegale” contenuta nell’art. 2, n. 35) del Regolamento (CE) 1013/06135, che a far data dal 12 luglio 2007 sostituisce la definizione di “traffico illecito di rifiuti” di cui all’art. 26 del Regolamento 259/1993 abrogato.


Ai fini del citato regolamento si intende per "spedizione illegale" “qualsiasi spedizione di rifiuti effettuata:



  1. senza notifica a tutte le autorità competenti interessate a norma del presente regolamento; o

  2. senza l’autorizzazione delle autorità competenti interessate a norma del presente regolamento; o

  3. con l’autorizzazione delle autorità competenti interessate ottenuto mediante falsificazioni, false


dichiarazioni o frodi; o



  1. in un modo che non è materialmente specificato nella notifica o nei documenti di movimento; o

  2. in un modo che il recupero o lo smaltimento risulti in contrasto con la normativa comunitaria o internazionale; o

  3. in contrasto con gli articoli 34, 36, 39, 40, 41 e 43136; o


 


falso non siano perseguibili a norma né dell’art. 258 né dell’art. 260-bis qualora commessi in riferimento a


rifiuti pericolosi nell’ambito di un’impresa non iscritta al SISTRI.


134 Il Regolamento citato è stato abrogato dall’art. 61 del Regolamento 1013/2006, e la nozione cui si fa riferimento è quella definita spedizione illegale prevista dall’art. 2, punto 35 del Reg. 1013/06.


135 Il Regolamento (CE) 1013/06 si applica, in base all’art. 1, alle spedizioni di rifiuti:



  1. fra Stati membri, all'interno della Comunità o con transito attraverso paesi terzi;

  2. importati nella Comunità da paesi terzi;

  3. esportati dalla Comunità verso paesi terzi;

  4. in transito nel territorio della Comunità, con un itinerario da e verso paesi


136 Articoli inerenti a divieti di esportazione o importazione e in particolare:


Art.34. Divieto di esportazione ad eccezione delle esportazioni dirette ai paesi EFTA; Art.36. Divieto di esportazione verso paesi ai quali non si applica la decisione OCSE; Art.39. Divieto di esportazioni verso l'Antartico; Art.40. Divieto di esportazioni verso i paesi o territori d'oltremare; Art.41. Divieto di importazioni di rifiuti destinati allo smaltimento ad eccezione di quelle provenienti da paesi aderenti alla convenzione di


 


 



  1. per la quale, in relazione alle spedizioni di rifiuti di cui all’articolo 3, paragrafi 2 e 4, sia stato accertato


che:



  1. i rifiuti non sono elencati negli allegati III, III A o III B; o

  2. l’articolo 3, paragrafo 4, non è stato rispettato137;



  • la spedizione è effettuata in un modo che non è materialmente specificato nel documento di


cui all’allegato VII”.


La contravvenzione di traffico illecito di rifiuti punisce la condotta di chi effettua una spedizione di rifiuti ricompresa nell’elenco delle ipotesi descritte come spedizione illegale o chi effettui una spedizione di rifiuti del tipo di quelli elencati nell’Allegato III138 al Reg. 1013/2007, in violazione delle norme previste per le spedizioni di rifiuti destinati unicamente al recupero.


Si richiede ai fini dell’integrazione del reato di traffico illecito, anche alla luce dell’impiego del termine “traffico”, che l’attività di spedizione illegale sia posta in essere in modo organizzato e continuativo.


Anche in questo caso si prevede un’ipotesi aggravata qualora l’attività di traffico abbia ad oggetto rifiuti


pericolosi139.


 


 


Art. 260-bis D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti


 


(omissis)


 



  1. Si applica la pena di cui all’articolo 483 codice penale a colui che, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, utilizzato nell’ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilità dei


 



  1. Il trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 1.600,00 a € 9.300,00. Si applica la pena di cui all’art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti Tale ultima pena si applica anche a colui che, durante il trasporto fa uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati.


 



  1. Il trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda SISTRI - AREA Movimentazione fraudolentemente alterata è punito con la pena prevista dal combinato disposto degli articoli 477 e 482 del codice penale. La pena è aumentata fino ad un terzo nel caso di rifiuti


 



  1. Se le condotte di cui al comma 7 non pregiudicano la tracciabilità dei rifiuti, si applica la sanzione


amministrativa pecuniaria da € 260,00 ad € 1.550,00.


(omissis)


 


Sanzioni pecuniarie: commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8 primo periodo da € 38.700 a € 387.250


Sanzioni pecuniarie: comma 8 secondo periodo da € 51.600 a € 464.700


 


L’art. 260-bis è stato introdotto all’interno del Codice dell’ambiente dall’art. 36 del D. Lgs. 205/2010 di


attuazione della direttiva 2008/98/CEE, che ha introdotto nel nostro ordinamento il sistema di tracciabilità


 


Basilea o da paesi con i quali è in vigore un accordo o da altri territori in situazione di crisi o in caso di guerra; Art.43. Divieto di importazioni di rifiuti destinati al recupero ad eccezione di quelle provenienti da paesi cui si applica la decisione OCSE, da paesi aderenti alla convenzione di Basilea o da paesi con i quali è in vigore un accordo o da altri territori in situazione di crisi o in caso di guerra.


137 Relativo ai rifiuti destinati alle analisi di laboratorio.


138 Nella sostanza l’Allegato III al Reg. 1013/2007 ha sostituito l’elencazione di cui all’Allegato II al Reg. 259/1993 e precisamente: Rifiuti contenenti metalli provenienti dalla fusione e raffinazione di metalli, Rifiuti di vetro in forma non dispersibile, Rifiuti ceramici in forma non dispersibile, Rifiuti contenenti prevalentemente composti inorganici, che possono a loro volta contenere metalli e composti organici, Rifiuti derivati da operazioni di conciatura e dall'utilizzo del cuoio.


139 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


 


 


dei rifiuti (SISTRI) di cui all’art. 183-bis e ss. D. Lgs. 152/2006.


 


Il sesto comma e il terzo periodo del settimo comma della norma in esame introducono fattispecie criminose analoghe in tutto e per tutto a quelle di cui all’art. 258 comma 4 D. Lgs. 152/2006, da cui si differenziano esclusivamente per ambito applicativo. Ed in effetti mentre i reati previsti dal secondo periodo del quarto comma dell’art. 258 si applicano nell’ipotesi in cui un’impresa non aderisca su base volontaria al sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), gli illeciti previsti dal comma 6 e dal terzo periodo del comma 7 dell’art. 260- bis ricorrono invece proprio nei casi in cui vige il sistema di controllo dei rifiuti.


Le condotte incriminate cui ci si riferisce sono quelle di colui che, nel provvedere alla compilazione di un certificato di analisi di rifiuti140, utilizzato nell’ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e di colui che inserisce di un certificato falso nei dati da fornire per la tracciabilità dei rifiuti stessi, e quella di colui che, nel corso delle operazioni di trasporto fa uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati.


 


Anche in questo caso le prime due tipologie di condotta sono riconducibili ai delitti di falsità ideologica in atti, giacché consistenti nella predisposizione di un certificato formalmente valido, ma contenente informazioni non veritiere, mentre l’ultima ipotesi rientra nello schema del delitto di uso di atto falso. In tutte e tre le ipotesi citate il responsabile è soggetto alla pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.141.


 


Deve evidenziarsi tuttavia che il comma 9 della norma in esame prevede che, nel caso in cui l’utilizzo di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni durante le operazioni di trasporto non pregiudichi la tracciabilità dei rifiuti stessi, non si integra il delitto di cui al comma 7 terzo periodo, ma il responsabile è soggetto esclusivamente a sanzione amministrativa e pertanto in tal caso la condotta non è rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.


 


Il combinato disposto del primo e secondo periodo del settimo comma, introduce invece il delitto di omesso accompagnamento del trasporto dei rifiuti pericolosi142 con la copia cartacea della scheda SISTRI “area movimentazione” e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti.


 


Il delitto in questione è integrato solo allorquando il trasporto in assenza della documentazione prevista riguardi rifiuti pericolosi143. Qualora manchi il requisito della pericolosità del rifiuto si applica una sanzione amministrativa e l’illecito non è in tal caso rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001 non rilevante ai sensi del D. Lgs. 231/2001.


 


Ai fini dell’integrazione del reato occorre inoltre che l’assenza di documentazione pregiudichi la tracciabilità


dei rifiuti, in caso contrario la condotta darà luogo a illecito amministrativo, come previsto dal comma 9.


Il soggetto attivo è soggetto alla pena della reclusione fino a due anni, così come prevista dal richiamato art. 483 c.p.


 


Il comma 8 della norma in esame punisce la condotta del trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti


con una copia cartacea della scheda SISTRI “area movimentazione” fraudolentemente alterata.


Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso soltanto dal soggetto incaricato del trasporto.


 


Ai fini dell’integrazione del delitto in esame si richiede inoltre che la copia cartacea della scheda SISTRI sia


stata alterata in modo fraudolento.


 


La pena prevista per questo tipo di reato varia a seconda che il soggetto agente ricopra o meno la qualifica di pubblico ufficiale. In caso affermativo il pubblico ufficiale soggiace alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni, in caso contrario si applica al privato la stessa pena ridotta di un terzo, come previsto dal combinato disposto degli artt. 477 e 482 c.p. richiamati dalla norma144.


 


 


140 Per la definizione di certificato di analisi dei rifiuti si veda il commento all’art. 258, supra.


141 Art. 483 c.p. Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.


142 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


143 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


144 Art. 477 Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative. “Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.


 


 


 


Il secondo periodo del comma 8 prevede un’ipotesi aggravata per il caso in cui i rifiuti oggetto del trasporto


siano pericolosi145.


 


Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125, come modificato


dal D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11, ha disposto (con l’art. 11, comma 3-bis) che "fino al 31 dicembre 2015 al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati nonché l’applicazione delle altre semplificazioni e le opportune modifiche normative continuano ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi di cui agli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, nonché le relative sanzioni. Durante detto periodo, le sanzioni relative al SISTRI di cui agli articoli 260-bis, commi da 3 a 9, e 260-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, non si applicano. Le sanzioni relative al SISTRI di cui all’articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si applicano a decorrere dal 1 aprile 2015".


 


 


Art. 279 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Sanzioni


 


(omissis)


 



  1. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente ai sensi del presente titolo è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a € 1.032,00. Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.


 


(omissis)


 



  1. Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa


 


(omissis).


 


Sanzioni pecuniarie: comma 5, da € 25.800 a € 387.250


 


Preliminarmente all’analisi delle fattispecie criminose previste e punite dalla norma in esame, occorre chiarire che la normativa sulla prevenzione e limitazione di emissioni in atmosfera di impianti e attività, di cui al Titolo I della Parte V del D. Lgs. 152/2006, a cui la norma in esame è riconducibile, “si applica agli impianti, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal titolo II, ed alle attività che producono emissioni in atmosfera e stabilisce i valori di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni ed i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite” (art. 267 comma 1).


 


Per emissione, ai fini dell’applicazione della normativa in esame, si intende “qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico146” (art. 268, comma 1, lett. b))


Per impianto, ai fini dell’applicazione della normativa in esame, si intende “il dispositivo o il sistema o l’insieme di dispositivi o sistemi fisso e destinato a svolgere in modo autonomo una specifica attività, anche nell’ambito di un ciclo produttivo più ampio” (art. 268, comma 1, lett. l)).


Presupposto degli illeciti introdotti dall’art. 279 è dunque l’esistenza di un impianto che dia luogo ad una concreta attività di produzione delle emissioni, non essendo sufficiente la sola potenziale idoneità a produrre emissioni atmosferiche.


 


La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 279 comma 2 sanziona “chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola


 


 


Art. 482 Falsità materiale commessa dal privato. “Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell'esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”.


145 Per la definizione di “rifiuti pericolosi” si veda supra


146 Inquinamento atmosferico è definito “ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente” (art. 268 comma 1 lett. a))


 


 


i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I147, II148, III149 o V150 alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente”.


Si specifica tuttavia che ai sensi del D. Lgs. 231/2001 è rilevante solamente l’ipotesi aggravata prevista dal quinto comma della norma in esame. Occorre dunque, perché si configuri la responsabilità amministrativa della società, che il superamento dei valori limite di emissione determini anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.


Si precisa che:


 



  • la condotta penalmente rilevante di violazione delle prescrizioni normative e autorizzative deve quindi aver luogo “nell’esercizio di uno stabilimento”, ossia nell’esercizio di un “complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività” (art. 268 lett h)).

  • per quanto riguarda la violazione dei valori limite di emissione e delle prescrizioni stabilite, occorre avere riguardo volta per volta delle norme e delle autorizzazioni applicabili caso per caso allo stabilimento Si ricordano tuttavia gli obblighi imposti dall’art. 271 a carico del gestore dello stabilimento, ed in particolare:


 



  • l’obbligo di informazione all’autorità competente in caso di anomalia;


o l’obbligo di procedere al ripristino funzionale dell’impianto nel più breve tempo possibile e di sospendere l’esercizio dell’impianto se l’anomalia o il guasto può determinare un pericolo per la salute umana;



  • l’obbligo di effettuare i controlli di propria competenza sulla base dei metodi e dei sistemi di monitoraggio indicati nell’autorizzazione e di mettere i risultati a disposizione dell’autorità competente per il controllo;

  • l’obbligo di comunicare specificamente all’autorità competente le difformità accertate nei


controlli di competenza del gestore entro 24 ore dall’accertamento.



  • trattandosi di fattispecie di natura contravvenzionale l’elemento soggettivo richiesto per la


configurazione del reato è la colpa.


 


 


Art. 3 L. del 28 dicembre 1993, n. 549 - Misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente Cessazione e riduzione dell’impiego delle sostanze lesive


 



  1. La produzione, il consumo, l’importazione, l’esportazione, la detenzione e la commercializzazione delle sostanze lesive di cui alla tabella A allegata alla presente legge sono regolati dalle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 3093/94 (del Consiglio, del 15 dicembre 1994, sulle sostanze che riducono lo strato di ozono).


 



  1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietata l’autorizzazione di impianti che prevedano l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella A allegata alla presente legge, fatto salvo quanto disposto dal regolamento (CE) 3093/94.


 



  1. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sono stabiliti, in conformità alle disposizioni ed ai tempi del programma di eliminazione progressiva di cui al regolamento (CE) n. 3093/94, la data fino alla quale è consentito l’utilizzo di sostanze di cui alla tabella A, allegata alla presente legge, per la manutenzione e la ricarica di apparecchi e di impianti già venduti ed installati alla data di entrata in vigore della presente legge, ed i tempi e le modalità per la cessazione dell’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella B, allegata alla presente legge, e sono altresì individuati gli usi essenziali delle sostanze di cui alla tabella B, relativamente ai quali possono essere concesse deroghe a quanto previsto dal presente comma. La produzione, l’utilizzazione, la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione delle sostanze di cui alle tabelle A e B allegate alla presente legge cessano il 31 dicembre 2008, fatte salve le sostanze, le lavorazioni e le produzioni non comprese nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 3093/94, secondo le definizioni ivi


 



  1. L’adozione di termini diversi da quelli di cui al comma 3, derivati dalla revisione in atto del


 


147 ALLEGATO I. Valori di emissione e prescrizioni.


148 ALLEGATO II. Grandi impianti di combustione.


149 ALLEGATO III. Emissioni di composti organici volatili.


150 ALLEGATO V. Polveri e sostanze organiche liquide.


 


 


regolamento (CE) n. 3093/94, comporta la sostituzione dei termini indicati nella presente legge ed il contestuale adeguamento ai nuovi termini.


 



  1. Le imprese che intendono cessare la produzione e l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella B, allegata alla presente legge, prima dei termini prescritti possono concludere appositi accordi di programma con i Ministeri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e dell’ambiente, al fine di usufruire degli incentivi di cui all’articolo 10, con priorità correlata all’anticipo dei tempi di dismissione, secondo le modalità che saranno fissate con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con il Ministro dell’ambiente.


 



  1. Chiunque viola le disposizioni di cui al presente articolo è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda fino al triplo del valore delle sostanze utilizzate per fini produttivi, importate o Nei casi più gravi, alla condanna consegue la revoca dell’autorizzazione o della licenza in base alla quale viene svolta l’attività costituente illecito.


 


La legge n. 549/93 introduce nel nostro ordinamento misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente. Il reato introdotto dal comma 6 della norma in esame ha come obiettivo sanzionare penalmente i comportamenti in contrasto con il programma di cessazione e riduzione dell’impiego di sostanze lesive previsto dalla norma.


 


Occorre innanzitutto precisare che si considerano sostanze lesive per l’ozono stratosferico, ai sensi del


presente articolo, le sostanze elencate nelle tabelle A151 e B152 allegate alla l. 549/1993.


 


In particolare le violazioni penalmente rilevanti ai sensi della norma in esame sono l’autorizzazione di impianti che prevedono l’utilizzo delle sostanze elencate nella tabella A (fatto salvo quanto previsto dal Reg. (CE) n. 2037/00153) e la produzione, utilizzazione, commercializzazione, importazione ed esportazione delle sostanze elencate nelle tabelle A e B (fatte salve le sostanze, le lavorazioni e le produzioni non comprese nel campo di applicazione del Reg. (CE) n. 2037/00).


 


Il reato è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda fino al triplo del valore delle sostanze lesive.


 


 


Art. 8 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa


all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento doloso:


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e l’armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che dolosamente violano le disposizioni dell’articolo 4 sono puniti con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da € 000,00 ad € 50.000,00.

  2. Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da uno a tre anni e l’ammenda da €10.000,00 ad € 000,00.

  3. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.


 


Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 51.600 a € 464.700


Sanzioni interdittive: violazione commi 1 e 2, da tre mesi a sei mesi


Interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, nel caso in cui l’ente o una sua unità organizzativa vengano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui al presente articolo.


 


La norma in esame sanziona penalmente la violazione del divieto di versare in mare sostanze inquinanti, quali idrocarburi e altre sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa154, o causare lo sversamento di dette


 


151 La tabella A, elencante le sostanze lesive dell’ozono stratosferico, comprende CFC, Halons, tricloroetano e


tetracloruro di carbonio.


152 La Tabella B, elencante le sostanze sottoposte al regime di controllo previste dalla legge, comprende cloruro di metile, bromuro di metile, HCFC e HBFC.


153 Regolamento in materia di dismissione dei refrigeranti HCFC, che ha abrogato il Reg. (CE) 3093/94 originariamente citato dalla norma.


154 Art. 2 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202. Definizioni: “1. Ai fini del presente decreto si intende per: (omissis)



  1. "sostanze inquinanti": le sostanze inserite nell'allegato I (idrocarburi) e nell'allegato II (sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla Convenzione Marpol 73/78, come richiamate nell'elenco di cui all'allegato A alla legge 31


 


 


sostanze.


A norma dell’art. 3 del D. Lgs. 202/07, il divieto citato, previsto dall’art. 4 del medesimo decreto, si applica


al di fuori dei casi consentiti155:


 



  • nelle acque interne, compresi i porti;

  • nelle acque territoriali;

  • negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito;

  • nella zona economica esclusiva o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale;

  • in alto


 


Soggiacciono a tale divieto le navi battenti qualsiasi bandiera, ad eccezione delle navi militari da guerra o ausiliarie e delle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali.


 


L’art. 8 introduce un reato proprio che può essere commesso esclusivamente dal Comandante di una nave, eventualmente in concorso con altri soggetti espressamente individuati (membri dell’equipaggio, proprietario della nave, armatore).


La contravvenzione al divieto di sversamento è punita a titolo di dolo, occorre pertanto che il soggetto attivo agisca con piena consapevolezza e volontà di rilasciare in mare sostanze che egli sa essere inquinanti.


 


Si sottolinea che la contravvenzione prevista dalla norma in esame si applica soltanto nei casi in cui non risulti integrato un reato di maggiore gravità.


 


Il secondo comma della norma in esame prevede un’ipotesi aggravata per i casi in cui dallo sversamento


consegua un danno ambientale di rilevante entità.


 


Art. 9 D. Lgs. del 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della Direttiva 2005/35/CE relativa


all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni - Inquinamento colposo:


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e l’armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con la loro cooperazione, che violano per colpa le disposizioni dell’articolo 4, sono puniti con l’ammenda da € 000,00 ad € 30.000,00.


 



  1. Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da € 000,00 ad € 30.000,00.


 



  1. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.


 


Sanzioni pecuniarie: comma 1, da € 25.800 a € 387.250 Sanzioni pecuniarie: comma 2, da € 38.700 a € 387.250 Sanzioni interdittive: violazione comma 2, da tre mesi a sei mesi


 


La norma in esame sanziona penalmente la violazione del divieto di sversamento previsto dall’art. 4 D. Lgs.


202/07 che sia posta in essere a titolo colposo.


 


La condotta incriminata è la stessa sanzionata dall’art. 8 D. Lgs. 202/07 all’analisi del quale si rinvia per la


definizione dell’elemento oggettivo del reato.


 


Ciò che muta, in questo caso è l’elemento psicologico sottostante alla condotta del soggetto agente richiesto ai fini dell’integrazione dell’illecito penale. Non occorre in questo caso che vi siano consapevolezza e volontà


 


dicembre 1982, n. 979 aggiornato dal decreto del Ministro della marina mercantile 6 luglio 1983, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 22 agosto 1983”.


155 Art. 5 D. Lgs del 6 novembre 2007, n. 202. Deroghe: “1. Lo scarico di sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), in una delle aree di cui all'articolo 3, comma 1, è consentito se effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'allegato I, norme 15, 34, 4.1 o 4.3 o all'allegato II, norme 13, 3.1 o 3.3 della Convenzione Marpol 73/78.


2. Lo scarico di sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), nelle aree di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed e), è consentito al proprietario, al comandante o all'equipaggio posto sotto la responsabilità di quest'ultimo, se effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'allegato I, norma 4.2, o all'allegato II, norma 3.2 della Convenzione Marpol 73/78”.


 


 


di rilasciare sostanze inquinanti, essendo sufficiente che lo sversamento si verifichi a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.


 


Anche in questo caso la contravvenzione prevista dalla norma in esame si applica soltanto nei casi in cui non risulti integrato un reato di maggiore gravità.


Al secondo comma è prevista un’ipotesi aggravata per i casi in cui dallo sversamento consegua un danno


ambientale di rilevante entità.


 


 



  • Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 – duodecies)


 


L’art. 25-duodecies del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, così recita:


 



  1. In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo


25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di


150.000 euro.


1-bis. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.


1-ter. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote.


1-quater. Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano


le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.


 


La norma è stata inserita all’interno del D. Lgs. 231/2001 in seguito all’adozione del D. Lgs. 16 luglio 2012,



  1. 209, in attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 25–duodecies sono i seguenti:


 



  • 22, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato;

  • 12, co. 3, co. 3-bis, co. 3-ter, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Trasporto di stranieri nel territorio dello Stato;

  • 12, co. 5, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Favoreggiamento della permanenza illegale nel territorio dello Stato.


 


Gli articoli delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 22 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato


 


(omissis)


 



  1. Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.


 


12-bis. Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà:



  1. se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;

  2. se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa;

  3. se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di


cui al terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale. (omissis)


L’art. 2 (“Disposizioni sanzionatorie”) del D. Lgs. 109/2012 introduce nel D. Lgs. 231/01 l’art. 25 duodecies (“Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”): in tal modo, il datore di lavoro che impieghi immigrati irregolari verrà punito ai sensi della disciplina penale, mentre l’ente sarà autonomamente soggetto (nell’ipotesi di cui al comma 12 bis) ad una sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, con un massimale di € 150.000.


Sanzione pecuniaria: da 100 a 200 quote, entro il limite di € 150.000


 


L’art. 22 del D. Lgs. 286/1998 disciplina le modalità con cui può instaurarsi un rapporto di lavoro


subordinato a tempo determinato o indeterminato che coinvolga prestatori di lavoro stranieri156.


 


 


 


156 Art. 22 D Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 - Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato


 


 


 


“1. In ogni provincia è istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato.



  1. Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all'estero deve presentare allo sportello unico per l'immigrazione della provincia di residenza ovvero di quella in cui ha sede legale l'impresa, ovvero di quella ove avrà luogo la prestazione lavorativa:

  2. richiesta nominativa di nulla osta al lavoro;

  3. idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero;

  4. la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell'impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza;

  5. dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di

  6. Nei casi in cui non abbia una conoscenza diretta dello straniero, il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia può richiedere, presentando la documentazione di cui alle lettere b) e c) del comma 2, il nulla osta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di cui all'articolo 21, comma 5, selezionate secondo criteri definiti nel regolamento di

  7. Lo sportello unico per l'immigrazione comunica le richieste di cui ai commi 2 e 3 al centro per l'impiego di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, competente in relazione alla provincia di residenza, domicilio o sede Il centro per l'impiego provvede a diffondere le offerte per via telematica agli altri centri ed a renderle disponibili su sito INTERNET o con ogni altro mezzo possibile ed attiva gli eventuali interventi previsti dall'articolo 2 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. Decorsi venti giorni senza che sia stata presentata alcuna domanda da parte di lavoratore nazionale o comunitario, anche per via telematica, il centro trasmette allo sportello unico richiedente una certificazione negativa, ovvero le domande acquisite comunicandole altresì al datore di lavoro. Ove tale termine sia decorso senza che il centro per l'impiego abbia fornito riscontro, lo sportello unico procede ai sensi del comma 5.

  8. Lo sportello unico per l'immigrazione, nel complessivo termine massimo di quaranta giorni dalla presentazione della richiesta, a condizione che siano state rispettate le prescrizioni di cui al comma 2 e le prescrizioni del contratto collettivo di lavoro applicabile alla fattispecie, rilascia, in ogni caso, sentito il questore, il nulla osta nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi determinati a norma dell'articolo 3, comma 4, e dell'articolo 21, e, a richiesta del datore di lavoro, trasmette la documentazione, ivi compreso il codice fiscale, agli uffici consolari, ove possibile in via telematica. Il nulla osta al lavoro subordinato ha validità per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del rilascio.


5-bis. Il nulla osta al lavoro è rifiutato se il datore di lavoro risulti condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per:



  1. favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;

  2. intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis del codice penale;

  3. reato previsto dal comma



  • Il nulla osta al lavoro è, altresì, rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, è revocato se i documenti presentati sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora lo straniero non si rechi presso lo sportello unico per l'immigrazione per la firma del contratto di soggiorno entro il termine di cui al comma 6, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore. La revoca del nulla osta è comunicata al Ministero degli affari esteri tramite i collegamenti telematici.



  1. Gli uffici consolari del Paese di residenza o di origine dello straniero provvedono, dopo gli accertamenti di rito, a rilasciare il visto di ingresso con indicazione del codice fiscale, comunicato dallo sportello unico per l'immigrazione. Entro otto giorni dall'ingresso, lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione che ha rilasciato il nulla osta per la firma del contratto di soggiorno che resta ivi conservato e, a cura di quest'ultimo, trasmesso in copia all'autorità consolare competente ed al centro per l'impiego

  2. [omissis]

  3. Salvo quanto previsto dall'articolo 23, ai fini dell'ingresso in Italia per motivi di lavoro, il lavoratore extracomunitario deve essere munito del visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del

  4. Le questure forniscono all'INPS e all'INAIL, tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori extracomunitari ai quali è concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o comunque idoneo per l'accesso al lavoro, e comunicano altresì il rilascio dei permessi concernenti i familiari ai sensi delle disposizioni di cui al titolo IV; l'INPS, sulla base delle informazioni ricevute, costituisce un


«Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari», da condividere con altre amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avviene in base a convenzione tra le amministrazioni interessate. Le stesse informazioni sono trasmesse, in via telematica, a cura delle questure, all'ufficio finanziario competente che provvede all'attribuzione del codice fiscale.



  1. Lo sportello unico per l'immigrazione fornisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il numero ed il tipo di nulla osta rilasciati secondo le classificazioni adottate nei decreti di cui all'articolo 3, comma 4.


 


 


La norma in esame impone determinati requisiti e iter procedurali che devono essere rispettati ai fini della legittimità del rapporto di lavoro. In particolare vengono delineate le modalità di rilascio del permesso di soggiorno concesso per motivi lavorativi e gli obblighi a cui il datore di lavoro ed il lavoratore sono tenuti ad adempiere.


 


Il comma 12 della norma in esame introduce una fattispecie delittuosa volta a sanzionare il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze un cittadino straniero irregolarmente presente sul territorio dello Stato.


 


Si precisa che:


 



  • si tratta di un reato proprio che può essere commesso solamente da chi rivesta la qualifica di datore di lavoro. La fattispecie in esame presuppone a carico del datore di lavoro l’onere di assicurare la legittimità delle assunzioni, a nulla rilevando che quest’ultimo non si occupi direttamente del procedimento di selezione del personale157. Tuttavia, ai fini della norma in esame, anche alla luce di recenti pronunce giurisprudenziali158, il concetto di “datore di lavoro”


 



  1. La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l'impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari.



  • Lo straniero che ha conseguito in Italia il dottorato o il master universitario di secondo livello, alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, può essere iscritto nell’elenco anagrafico previsto dall’articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, per un periodo non superiore a dodici mesi, ovvero, in presenza dei requisiti previsti dal presente testo unico, può chiedere la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.



  1. Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.



  • Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla metà:



  1. se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;

  2. se i lavoratori occupati sono minori in età non lavorativa;

  3. se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo comma dell'articolo 603-bis del codice penale.


12-ter. Con la sentenza di condanna il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria del pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente.


12-quater. Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6.



  • Il permesso di soggiorno di cui al comma 12-quater ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale. Il permesso di soggiorno è revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o accertata dal questore, ovvero qualora vengano meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.



  1. Salvo quanto previsto per i lavoratori stagionali dall'articolo 25, comma 5, in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, anche in deroga al requisito contributivo minimo previsto dall'articolo 1, comma 20, della legge 8 agosto 1995, 335.

  2. Le attribuzioni degli istituti di patronato e di assistenza sociale, di cui alla legge 30 marzo 2001, n. 152, sono estese ai lavoratori extracomunitari che prestino regolare attività di lavoro in

  3. I lavoratori italiani ed extracomunitari possono chiedere il riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero; in assenza di accordi specifici, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la commissione centrale per l'impiego, dispone condizioni e modalità di riconoscimento delle qualifiche per singoli casi. Il lavoratore extracomunitario può inoltre partecipare, a norma del presente testo unico, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della

  4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province


autonome di Trento e di Bolzano ai sensi degli statuti e delle relative norme di attuazione”.


157 Cass. Pen., sez I, 18 maggio 2011, n. 25615.


158 Cass. Pen., sez. I, 3 aprile 2012, n. 19201 (nel caso di specie è stato ritenuto colpevole del reato in esame il gestore di fatto di un esercizio commerciale, formalmente intestato ad altri, che occupava alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario in posizione irregolare).


 


 


non coincide strettamente con quello di “imprenditore”, ma ricomprende chiunque assuma o occupi alle proprie dipendenze una persona per svolgere attività lavorativa subordinata e, quindi, sia il soggetto che materialmente provvede all’assunzione sia il soggetto nel cui interesse e sotto la cui direzione si svolga la prestazione lavorativa;



  • l’elemento oggettivo del reato è costituito dall’occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri in posizione irregolare alla luce delle normative vigenti in materia di immigrazione. In particolare, ai sensi dell’integrazione della condotta incriminata si richiede che i lavoratori siano “privi” del permesso di soggiorno, non avendolo mai ottenuto, o che il permesso di soggiorno già regolarmente rilasciato dalle autorità competenti sia scaduto e non sia stato rinnovato, o sia stato revocato o annullato. Si specifica che:

    • per “occupazione alle proprie dipendenze” deve intendersi “l’istaurazione di un qualunque rapporto di lavoro subordinato (quindi anche un rapporto di lavoro in prova), indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività (quindi anche il lavoro di un giorno)”159;

    • per “lavoratori stranieri” ai sensi della citata normativa devono intendersi esclusivamente i lavoratori Le disposizioni in esame non si applicano infatti ai cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea, per i quali vige il principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori, sancito dall’art. 45 TFUE160. I soggetti che godono della cittadinanza dell’Unione hanno infatti il diritto di cercare lavoro in un altro paese dell’UE, di lavorare in tale paese senza bisogno di un permesso di lavoro, di vivere in questo paese per motivi di lavoro, di restarvi anche quando l’attività professionale è giunta a termine e di godere della parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali per quanto riguarda l’accesso al lavoro, le condizioni di lavoro, nonché qualsiasi altro beneficio sociale e fiscale.



  • si tratta di un reato permanente, che si consuma nel momento in cui avviene l’instaurazione del rapporto di lavoro nei casi in cui il lavoratore sia privo del permesso di soggiorno, o, negli altri casi, nel momento in cui il permesso di soggiorno scade, o viene revocato o annullato, e si perfeziona solo nel momento in cui cessa l’occupazione del lavoratore irregolare;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, che consiste nella conoscenza e volontà del datore di lavoro di occupare un soggetto straniero che versa in condizioni di irregolarità ai sensi della disciplina sull’immigrazione. Si precisa che, a causa del già menzionato onere di assicurare la legittimità delle assunzioni, il datore di lavoro è ritenuto responsabile del reato in esame anche nel caso in cui, in buonafede, questi si sia fidato delle assicurazioni verbali del lavoratore, senza pretendere di visionare il permesso di


 


La fattispecie delittuosa in esame, ai sensi di quanto previsto dall’art. 25-duodecies del D. Lgs. 231/2001, può dar luogo alla responsabilità amministrativa dell’ente solamente nei casi in cui la stessa sia integrata in una delle ipotesi aggravate previste dal comma 12-bis della norma stessa. Ovverosia nei soli casi in cui:



  • i lavoratori occupati siano in numero superiore a tre;

  • i lavoratori occupati siano minori in età non lavorativa;

  • i lavoratori occupati siano sottoposti a condizioni lavorative tali da costituire violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, idonee ad esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità


 


 


 


 


 


 


Cass. Pen., sez I, 18 maggio 2011, n. 25615.


Trib. Nocera Inferiore, 03 ottobre 2011, n. 1414.


159 Cass. Pen., sez. fer., 04 settembre 2008, n. 38079.


160 Articolo 45 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 39 del TCE).


“1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata.



  1. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di

  2. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

  3. di rispondere a offerte di lavoro effettive;

  4. di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

  5. di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;

  6. di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un

  7. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione”.


 


 


Art. 12, co. 3, co. 3-bis, co. 3-ter, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Trasporto di stranieri nel territorio dello Stato


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:

  2. il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;

  3. la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie


 


3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.


 


3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto.


 


 


Sanzione pecuniaria: da 400 quote (€ 103.200) a 1000 quote (€ 1.549.000)


Sanzione interdittiva: da 12 a 24 mesi


 


Art. 12, co. 5, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Favoreggiamento della permanenza illegale nel territorio dello Stato


 



  1. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà.


 


Sanzione pecuniaria: da 100 quote (€25.800) a 200 quote (€309.800)


Sanzione interdittiva: da 12 a 24 mesi


 


Con l’entrata in vigore dell’art. 30, comma 4, della L. 161/2017161, all’unico comma dell’art. 12, sono stati aggiunti tre ulteriori commi (1-bis, 1-ter e 1-quater), volti a sanzionare alcune condotte di immigrazione clandestina.


 


In particolare, viene prevista una sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote per gli enti, nel cui interesse o vantaggio venga promosso, diretto, organizzato, finanziato o effettuato il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, ovvero compiuti altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato italiano o di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente (art. 12 commi, 3, 3-bis, 3-ter, D. Lgs. 286/1998).


 


La responsabilità dell’ente, così come quella della persona fisica, sorge, tuttavia, solo laddove si verifichi, alternativamente, uno degli ulteriori presupposti di gravità previsti dall’art. 12 comma 3 del D. Lgs. 286/1998: il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; il fatto è commesso da tre o più persone in


 


161 La legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”, pubblicata in G.U. serie generale n. 258 del 4 novembre 2017, ha modificato l’art. 25-duodecies (“Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”), sanzionando nuove condotte di immigrazione clandestina ed introducendo ulteriori sanzioni interdittive per l’ente.


 


 


concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.


 


La sanzione pecuniaria per l’ente sarà, invece, compresa tra 100 e 200 quote, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, se viene favorita la permanenza di clandestini nel territorio dello Stato, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività sopra descritte (art. 12, co. 5, D. Lgs. 286/1998).


 


In entrambi casi è prevista, anche, l’applicazione delle sanzioni interdittive elencate dall’art. 9, co., 2 del D. Lgs. 231/2001 per una durata non inferiore a un anno. Si tratta: dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e dell’eventuale revoca di quelli già concessi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


 



  • Razzismo e xenofobia (art. 25-terdecies)


 


L’art. 25-terdecies162 del D. Lgs. 231/01, rubricato “Razzismo e xenofobia” così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 3, comma 3 bis, della legge 13 ottobre 1975,

  2. 654 (richiamo da intendersi riferito all'articolo 604-bis del codice penale ai sensi dell'articolo 7 del decreto


legislativo 1 marzo 2018 n. 21), si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote.



  1. Nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un

  2. Se l'ente o una sua unità organizzativa è stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma


 


Il reato presupposto introdotto dall’art. 25-terdecies del D. Lgs. 231/01 è il seguente:


 



  • Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa (art. 604 bis)


 


Il delitto in commento punisce i partecipanti di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i


propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.


 


Il primo comma dell’articolo 25-terdecies prevede che, in caso di commissione dei reati di cui sopra, all’ente sia irrogata la sanzione pecuniaria da 200 (€ 51.600) a 800 quote. (€ 1.239.000). Alla sanzione pecuniaria, si aggiungono poi le sanzioni interdittive, ossia:


 



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività,

  • la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito,



  • il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione,

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti e contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già


concessi,



  • il divieto di pubblicizzare beni e servizi, per la durata non inferiore ad un


 


All’ultimo comma, la nuova disposizione prevede, come ipotesi aggravata, che laddove l’ente o la sua organizzazione siano stabilmente utilizzati allo scopo, unico o prevalente, di consentire o agevolare la commissione dei delitti di cui sopra si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.


 


604 bis. Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito:

  2. con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 000 euro chi propaganda idee


 


162 La legge 25 ottobre 2017, n. 163, recante “Delega al governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2016 - 2017”, pubblicata in G.U. serie generale n. 259 del 6 novembre 2017, ha inserito, all’interno del D. Lgs. 231/2001, il nuovo art. 25- terdecies, rubricato “Razzismo e xenofobia”. Il predetto articolo è stato, altresì, modificato dal D. Lgs. n. 21/2018.


 


 


fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;



  1. con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o

  2. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei

  3. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale.


 


L'art. 2, D. Lgs. 1.3.2018, n. 21, in attuazione della delega contenuta all'art. 1, 85° co., lett. q, L. 23.6.2017,



  1. 103 sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale (su cui si rinvia al commento all'art. 3 bis), ha inserito all'interno del Libro II, Titolo XII, Capo III del codice una Sezione I-bis dedicata ai Delitti contro l'uguaglianza. In tale Sezione è stato introdotto il delitto di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione, razziale, etnica e religiosa già previsto all'art. 3, L. 13.10.1975, n. 654, come di recente modificato dalla L. 20.11.2017, n. 167, che è stato contestualmente abrogato e a cui per la descrizione si rinvia.


 


 



  • Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d'azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati (art. 25-quaterdecies)


 


L’art. 25-quaterdecies del D. Lgs. 231/01, rubricato “Razzismo e xenofobia” così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote. 2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un


 


Per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote (€ 129.000)


Per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote (€ 402.704)



  1. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano


le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2163, per una durata non inferiore a un anno”. I reati presupposto introdotti sono i seguenti:



  • Frode in competizioni sportive (Art. 1 13 dicembre 1989, n. 401)

  • Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa (Art. 4 13 dicembre 1989, n. 401,


 


 


Art. 1 L. 13 dicembre 1989, n. 401, Frode in competizioni sportive


 



  1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila


 


163a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;


 



  1. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;

  2. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  3. l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;

  4. il divieto di pubblicizzare beni o


 


 


a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa.



  1. Le stesse pene si applicano al partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio, o ne accoglie la

  2. Se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati, i fatti di cui ai commi 1 e 2 sono puniti con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta


 


L’interesse giuridico tutelato è quello della certezza, della regolarità delle competizioni sportive e la genuinità dei loro risultati.


Per quanto riguarda la condotta, questa può consistere nell’offrire o promettere denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti alla competizione ovvero nel compiere altri atti fraudolenti, sempre finalizzati all’alterazione del regolare esito della competizione.


 


Discorso differente deve essere fatto invece per l’ipotesi contemplata dal comma 2, individuabile quale


autonoma fattispecie, nonostante l’equiparazione quod poenam.


 


Questa differenza strutturale si ripercuote sulla individuazione dei soggetti attivi. Pertanto, mentre al 1° comma il soggetto attivo è “chiunque”, al 2° comma soggetto attivo è il “partecipante alla competizione”: nel primo caso il reato è di tipo comune, nel secondo di tipo proprio.


 


 


Art. 4 L. 13 dicembre 1989, n. 401, Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa


 



  1. Chiunque esercita abusivamente l'organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE). Chiunque abusivamente esercita l'organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda non inferiore a lire un milione.

  2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda da lire centomila a lire un

  3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire centomila a lire un

  4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche ai giuochi d'azzardo esercitati a mezzo degli apparecchi vietati dall'articolo 110 del regio decreto 18 giugno 1931, 773, come modificato dalla legge 20 maggio 1965, n. 507, e come da ultimo modificato dall'articolo 1 della legge 17 dicembre 1986, n. 904.


 


La disciplina nazionale rende il settore delle scommesse sportive non liberalizzato: l’art. 88 del Regio Decreto



  1. 773/31 (TULPS) impone, a chi voglia esercitare tale attività, di ottenere una concessione amministrativa, resa dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato nonché una successiva autorizzazione di polizia rilasciata dal Questore. I soggetti che operano in assenza di detti titoli autorizzativi si rendono responsabili del reato di cui all’articolo della L. 401 del 1989.


Si precisa che:



  • si tratta di un reato comune, che può, dunque, essere perpetrato da parte di chiunque;

  • l’elemento oggettivo del reato di cui al primo comma consiste nell’organizzazione senza le previste autorizzazioni di scommesse in materia di competizioni sia di carattere sportivo che di concorsi Il secondo comma punisce la condotta di chi pur non avendo organizzato l’attività di scommessa clandestina si adopera per pubblicizzarla. Non rimane immune da sanzione la condotta di chi partecipa alle scommesse clandestine che al comma 3 viene punita con sanzioni pecuniarie ed nonché con l’arresto. Da ultimo, il quarto comma estende la disciplina sanzionatoria dei commi 1 e 2 ai giuochi d'azzardo esercitati a mezzo degli apparecchi vietati dall'articolo 110 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 come da ultimo modificato dall'articolo 1 della legge 17 dicembre 1986, n. 904.

  • l’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo generico. Ai fini della configurazione del reato, infatti, non rileva lo scopo personale dell’agente (l’eventuale fine di ottenere un profitto) ma è sufficiente alternativamente l’organizzazione del giuoco o della scommessa, la pubblicizzazione della stessa e, nel caso del comma 3, la partecipazione al


 


 



  • Reati tributari


L’art. 25-quinquiesdecies del D. Lgs. 231/01, rubricato “reati tributari” così recita:


 



  1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall'articolo 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote; c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall'articolo 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

  2. e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'articolo 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote; f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'articolo 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote; g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'articolo 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento

  3. Se, in seguito alla commissione dei delitti indicati al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un


 


 



  1. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).


 


Sanzione pecuniaria prevista fino a cinquecento quote. I reati presupposto introdotti sono i seguenti:



  • Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 Lgs. n. 74/2000)

  • Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 Lgs. n. 74/2000)

  • Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 Lgs. n. 74/2000)

  • Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 Lgs. n. 74/2000)

  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 Lgs. n. 74/2000)


 


Art. 2 D. Lgs. 74/2000 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti



  1. È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi

  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione


2.bis Se l'ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.


 


L'art. 2 del D. Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione da 18 mesi a 6 anni, chiunque al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto o sui redditi, indica elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni annuali, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.


 


Il delitto viene commesso quando il soggetto registra nelle scritture contabili le fatture o comunque le detiene ai fini di prova nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. In ogni caso, è escluso che il reato possa ritenersi commesso fino al momento in cui tali elementi sono indicati nella dichiarazione annuale.


 


Si precisa che:



  • il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame coincide con l’interesse dell’Erario alla percezione dei tributi, a differenza di quanto disposto dalla previgente legge del 1982, che proteggeva principalmente l’interesse del Fisco al corretto svolgersi dell’azione di accertamento tributario;

  • soggetto attivo del reato può essere unicamente colui il quale è contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, oppure è amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto a imposizione (art. 1, comma 1, lett. c), D.lgs. n. 74/2000);

  • con riferimento all’elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo specifico poiché è


caratterizzato dalla finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto;



  • è a consumazione istantanea e si realizza nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale 164; la predisposizione e la registrazione dei documenti attestanti le operazioni inesistenti sono, infatti, condotte meramente preparatorie e non sono punibili, nemmeno a titolo di tentativo, per espressa previsione del legislatore165.


 


La nozione di operazione inesistente appare particolarmente ampia in quanto include:



  • le operazioni mai effettuate (cosiddetta inesistenza oggettiva): si pensi alla fattura di acquisto di un servizio, che in realtà non è mai stato acquistato;

  • le operazioni effettuate, ma per le quali è stato indicato in fattura un importo diverso, generalmente superiore (cosiddetta sovrafatturazione): si pensi ad un bene acquistato a un importo inferiore rispetto alla fattura ricevuta; si noti che in tal caso la maggiore imposta indicata è pienamente esigibile nei confronti del cedente (art. 21 DPR 633/1972), pur non essendo detraibile per il


 


164 Cass. Pen., Sez. II, 2novembre 2010, n. 42111.


165 Cfr. art. 6 D. Lgs. n. 74/2000 “i delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo”


 


 


cessionario in quanto operazione parzialmente inesistente;



  • le operazioni effettuate ma tra parti diverse (cosiddetta inesistenza soggettiva): si riferisce a quegli acquisti realmente effettuati, ma da un fornitore diverso rispetto a quello indicato nella fattura.


 


Art. 3 D. Lgs. 74/2000 Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici


 



  1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, è punito con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro

  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione

  3. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli


 


Tale ipotesi di reato è complementare al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la condotta ha essenzialmente i seguenti requisiti:



  • falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie

  • impiego di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento

  • presentazione di una dichiarazione falsa


 


È, dunque, necessaria, per la realizzazione del “mezzo fraudolento”, la sussistenza un quid pluris che, affiancandosi alla falsa rappresentazione offerta nella dichiarazione, consenta di attribuire all’elemento oggettivo una valenza di insidiosità, derivante dall’impiego di artifici idonei a consentire l’evasione fiscale impedendone l’accertamento166.


 


Come precisato nella Relazione Ministeriale, può essere decisiva, ai fini della configurazione del reato de quo, la presenza di violazioni sistematiche e continue, la tenuta di una contabilità in nero o l'utilizzo di conti correnti bancari per le operazioni destinate a non essere contabilizzate (es. è stato ritenuto responsabile del reato il socio accomandatario di una società che aveva mistificato il vero ammontare dei ricavi ottenuti da operazioni di vendita attraverso l'omessa registrazione dei contratti preliminari e l'incameramento di una parte del prezzo in contanti).


 


Si precisa che:



  • il bene giuridico protetto è il corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale;

  • il delitto è configurabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, in ciò differenziandosi dal reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2 del D.lgs., che può essere commesso da qualsiasi soggetto obbligato alle dichiarazioni dei redditi o IVA;

  • il dolo è specifico come per tutti i reati di dichiarazione e consiste nel fine di evadere le imposte;

  • la giurisprudenza prevalente ritiene che le soglie di punibilità abbiano natura di elementi costitutivi del reato; ne consegue che il dolo deve essere inteso come coscienza e volontà del superamento delle soglie di punibilità.


 


 


Art. 8 D. Lgs. 74/2000 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti


 



  1. E' punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.


 


166 Cfr. Cass. n. 2292/2013.


 


 



  1. Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo


2-bis. Se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d'imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.


 


La definizione di fattura o di documento emesso per operazioni inesistenti si rinviene nell’art. 1, lett. a) del d.lgs. 74/2000 nel quale si legge che per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono “le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi” . In sintesi: ricevute, note, conti, parcelle, contratti, documenti di trasporto, note di addebito e di accredito che si concretizzano in:


 



  • operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte

  • documenti che indicano i corrispettivi o l’iva in misura superiore a quella reale

  • operazioni che si riferiscono a soggetti diversi da quelli effettivi


 


L’inesistenza può essere:



  • meramente giuridica ovvero quella documentata con fatture relative a prestazioni inesistenti in quanto aventi natura del tutto diversa da quella fatta apparire in fattura (es. viene fatturata la riparazione di un tetto quando in realtà è stato cambiata la pavimentazione)

  • oggettiva ovvero quella documentata con fatture relative a prestazioni inesistenti in quanto mai avvenute o avvenute in parte rispetto a quella indicate in


Atteso che il legislatore ha fatto espresso riferimento solo all'inesistenza oggettiva delle operazioni, ovvero a quelle che non sono mai approdate alla consistenza di "res", che materialmente, oggettivamente, non sono esistenti, è possibile stabilire che i casi di inesistenza meramente giuridica delle operazioni rimangono estranei alla sanzione penale.


 


Si precisa che:


 



  • il bene giuridico protetto è l’interesse patrimoniale dell’Erario alla corretta percezione del tributo;

  • il soggetto attivo è chiunque emette fatture o documenti per operazioni inesistenti, anche se non obbligato alla tenuta delle scritture contabili; la fattispecie criminosa, infatti, non prevede alcuna particolare qualificazione per i soggetti agenti;

  • l’elemento soggettivo è il dolo specifico, consistente nel fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, comprensiva della possibilità di consentire a terzi il conseguimento dell’indebito rimborso o il riconoscimento di un credito d’imposta


 


 


Art. 10 D. Lgs. 74/2000 Occultamento o distruzione di documenti contabili


 



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di


 


L’art. 10 sanziona le condotte costituite dall’occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, allorché ne derivi l’impossibilità della ricostruzione dei redditi e del volume degli affari.


 


Tali scritture infatti hanno una fondamentale funzione strumentale di tutela dei creditori, tra cui l’erario, in quanto la loro conservazione consente o comunque agevola, di regola, la rilevazione e comprensione del movimento degli affari e del reddito dell’impresa, nonché il rinvenimento delle tracce dell’eventuale reato tributario.


 


Ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 10, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, ma è necessario un "quid pluris" a contenuto commissivo consistente nell'occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge167.


 


Il reato de quo ha natura unitaria, rimanendo integrato dall'occultamento o distruzione di una o più scritture contabili o documenti obbligatori, con la conseguenza che l'eventuale pluralità di documenti accertati o


 


167 Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19106 del 02/03/2016.


 


 


distrutti incide solo sul piano sanzionatorio, alla luce dei parametri di cui all'art. 133, comma primo, nn. 1 e 2 c.p.168.


 


Si precisa che:



  • È un reato comune che può essere commesso da chiunque ovvero sia dal contribuente obbligato alla tenuta e conservazione delle scritture contabili, sia da un soggetto diverso responsabile in esclusiva o come concorrente;

  • ai fini della punibilità è richiesto il dolo specifico cioè il reo deve avere specifica finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire a terzi di evadere le stesse imposte;

  • viene punita la condotta di distruzione o occultamento di documenti contabili, la cui tenuta è obbligatoria per legge, al fine di impedire la ricostruzione della contabilità da parte delle autorità preposte, il reato per tali motivi può essere commesso solo da coloro che sono obbligati alla tenuta della contabilità.


 


 


Art. 11 D. Lgs. 74/2000 Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte


 



  1. E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.

  2. E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per se' o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l'ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei


 


La ratio della norma va rapportata al pericolo che la pretesa tributaria non trovi capienza nel patrimonio del contribuente/debitore e più in generale al principio costituzionale per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.


Il reato è considerato di “pericolo concreto” poiché richiede, semplicemente, che l'atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario vantato dall’Erario.


 


Si precisa che:


 



  • Il bene giuridico protetto si identifica con il corretto funzionamento della procedura di riscossione coattiva in relazione al diritto di credito dell’Erario (si tratta solo di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte)169;

  • si tratta di un reato proprio in quanto i potenziali soggetti attivi del reato possono essere


esclusivamente coloro i quali siano già qualificati come debitori d’imposta;



  • la fattispecie di cui al comma due è stato definito reato proprio a soggettività allargata perché attuabile anche da persona diversa dal debitore, in quanto la norma espressamente precisa: “al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi”;

  • l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico;

  • la condotta è connotata dallo scopo essenziale di rendere inefficace, per sé o per altri, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva ovvero di ottenere un pagamento inferiore delle somme complessivamente dovute. In sintesi: il fine è quello di pregiudicare la pretesa erariale attraverso l’impoverimento reale o fittizio del patrimonio del debitore d’imposta.


 


 



  • Reati transnazionali (art. 10, 16 marzo 2006, n. 146)


L’art. 1 della Legge 16 marzo 2006 n. 146 ha ratificato e dato esecuzione in Italia alla Convenzione


Internazionale e ai Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati


 


168 Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 38375 del 09/07/2015.


 


169 La prevalente giurisprudenza, cui si aderisce, considera “oggetto giuridico” del reato in esame non il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato all’Erario stesso. In una recente pronuncia la Suprema Corte ha ritenuto che il reato possa configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell'imposta e dei relativi accessori (Sez. 3, n. 36290 del 18/5/2011).


 


 


dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001 (Convenzione di Palermo). L’art. 10 di quest’ultima ha introdotto la responsabilità amministrativa degli enti in relazione a determinate ipotesi di reato transnazionale.


L’articolo 3 della Legge 16 marzo 2006 n. 146, rubricato “Definizione di reato transnazionale”, così recita:


 



  1. Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:

    1. sia commesso in più di uno Stato;

    2. ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;

    3. ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;

    4. ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro




 


L’articolo 10 della Legge 16 marzo 2006 n. 146, rubricato “Responsabilità amministrativa degli enti”, così


recita:


 



  1. In relazione alla responsabilità amministrativa degli enti per i reati previsti dall’articolo 3, si applicano


le disposizioni di cui ai commi seguenti.



  1. Nel caso di commissione dei delitti previsti dagli articoli 416 e 416-bis del codice penale, dall’articolo 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, 43, e dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica all’ente la sanzione amministrativa pecuniaria da quattrocento a mille quote.

  2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2, si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non inferiore ad un

  3. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 2, si applica all’ente la sanzione amministrativa dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001, 231.

  4. [Abrogato170]

  5. [Abrogato171]

  6. Nel caso di reati concernenti il traffico di migranti, per i delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis, 3- ter e 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento a mille quote.

  7. Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 7 del presente articolo si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due

  8. Nel caso di reati concernenti intralcio alla giustizia, per i delitti di cui agli articoli 377-bis e 378 del


codice penale, si applica all’ente la sanzione amministrativa pecuniaria fino a cinquecento quote.



  1. Agli illeciti amministrativi previsti dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, 231.


 


Per comodità di analisi, è opportuno ricordare che le sanzioni interdittive richiamate dalla norma in esame sono:



  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

  • la sospensione/revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione


dell’illecito;



  • il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi.


 


I reati presupposto introdotti dall’art. 10 della Legge 16 marzo 2006 n. 146 sono i seguenti:


 



  • 378 c.p. Favoreggiamento personale

  • 291-quater del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43

  • 12, comma 3, 3-bis, 3-ter e 5 del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286


 


 


170 Il comma è stato abrogato dall’articolo 64, comma 1, lettera f) del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231


171 Il comma è stato abrogato dall’articolo 64, comma 1, lettera f) del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231


 


 


Dopo l’emanazione della L. 15 luglio 2009, n. 94, è stato introdotto il nuovo articolo 24-ter nel D. Lgs. 231/01. Il comma 1 di tale norma estende la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai delitti di:


 



  • associazione per delinquere (art. 416 c.p.);

  • associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.);

  • associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 DPR 309 del 1990).


Pertanto, ad oggi, tali fattispecie di reato assumono rilevanza nel riconoscimento della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche non solo se caratterizzate dal requisito della transnazionalità, ma – come accade per la generalità degli illeciti rilevanti per il D. Lgs. 231/01 – anche se realizzate esclusivamente nel territorio dello stato italiano.


La stessa operazione legislativa sopra menzionata è stata compiuta in riferimento al reato di “Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria” di cui all’art. 377-bis c.p. Anche tale fattispecie trova, dunque, spazio nell’economia del processo penale a carico dell’ente indipendentemente dal fatto che le condotte siano realizzate in più di uno Stato.


 


In seguito all’entrata in vigore di tali riforme, le fattispecie di reato appena menzionate sono state analizzate


nelle rispettive ed autonome sezioni.


 


Gli articoli del codice penale e delle leggi speciali che vengono in rilievo per la comprensione di ciascuna fattispecie, accompagnata da una sintetica illustrazione del reato e da una descrizione astratta a titolo esemplificativo della condotta illecita sono presentati nel seguito.


 


Art. 378 Favoreggiamento personale


 


Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o] l’ergastolo o la reclusione e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni.


Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni.


Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena


è della multa fino a € 516,00.


Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.


 


Sanzioni pecuniarie: da € 25.800 a € 774.500


 


 


Tale ipotesi di reato presuppone l’agevolazione di un soggetto a carico del quale vi è il sospetto che abbia


compiuto un delitto.


Si precisa che:



  • tale figura criminosa presuppone due requisiti fondamentali:


o l’esistenza di un altro reato, c.d. “reato presupposto” per cui è sospettato il soggetto che si sceglie di agevolare. In base alla gravità del reato presupposto, e quindi alla quantificazione e qualificazione della pena per esso prevista, viene graduata la gravità e commisurata la pena del favoreggiamento;


o la mancata partecipazione del soggetto attivo del favoreggiamento al reato presupposto;



  • l’elemento oggettivo del reato consiste nel:


o tenere un comportamento, attivo od omissivo, idoneo a sviare o ritardare le indagini


dell’autorità giudiziaria;


o tenere un comportamento volto a vanificare o intralciare le ricerche del soggetto sospettato per il reato presupposto, ossia le attività finalizzate all’applicazione di misure precautelari o cautelari, quali l’arresto, il fermo o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone la custodia cautelare.



  • non è punito “l’autofavoreggiamento” che si realizza quando il soggetto attivo favorisce un terzo col


solo fine di sviare le indagini dalla propria persona;


 


 



  • l’elemento soggettivo è il dolo generico, caratterizzato dalla coscienza e volontà di causare un intralcio


alla giustizia al fine di agevolare il sospettato di un reato.


 


 


A titolo esemplificativo, vi è condotta illecita di tipo omissivo nell’aiutare qualcuno ad eludere le indagini, omettendo di riferire di aver visto l’indagato allontanarsi in fretta e furia dal luogo del reato; vi è condotta illecita di tipo commissivo nell’aiutare qualcuno, già condannato in via definitiva, a sottrarsi alle ricerche dell’autorità, fornendo a questi alloggio in un locale di propria disponibilità.


 


 


Art. 291-quater D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri


 



  1. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 291-bis, coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a otto

  2. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione da un anno a sei anni.

  3. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

  4. Se l’associazione è armata ovvero se ricorrono le circostanze previste dalle lett. d) od e) del comma 2 dell’articolo 291-ter, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal comma 1 del presente articolo e da quattro a dieci anni nei casi previsti dal comma 2. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di

  5. Le pene previste dagli articoli 291-bis, 291-ter e dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori del reato o per l’individuazione di risorse rilevanti per la commissione dei


Sanzioni pecuniarie: da € 103.200 a € 1.549.000


Sanzioni interdittive: da 12 mesi a 24 mesi (se l’ente, o una sua unità organizzativa, viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del suddetto reato, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001)


Tale legge sancisce le pene relative alla condotta di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri.


 


 


Art. 12, comma 3, 3-bis, 3-ter e 5, D. Lgs. 25.7.1998, n. 286 Disposizioni contro le immigrazioni clandestine


(omissis)



  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a procurare l’ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico ovvero a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni e con la multa di € 15.000,00 per ogni persona.



  • Le pene di cui ai commi 1 e 3 sono aumentate se:

    1. il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più




persone;



  1. per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;

  2. per procurare l’ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento


inumano o degradante;


c-bis) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti.


3-ter. Se i fatti di cui al comma 3 sono compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di € 25.000,00 per ogni persona.


(omissis)


 


 



  1. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a € 15.493,00.


(omissis)


Sanzioni pecuniarie: da € 51.600 a € 1.549.00


Sanzioni interdittive: da 3 a 24 mesi


Tale legge sancisce le pene relative alle condotte delittuose in materia di immigrazione clandestina e sfruttamento della condizione di illegalità dello straniero.


 


 


 

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